Cormac McCarthy se n’è andato, ci restano i suoi straordinari libri. McCarthy è uno di quegli autori che quando s’incontrano nella vita da lettori non si lasciano poù. Anche se il loro ultimo libo, come “Il passeggero”, può risultare faticoso. Ma non lo sono stati in generale i suoi vari capitoli precedenti a partire da quei titoli che lo hanno mitizzato come “La strada”.
Era nativo del Rhode Island, era cresciuto nel Tennessee ma viveva ora a Santa Fé nel Texas, alle spalle aveva gli scenari cupi degli Appalachi e degli stati nei come il suo Tennessee. E’ in questo ventre oscuro dell’America che ha certamente ambientato i suoi scritti più intensi, la sua prima stagione di scrittura, prima degli orizzonti polverosi del sud. Libri come Il guardiano del frutteto o Figlio di Dio, Suttree o Meridiano di sangue sono stati l’approccio fatato con la sua scrittura scabra, diretta, cruda e crudele.
Poi sono venuti i testi più noti come Non è un paese per vecchi e le consacrazioni cinematografiche, a partire da quella dei fratelli Coen.
Difficile immaginarselo come uomo, più facile accettarlo come grande scrittore dell’America più profonda. Maestro di dialoghi senza l’uso delle virgolette, secchi, asciutti e memorabili come le frasi del bambino rivolte al padre nella Strada: Siamo noi i buoni, vero?
Ora aspettiamo Stella maris, che era programmato qui in Italia per settembre. Col suo lascito, un mondo di irregolari, reietti, ubriaconi, reduci in quanto noi siamo “dieci percento biologia e novanta per cento mormorio notturno”.