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Roberto Cicciomessere e quelle cartoline precetto bruciate…

Incontravo spesso per ragioni di vicinanza di casa Roberto Cicciomessere. E a volte tornavamo su quei suoi trascorsi carcerari, a Gaeta e Peschiera, quando aveva osato con altri obiettori bruciare le cartoline precetto in piazza, un po’ come avevano fatto negli Stati Uniti i giovani chiamati ad andare in guerra nel lontano Vietnam e che poi fuggivano verso il Canada el’Europa.
Gli chiedevo di quella fase, che poi avrebbe portato a una legge sull’obiezione di coscienza (la 772, legge monca, in cui in cambio del servizio militare si concedeva un servizio civile più lungo però di ben otto mesi, e comunque il tutto sottoposto non a un diritto acquisito ma alla necessità di essere autorizzati da una commissione del ministero della Difesa, e in definitiva comunque una legge che finalmente seguiva quel lungo stillicidio di arresti e prigionie a carico degli obiettori di vario genere) e che aveva segnato quegli anni di insubordinazione alle armi che oltre agli obiettori aveva visto poi crescere un vasto dissenso e un’organizzazione come quella dei Pid, i proletari in divisa.
Roberto Cicciomessere, due volte segretario radicale, rappresentante di quella fase forte dei radicali che si era concretata nella conquista di importanti diritti civili, era stato prima di tutto quel giovane che poco più che ventenne aveva “scelto” di farsi mettere in carcere – e che carcere, da Gaeta a Peschiera – per la ragione di veder riconosciuto il sacrosanto diritto a non impugnare armi e a ubbidire a ordini che ti possono portare a confliggere con altre persone.
Dunque, bruciare in piazza le cartoline precetto in quei primi ani ’70 (nella foto le cartoline bruciate in piazza Lagrange a Torino l’11 marzo 1972 da lui con altri due obiettori, Valerio Minnella bolognese e Gianni Rosa torinese, Roberto Cicciomessere bolzanino è quello a sinistra con gli occhiali) non erano uno scherzo ma una scelta consapevole che era maturata dalla dichiarazione collettiva di piazza Navona a Roma. Scelta peraltro dura, soprattutto verso se stessi.
Nelle sue memorie carcerarie Cicciomessere aveva ricordato giovani detenuti di allora incontrati a Gaeta, portatori di storie straordinarie come quel ragazzo (non ne ricordo ora il nome) finito dentro perché prendeva in giro un ufficiale facendogli quando lo vedeva un suono da zanzara dietro.
Il 15 dicembre del ’72, ministro della difesa il socialista Lagorio, arrivò dunque dal Parlamento la 772. Finirono così le detenzioni di Pietro Pinna, Giuseppe Gozzini (il primo obiettore cattolico), Fausto Fabbrini, Alberto Trevisani, Aleirino Peila e tanti altri del “Signornò” di allora.
Fu una conquista, certo. Ma a questo punto Roberto Cicciomessere, sempre assai sbrigativo, preferiva salutare e andarsene, con la giacca tenuta con un dito sul dorso come succedeva quando faceva caldo.

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