I filorussi di sinistra. La crisi in corso le ha fatti spuntare fuori come funghi. Accecati dall’antiamericanismo corrono ad abbracciare Putin. Camuffandosi da finti realisti spiegano le ragioni del despota di Mosca giusticandolo in lungo e in largo. Lungi da loro qualsiasi critica al regime dispotico portato avanti da Putin, in un paese dove non c’è il minimo di democrazia e dove gli avversari politici finiscono avvelenati e in galera, a volte come con Navalny sottoposti al duplice trattamento.
Detto questo non pretendo certo che ci si schieri con la Nato. Penso solo che appoggiare la vocazione autoritaria interventista della Russia di Putin è un obbrobrio. Perfino Salvini cerca in questo momento di tenere a freno il suo servilismo putiniano.Un tempo queste posizioni filorusse nella sinistra era definite “carriste”. Un modo come un altro per fotografare questa disponibilità assai brutale ad appoggiare il tallone di ferro dell’impero russo nei confronti di chi sceglieva altre strade.
Così il fenomeno fece i suoi primi passi contro i poveri rivoltosi dell’Ungheria del 1956, trattati da controrivoluzionario. In non molti sul fronte opposto scelsero allora di uscire dal Pci e scegliere postazioni antiautoritarie. A sostenere l’Urss non furono solo i soliti noti, partecipò allora come direttore dell’Unità anche Pietro Ingrao che lì segnò i suoi passi politici più indegni. Il fenomeno purtroppo si ripetè poi perfino con la Cecoslovacchia nell’agosto del 1968. Il Pci allora riuscì ad impedire – è un esempio – ai suoi rappresentanti (cineasti famosi) di prendere posizione al Festival di Venezia che si aprì poco dopo l’invasione. Il festival restò in silenzio…Ma i carristi di oggi? Eredi di questi predecessori non hanno dalla loro neanche più il Pci o il Psiup di allora. Come considerarli? Cani sciolti del carrismo, una malattia tarda da cui guarire a quanto pare.