Oggi domenica 7 marzo qualche buontempone di Google si è divertito a creare sconcerto tra gli utenti mettendo come doodle, quel disegno che cambia nell’home page di Google, una donna (orientale) che gioca a caramboladi fronte a un pubblico di uomini.
Chi era mai questa avventurosa donna nel mondo maschile dei biliardi? Una giapponese, Masako Katsura, capace di farsi largo nei seminterrati (fumosi, allora, per tradizione) in cui si gioca a biliardo. Anzi a “three cushion billiard”, la carambola che può essere a tre sponde (i cushions).
Il gioco – secondo me – non è strepitoso, l’Italia con i suoi biliardi con sei buche (quello di carambola non ne ha) non ha mai favorito troppo la carambola (antecedente il biliardo del 115). El’Italia biliardesca se ne vantava.
Ma negli Stati Uniti invece ha tenuto banco. E anche in Giappone dove si era formata la giovane e intraprendente Masako che aveva iniziato giocando, pare, con un cognato o giù di lì.
La carambola si gioca con tre palle, una serve per colpire una seconda e andare a toccare infine la terza. Quando succede è carambola e il giocatore continua, finché sbaglia e non tocca la terza palla.
Chiaro, no? E Matsuko. Risulta essersi fatta le ossa in Giappone e poi, dopo le nozze con un amnericano, essersi spostata negli Usa dove per vari anni ha dato filo da torcere ai grandi campioni.
Il resto ve lo ritrovate su Wikipedia chev è molto più completa di quanto potrei dirvi io. Morì nel 1995. Insomma parecchio tempo fa…
PS.: ho giocato per un po’ di tempo, prina e dopo i vent’anni, a biliardo. Il biliardo era all’italiana. I biliardi, Mari, erano certamente più grandi quello puiccolo da carambola. I giochi erano con i cinque birilli centrali, due palle e un pallino, e i più frequenti erano all’italiana (ai 50 punti, a goriziana (con nove birilli centrali), a bazzica. Poi c’era una versione di boccette (quattro di un coloire e altrettante di un’altro, più un pallino) che si giocava a bvraccio. Dimenrticavo di rocordare l’attreezzo pere eccellenza del biliardo all’italiana, la stecca. E il gessetto con cui preparare il piccolo cuio della tresrta della stecca, quello che andava a diretto contatto con la palla da colpire.
La geometria era di casa. Per stupirte e stupirsi si giocava anche con l’effetto, anci i vari effetti, consistenti in un nodo particolare di tenere la stecca e di colpire la palla in certi punti.
Un biliardo poi doveva essere asciutto e ben tenuto, altrimenti il giocpo delle sponde era compromesso.
Ciò detto i luoghi a Poisa in cui giocavo erano nel bar drimpetto alla Sapienza, sul retro, dove all’italiana e spesso a bazzica ci si batteva fino all’ultimo colpo. O altrimenti il tempio per così dire era dalle parrti della Stazione Ferrovuiaria dove in una lunga sala di biliardi si cimentasvano i mnigliori della zona. Il migliore a Pisa era un signore che arrivava nel trdo pomeriggio, si toglieva il cappello Borsalino e uil cappotto e poi dava sfoggio dei suoi colpi magistrali. Il signor Gattai. Prima ho conosciuto lui e poii i suoi figli con cui ho fatto in seguito pezzi di strada insiemne (approfitto per salutare Sergio con l’occasione).
Io come giocavo? Me la cavavo.