Forse, avendo tempo (abbastanza) e voglia di scartabellare (parecchia) molti segreti italiani troverebbero soluzione. Dove?
Un posto è senz’altro l’Archivio Centrale dello Stato a Roma dove grazie alla Direttiva Renzi del 2014 sono stati riversati e in alcuni casi “desecretati” molti materiali sulle stragi, detenuti da istituzioni pubbliche come i ministeri, la presidenza del consiglio, i comandi delle forze dell’ordine cosiddette oltre alle Procure della Repubblica.
Naturalmente occorre armarsi di grande pazienza e imparare a muoversi nei 17 chilometri lineari di documenti conservati all’Eur, attraverso i computer (pochi e non tutti con memoria adeguata) messi a disposizione degli “studiosi” in alcune sale dell’archivio. E per chi è interessato ai documenti sulle stragi la sala offerta è quella “Araldica”, i computer sono tre, le archiviste gentili, però bisogna prenotare. Ci soino anche altre regole, i documenti non possono essere fotografati e nel caso di richiesta di fotocopie i testi vengono riletti dagli archivisti che eliminano tutti i riferimenti sensibili.
Ciò detto ne vale la pena. Perché nel materiale depositato, immaginiamo non ovviamente tutto e peraltro in tutta evidenza “filtrato” dagli organi depositanti (e infine ripassato prima di essere messo a disposizione da una squadra di agenti del Viminale), si trovano parecchie illuminanti carte. Come quelle che ho trovato io su Piazza Fontana e su Pinelli e di cui do notizia fin dal primo capitolo del mio nuovo libro “Pinelli l’innocente che cadde giù” (Castelvecchi editore) dal 30 maggio 2019 in libreria.
Tanto per capirci ecco quanto ho scritto nell’inizio del primo capitolo titolato: “Portai da Roma io la lista degli anarchici”.
Buona lettura.
Un verbale giudiziario, finora sostanzialmente dimenticato negli scaffali dell’Archivio Centrale dello Stato, a Roma. Seminascosto tra tante carte rivela molto, moltissimo, su quei giorni funesti di cinquanta anni fa, a Piazza Fontana e poi nella Questura di Milano. La strage del 12 dicembre che fece 17 vittime seguita dalla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli nella notte tra il 15 e il dicembre nella Questura di Milano.
Un documento sui grandi manovratori dei servizi segreti.
Per trovare il verbale si deve cercare nelle viscere dell’Archivio di Stato dove nei diciassette km lineari di documenti conservati ci sono anche i faldoni desecretati di recente dalla direttiva Renzi del 2014 che ha messo a disposizione pagine e pagine finora non raggiungibili, a partire dal cosiddetto Archivio Russomanno dal nome del funzionario che in quegli anni era il braccio destro operativo del capo di fatto degli Affari Riservati, Federico D’Amato, la parte più oscura del Viminale che sarebbe stata sciolta solo dopo la strage di Piazza della Loggia nel 1974.
Il cammino da fare sui computer dell’Archivio è molto complesso, lungo un “albero” infinito di collocazioni che vengono elencate qui per chi volesse interessarsene:
Archivio Centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Raccolte speciali, Direttiva Renzi, Ministero dell’Interno, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale Polizia di Prevenzione, Piazza della Loggia 1974 e infine, nel nostro caso, Procura di Venezia, Esame di testimonio senza giuramento di Francesco D’Agostino sentito il 21 ottobre 1997 in merito al procedimento penale 318/87.
La copia è stata digitalizzata, altri documenti dell’Archivio invece sono ancora cartacei.
Il verbale in questione riguarda un’inchiesta giudiziaria del 1997, dunque siamo a 28 anni di distanza dal 1969, sull’abbattimento di un aereo militare italiano nei cieli veneti nel 1973, l’indagine su “Argo 16” come era stato ribattezzato quel Douglas C47 Dakota in cui perirono per un attentato i quattro membri dell’equipaggio.
Spostiamoci allora in una stanza del Comando Centrale di Polizia Tributaria all’Olmata, a Roma.
Ad indagare all’epoca è il Giudice Istruttore Carlo Mastelloni della Procura di Venezia. Il teste è stato convocato, sono le 10,10 del mattino e Francesco D’Agostino, prefetto a riposo, ormai settantaquattrenne, ex vicecapo della Polizia prima di andare in pensione, deve rispondere sulle sue attività presso l’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, il servizio segreto “civile” al tempo della strage di Piazza Fontana.
D’Agostino che nel 1969 comandava le sezioni II e III dell’ufficio, dedicate alla destra e alla sinistra, riferisce anche sul quel dicembre del 1969. Lo fa quando ormai da un anno il capo a tutti gli effetti degli Affari Riservati, Federico D’Amato, è ormai morto. Insomma in quel momento senza più l’ombra incombente di D’Amato il prefetto in quiescenza parla all’apparenza senza troppe reticenze.
Naturalmente sono dichiarazioni di un ex funzionario del servizio segreto, gli Affari Riservati che hanno preceduto l’istituzione prima dell’Ispettorato Antiterrorismo e poi del Sisde. E come tali vanno soppesate.
D’Agostino premette di essere stato promosso nel 1967 da capo dell’Ufficio politico della Questura di Roma “alla divisione Affari Riservati” dove gli è stata “assegnata la II Sezione che si occupava della destra quale Direttore. “Nel 1969 da Direttore della II Sezione ero sovrintendente della II e della III sezione, sinistra e destra”, così definisce il suo status.
Quando gli viene chiesto del ruolo degli Affari Riservati a Milano nel ’69 spiega:
“Subito dopo i fatti di Piazza Fontana, il Capo della Polizia Vicari mandò me e Russomanno a Milano al fine di poter dare, in modo più immediato e diretto, all’Ufficio Politico della Questura la collaborazione di cui avesse potuto aver bisogno. Tornammo dopo alcuni giorni:
“Ci trattenevamo in Questura e Russomanno da solo si recò presso negozi per cercare di avere notizie sui timers.
“Si stava nello stesso Albergo in piazza della Stazione, “Aosta”.
“Sollecitammo Alduzzi e Galli a reperire notizie utili ma i due riferivano al solo Russomanno il quale si allontanava dicendo che andava a trovare “un’amica”.
“Mentre io stavo in Questura il Russomanno era fuori (…)
“Io a quell’epoca sovrintendevo all’attività della Divisione Sicurezza Interna che trattava sia l’estremismo di Sinistra che di Destra e quindi anche gli Anarchici.
“Io portai a Milano e consegnai l’elenco degli anarchici all’Ufficio Politico.
“In un primo tempo io ricordo che il dr. Provenza dell’Ufficio Politico di Roma avviò le indagini verso la Destra ma poi ci fu una svolta in direzione degli anarchici.
“Ciò seppi proprio da Provenza una volta tornato da Milano a Roma”.
Poi D’Agostino dopo aver negato di conoscere informatori come “Anna Bolena” conclude:.
“Quando sono andato a Milano Allegra e Calabresi erano ancora incerti sulla pista di indagini ma non so poi come, in quegli stessi giorni, si arrivò alla pista anarchica e a Valpreda e non so in virtù di quali elementi…”.
Una notazione: Alduzzi e Galli appartenevano alla postazione milanese degli Affari Riservati, la Squadra 54. E “Anna Bolena” era uno dei loro informatori, se non il principale.
Ma vedremo meglio la questione degli Affari Riservati più avanti.
Per il momento soffermiamoci su alcuni aspetti di questo documento assai rivelatore che riguarda la presenza a Milano nei giorni della strage di un nutrito stuolo di funzionari calati da Roma e insediatisi nella Questura del capoluogo lombardo da “padroni” dell’inchiesta, come sentiremo affermare con estrema disinvoltura da uno di loro, gli uomini del servizio segreto del Viminale che sono come dei veri e propri “fantasmi” intoccabili dalle inchieste giudiziarie del momento.
Operativi ma invisibili, o almeno non visti, se nessuno di loro viene mai interpellato nelle due inchieste che saranno poi condotte sulla morte di Pinelli tra il ’70 e il ’75 ad opera dei magistrati Giovanni Caizzi e Antonio Amati prima e da Gerardo D’Ambrosio dopo.
Eppure come dice Ermanno Alduzzi capo della Squadra 54 degli Affari Riservati, in quei giorni lui era “in Questura dalla mattina alla sera…”.
Già, “ci trattenevamo in Questura”, avevamo portato subito gli “elenchi degli anarchici”, siamo arrivati e “Allegra e Calabresi erano incerti…”, ci ha appena ricordato D’Agostino..
Eccolo qua, grazie al prefetto in pensione che viene sentito da un giudice veneziano a Roma per una vicenda giudiziaria condotta molti anni dopo e che riguarda altro, il grande buco nero delle vicende di piazza Fontana e di Pinelli.
Chi c’era davvero a Milano in quei giorni a tessere la trama delle inchieste, avvolto da un’oscurità popolata di veleni, montature, macchinazioni, morte?
(da “Pinelli l’innocente che cadde giù”, di Paolo Brogi, Castelvecchi Editore, maggio 2019