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Migranti del 1945: gli ebrei scampati alla Shoah sulle nevi alpine e che chiedono “aprite le porte”…

Le navi della speranza. L’Aliya Bet dall’Italia 1945-1948. E’ il titolo di un bel libro sulla mostra ospitata prima al memoriale della Shoah di Milano e poi alla Casina del Vaillati a Roma.

L’Aliya è il termine per indicare l’immigrazione in Israele. L’Aliya Bet è l’immigrazione clandestina, un grande fenomeno che nei tre anni del dopoguerra e del dopo Shoah interessò l’Europa meridionale con  vascelli diretti verso la Palestina. Tra i paesi coinvolti un forte ruolo fu svolto dall’Italia, da dove partirono per il futuro stato di Israele che sarebbe nato nel ‘48 oltre 21 mila ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio. Gli ebrei superstiti che allora arrivarono i Italia furono 70mila.

Fa impressione vedere le prime imbarcazioni che furono utilizzate, per i primi viaggi nel ’45 e ’46 da porticcioli pugliesi. Il Dolin, il primo a partire il 21 agosto del 1945 con 35 ebrei a bordo dal porto di Monopoli, era un piccolo peschereccio.

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Seguirono altre imbarcazioni precarie, poi vennero navi vere e proprie. A ospitare i primi cantieri oltre a Monopoli anche Barletta

Quando gli inglesi premendo sul governo italiano ottennero l’abbandono dei porti pugliesi il traffico di migranti clandestini – è il termine che la stessa mostra usa – si spostò sul Tirreno, a partire dal porto di La Spezia. Qui due navi – la Dov Soz e la Eliyahu Goulomb –  con 1014 migranti furono bloccate a lungo. Gli ebrei fecero dimostrazioni sui moli, avviarono uno sciopero della fame, chiesero a gran voce con manifestazioni di sostegno fin dentro Roma che venissero aperti i porti.

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Lo striscione della manifestazione di appoggio alle loro richieste tenutasi a Roma esibiva un secco “Aprite le porte”. E alla fine questo obiettivo fu raggiunto, i 1014 sbarcarono ad Haifa. In precedenza un altro luogo di sbarco era stato Cesarea.

A La Spezia si occupò di loro con bellissimi reportage Franco Fortini che pubblicò i suoi pezzi in settembre sul supplemento  “La lettura” del Corriere della sera.

Il movimento era nato nel ‘45, sostenuto dai soldati ebrei della Brigata ebraica. E’ a Tarvisio, in Alto Adige, che i soldati ebraici portarono una corposa rappresentanza di superstiti dei campi per ascoltare le loro storie, storie che fino a quel momento avevano avuto scarsa circolazione. Tra maggio e giugno del 45 passarono di lì 15 mila superstiti.

A Tarvisio fu consolidato l’impegno di sostenere l’aliya e che si sarebbe tradotto in numerosi passaggi illegali di superstiti della Shoah sulle nevi dell’arco alpino, un’altra immagine che richiama con forza le immagini dei giorni nostri.

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In Italia erano stati allestiti una trentina di campi di raccolta per gli ebrei, uno anche a Roma dove a Cinecittà uno studio cinematografico venne usato per ricavarci postazioni per accogliere famiglie in fuga dall’Europa dei nazismi.

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I campi erano a Grugliasco e a Rivoli in Piemonte, Cremona, Fermo, Santa Maria al Bagno. A Firenze fu utilizzata una casa di convalescenza. Fu usato anche il campo di Ferramonti in Calabria. In Puglia i campi erano a Bari e nel Salento, a Tricase, Santa Cesarea e Santa Maria di Leuca.

Ad organizzare il movimento verso la Palestina provvedettero con i soldati della Brigata Ebraica soprattutto gli ebrei militanti Ada Sereni e Yehuda Arazi.

Dopo il Dolin fu allestita nel dicembre ’45 la nave Hannah Szenes, che il 14 dicembre 1945 trasportò 252 ebrei in Palestina. Altre navi coinvolte nell’Aliya Bet furono la Isaiah Wegewood, la LaNitzahon, la Medinat. Il capitano Enrico Levi che aveva armato il Dolin fu poi a capo sulla Kadma, la prima nave passeggeri della Zim. Su 65 navi organizzate in Europa per portare ebrei in Palestina più della metàè  furono all3estite in Italia, ben 34.

Com’era quel Mediterraneo di allora? Zeppo di mine. Con gli inglesi cani da guardia del nuovo ordine postbellico. Per raggiungere la Palestina bisognava affrontare le Alpi innevate, i campi profughi, le imbarcazioni precarie, le navi affollate, i divieti di imbarco, gli scioperi della fame…Bisognava come oggi chiedere “porte aperte”.

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