GLI ITALIANI E LE LEGGI RAZZIALI
Con le leggi razziali più che dai fascisti il peggio è dato dagli italiani fascistizzati. Un ‘Italia miserabile in cui si mescolano egoismo, ignoranza, vigliaccheria, un’Italia orrida come è raccontata da chi l’ha subita. Riprendo da “Di pura razza italiana” di Mario Avagliano e Marco Palmieri (Baldini & Castoldi, 2013):
“La milanese Anna Falco, esclusa dalla quinta ginnasio del liceo Manzoni, resta scioccata dall’ “improvviso silenzio”, soprattutto da parte delle “due amiche del cuore, con cui mi ero scambiata regolare corrispondenza per tutta l’estate appena trascorsa”.
A Fiume Luigi Sagi vede i suoi compagni che girano la testa quando li incontra per strada”.
A Ferrara scrive Eugenia Bassani “le mie compagne di scuola non solo non mi frequentavano più, ma neanche mi salutavano se mi incontravano per la strada”.
“Ci fu una frattura violenta”, ricorda Gian Paolo Minerbi, espulso dal liceo Ariosto. “Quasi tutti i ragazzi della mia classe non mi salutavano più, cambiavano marciapiede quando mi vedevano per strada”.
Nedo Fiano: “Non capivo perché nessuno dei compagni di scuola e dei balilla mi avesse detto una parola di solidarietà”.
Eugenia Servi a Pitigliano: “Dalla sera alla mattina, insegnanti e bambini, compresi quelli della mia stessa classe mi tolsero il saluto”.
Angelo Piperno, studente del liceo Mamiani a Roma: “Tra i professori c’è chi difese il decreto sostenendo che quanto era accaduto era la necessaria conseguenza di tutto ciò che gli ebrei avevano commesso”.
Giacoma Limentani, alle elementari a Roma: “Una maestra fascista mi disse: “Fuori di classe, sporca ebrea”.
A Torino Giuliana Bozzi Punteruoli: “Sul grembiule bianco , dietro, mi scrivevano: “Porca ebrea, vattene”.
A Biella Luciana Nissim, studentessa in medicina, incontra il professore di lettere del ginnasio che le dice: “Qualsiasi cosa faccia, Mussolini ha sempre ragione”.
Mario Levi a Napoli ricorda che i bambini lo prendevano in giro dicendo che gli ebrei hanno la coda…
A Torino Franca Ovazza incontra in Corso Vittorio un amico che vedendola sputa per terra e grida. “Porco sangue di ebreo”.
Il libro prosegue dando conto di altre barbarie e un breve paragrafo è dedicato a chi invece mostrò solidarietà, un’infima parte del paese.
Era bastato un decreto a mutare la realtà, innescando un comportamento collettivo di assuefazione al sopruso, alla barbarie, alla distruzione dei rapporti sociali.
E’ illuminante sulla deriva che possono avere intere società, dall’oggi al domani.
In appendice ripropongo quello che ha scritto nei suoi diari Paolo Padovani, espulso dal liceo Piccolomini di Siena:
“Cominciato il nuovo anno scolastico, un giorno di ottobre provai il desiderio di avvicinarmi al Liceo e di veder uscire i compagni, alcuni dei quali mi erano rimasti amici e che vedevo qualche volta il pomeriggio. Salii verso la piazza S. Agostino, mi sedetti su un muretto di pietra sotto i grandi alberi e attesi che suonasse la campanella dell’ultima ora. Dopo poco dal portone cominciarono ad uscire ragazzi e ragazze, tra questi quelli della mia classe. Mi ero messo in un punto davanti al quale dovevano passare tutti e attendevo che quelli che mi conoscevano si fermassero a salutarmi e a parlare con me. Non sapevo, però, che i professori più zelanti avevano spiegato le leggi fasciste e avevano diffidato dal trattare ebrei esclusi dalla scuola perché nemici della Patria e del Duce. Così il grosso dei compagni mi vide benissimo ma passò davanti senza fermarsi e solo qualcuno accennò a un saluto. Non c’era astio, naturalmente, ma diffidenza, conformismo, forse paura di essere notati. Passavano lentamente, anzi rallentavano, si guardavano attorno e alcuni mi fissavano come se fossi un oggetto, non un compagno e un amico. D’improvviso mi sentii gelare…e non ebbi la forza di tirarmi in piedi. Quando poi mi vennero incontro due fratelli che conoscevo bene e che erano già (come seppi poi) antifascisti e mi rivolsero la parola cordialmente sedendosi vicino a me, fu allora che sentii bruciante il dolore di essere diverso , il dolore senza limiti dell’uomo rinnegato e colpito a morte senza ragione e senza colpa”.