Informazioni che faticano a trovare spazio

Enzo Masini

Enzo Masini, un uomo dalle molte vite. Se n’è andato stanotte a Porto Santo Stefano, nella casa della moglie Emilia. Una malattia che non si poteva fermare. Aveva 67 anni, viveva a Lucca. Amava il mare, sono contento che abbia passato le ultime sue ore con davanti agli occhi il Tirreno. Da anni era psicologo e counselor, aveva messo in piedi una struttura che si chiama Prepos, si era a lungo occupato di tossicodipendenze, elogiava l’empatia come metodo, aveva mosso i primi passi tra Palermo e Trapani incrociando la sua strada con quella di Mauro Rostagno. Sul sito Prepos ci sono lunghissime descrizioni del lavoro che faceva con la moglie Emilia, altrettanto sterminati elenchi di pubblicazioni e di studi. Insomma Enzo Masini non si era mai risparmiato, con quella capacità di iniziativa ed entusiasmo che gli avevo conosciuto da giovane. E ha lasciato anche cinque figli, tre dalla prima unione (Daniele, Giulia, Francesco), due dalla seconda (Valentina e Riccardo, il più piccolo, di 19 anni).

L’avevo incontrato poco tempo fa al Chiostro del Bramante, a Roma, dove aveva esposto le sue opere frutto di materiali ferrosi perlopiù di recupero. Opere legate al suo lavoro di ricerca psicologica.. Mi aveva portato una copia di un volumetto del commissario Sanantonio, che a vent’anni leggevo in mezzo a tante altre cose. Ne abbiamo riso insieme.

Ma qui voglio ricordarlo per come l’ho conosciuto a Genova quando vi arrivai nel 1969 per mettere in piedi Lotta Continua. Enzo Masini frequentava la famiglia Baracico, al Carmine, di fronte alla chiesa in cui c’era don Andrea Gallo, un compagno di strada.

I Baracico, Nuccia e Sandro, lei casalinga, lui idraulico, luxemburghisti e operaisti, cattolici di base, avevano messo in piedi un Comitato operai-studenti. Gli operai erano operai dell’Italsider di Cornigliano, uomini come Scuto o Renzo, gli studenti erano giovani come Enzo Masini.

Enzo veniva dalla Valpolcevera, era figlio di un operaio di una ditta di pulizie all’Italsider, Aldo, era uno studente e arrivò poi a iscriversi a Trento a Sociologia, cavalcava una moto Laverda con cui discendeva dalla sua valle verso la città e viceversa. Era un tipo assai allegro e a vent’anni – era nato nel 1950 – si permetteva oltre alle attività politico-militanti anche la vita scherzosa di un figlio di quella lunga valle che fa capo a Bolzaneto, oggi nome avvolto di tristi contenuti. Cosa faceva ai semafori Enzo? Ai motociclisti che lo affiancavano in attesa del “verde”  spesso proponeva una “cianchetta”. Cioè una corsa a perdifiato fino al semaforo successivo (non c’erano autovelox allora). Naturalmente ne riferiva col sapore di un gioco, pericoloso certo, ma pur sempre un gioco. Come quello che faceva a volte sotto la nostra sede di San Donato quando per andare a Trento, dove aveva poi conosciuto Francesco Alberoni, improvvisava divertenti questue tra i compagni che erano altrettanto squattrinati.

Quando distribuivamo volantini al mattino che era ancora buio eccolo che arrivava trafelato con i capelli impennati (non c’erano caschi allora…), scendeva di corsa, ingaggiava subito discussioni in dialetto stretto col primo operaio incontrato…

Con suo padre ero andato a fare delle giornate dentro l’Italsider, occasione che mi aveva permesso di perlustrare parecchi reparti e conoscere quel mostro siderurgico con le sue colate in acciaieria, l’altoforno, il blooming, i piani di laminazione a caldo e a freddo, la cockeria…

Enzo animava spesso le discussioni di allora, con quel suo accento assai strascicato genovese, il ciuffo biondo, gli occhiali da miope, la battuta pronta…

Saperlo ora battuto alle 2 di questa notte da un male dà un grande dispiacere. Stavolta la cianchetta è andata male. Lunedì, tra Orbetello e Porto Santo Stefano, una funzione gli è dedicata alle 15 al Monte dei Passionisti. Ciao Enzo, è stato un piacere averti incontrato.

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