Sono passati cento anni dalla morte, per impiccagione, di Cesare Battisti.
In un libro – “Impiccateli!” – ho cercato di rievocarne il tragitto umano e politico, insieme a quello di Nazario Sauro impiccato un mese dopo Battisti, a Pola, il 10 agosto.
Ancora è vivo uno strano dibattito, specie nella sua terra, se sia stato un eroe o un traditore.
Direi che nessuna delle due soluzioni ci possa essere d’aiuto, oggi.
Battisti semmai è una vittima, anche lui, di quell’immensa carneficina che fu la Grande Guerra alla quale andò convinto che fosse l’occasione utile per realizzare il sogno di portare dentro i confini nazionali quel Trentino allora “austriaco”.
Battisti è la testimonianza di un tentativo protratto nel tempo, da militante socialista e antimilitarista, di riformare dal basso ciò che allora era il cuore dell’Europa, quell’impero austro ungarico asse degli imperi centrali.
In questo Battisti ha anticipato con la sua sconfitta la crisi drammatica che ancora continuiamo a vivere di fronte al problema Europa.
L’asse del suo intervento negli anni, come rappresentante del Partito socialista austriaco e come parlamentare al parlamento di Vienna e poi alla Dieta di Innsbruck, è stato quello di tentare una via riformatrice dell’impero per una sua democratizzazione in favore delle minoranze etniche nazionali.
Battisti infatti apparteneva a quello strano conglomerato politico che aveva sede a Vienna e che come partito socialista era articolato in sei strutture nazionali: polacca, tedesca, ceca, ungherese, austriaca, italiana.
Il collante di quell’aggregazione era destinato a venir meno con l’entrata in guerra dell’Austria nel 1914 e con la concessione dei crediti di guerra votata dai parlamentari socialisti tedeschi.
E’ stato quello, nel ’14, lo spartiacque che ha determinato per Battisti il giro di boa verso l’interventismo.
Battisti che fino a quel momento era stato un fervente antimilitarista e che aveva a più riprese condannato l’ipotesi di una guerra come inutile carneficina decise di passare il guado per cogliere l’occasione che si presentava all’Italia, conseguire quel risultato atteso verso le terre cosiddette irredente, il Trentino in primo luogo.
Questo obiettivo è stato perseguito dal giovane geografo militante socialista – aveva solo 41 anni al momento della morte – fino alle sue estreme conseguenze, quelle derivate dalla cattura sul Pasubio nel luglio del 1916.
La fede di Battisti è proseguita poi ne l tempo attraverso la vedova, Ernesta Bittanti, e i suoi figli, Luigino e Livia in particolare (nella foto). Loro la capacità nel dopoguerra di respingere l’abbraccio fascista e di perseguire con coerenza una linea d’impegno antifascista.
Ricorderò tutto questo, spero, martedì alle 16 a Radiotre, ospite di Fahrenheit.