Perché John Kerry dovrebbe chiedere scusa ai giapponesi per Hiroshima e Nagasaki? Se non altro per il modo nel quale allora gli Stati Uniti tentarono di nascondere l’orrore della loro scellerata azione.
A scoprire l’orrore fu un reporter australiano, un uomo di sinistra, Wilfred Burchett. Fu lui con un reportage per l’inglese Manchester Guardian (si chiamava allora così il Guardian di oggi) a rivelare al mondo il 14 agosto quello che era successo ad Hiroshima. Burchett arrivò nella città distrutta otto giorni dopo l’esplosione, munito di una macchina portatile da scrivere, un vocabolarietto giapponese, una pistola. Tutte cose che si era portato dietro e che non erano comunque di grande utilità. Ad Hiroshima non si capiva ancora bene cosa fosse successo. Lui scrisse un pezzo intitolato “atomic plague”, peste atomica. Capì l’indispensabile. E sfuggì alla ferrea censura del capo americano, il generale Douglas MacArthur.
A Nagasaki invece un giornalista americano, tale George Weller, dette il peggio di se stesso obbedendo alle direttive del comando americano.
Ecco, di questo dovrebbe vergognarsi Kerry.
Un po’ come con Chernobyl: mica ce l’hanno detto i russi. Nel 1986 i russi tacevano. Il disastro fu rivelato dalla Svezia, che con i suoi rilevatori scoprì quello che era successo in Ucraina.
Il mondo ha bisogno di gente così, non di Kerry sussiegosi non si sa bene neanche di che cosa.
(Proprio ora che gli Usa stanno portando avanti un demenziale programma di miniaturizzazione delle atomiche in grado di essere utilizzate anche in profondità, come ha rivelato pochi mesi fa il New York Times).
Tanti anni fa ho letto in una traduzione italiana il diario di un medico di Hoiroshima, un’edizione Adelphi. Era terrificante. Un medico che cercava di aiutare i feriti senza capire che cosa fosse successo esattamente. Un buddista. Questo è mostruoso: per una decina di giorni il mondo ignorò l’esistenza della bomba atomica…