Informazioni che faticano a trovare spazio

Sandro Baracico

Una mini rossa multipla con gli attrezzi da idraulico e i volantini da dare all’Italsider. Una casa al Carmine, su su in alto con quelle scale strette, in salita Negrone Durazzo di fronte a una chiesa in cui c’era quel prete particolare, don Andrea Gallo poi diventato per tutti don Gallo. Un cristianesimo di base che condivideva con sua moglie Nuccia. Le idee luxemburghiane, soprattutto fare un comitato di base operai-studenti, essere a sinistra e stare fuori da quell’impossibile Pci, battersi contro la silicosi che nella siderurgia è il pane quotidiano dei poveri operai siderurgici, cercare una via per il riscatto. In più una grande generosità e un forte senso dell’ospitalità, della comunanza, della condivisione.

Il messaggio che mi arriva dice molto semplicemente che Sandro Baracico è morto a casa sua nel sonno. Aveva 75 anni e viveva isolato, nella campagna alessandrina, in una specie di piccola cascina a Rocca Grimalda, con una radio con cui ascoltava Radio Popolare da Milano, un telefono di quelli col prefisso quasi sperduto nel nulla, per il resto vivendo di poco o nulla, evidentemente stanco di essere stato così a lungo a Genova dove ero andato a bussare alla sua porta nel gennaio (gennaio?) del 1969.

Si trattava allora ,in quell’inizio di anno, di metter su qualcosa, tipo gli operai torinesi che avevano dato vita a Lotta continua su a Torino. Lui, con Nuccia, nel nuovo corso ci metteva quell’agitazione già in piedi con l’intervento del loro comitato dentro la grande Italsider di Cornigliano, la “oscì” come si chiamava allora (dal costruttore Oscar Senigaglia), compresi alcuni studenti e operai come Mimmo e Renzo.

Li avevo conosciuti. Sandro e Nuccia, a Pisa dove erano venuti nell’autunno del ’68 a vedere cosa si combinava lì.

Li avevo accolti io e dunque avevamo scambiato un po’ di storie. Pisa con i suoi studenti, i netturbini, gli operai della Marzotto e della Saint Gobain, le discussioni sul futuro ecc. Loro avevano Genova alle spalle, con quei monoblocchi del Pci, le fabbriche del Ponente ma anche la novità di quella fabbrica particolare, la oscì, che nata nel secondo dopoguerra sulle ceneri delle industrie genovesi e dell’impero Ansaldo rappresentava un grande punto interrogativo oltre che un grande agglomerato di operai.

Così quando sono andato a bussare a casa loro – dopo essermi fatto dare un passaggio fino a Genova, scendendo a piazza dell’Annunziata, da un giovane radicale romano che passato da Pisa era diretto a Torino e alla Fiat che voleva vedere (erano tempi così) – loro mi hanno accolto in tutta semplicità, dandomi un posto dove dormire e un frigorifero in cui pescare di quando in quando qualcosa. Li ringrazio ancora, sono cose che oggi difficilmente riescono così.

E poi? Poi abbiamo cominciato a mettere in piedi qualcosa che assomigliasse, almeno un po’, a quello che stavano facendo più su al nord, tra Torino e Milano. In fin dei conti seppure alquanto sbertucciata Genova continuava (almeno nei libri) a far parte del triangolo industriale. Ma questo è certamente l’aspetto meno importante.

Quello che invece va ricordato era il modo con cui Sandro, con quel suo pizzetto sempre abbastanza curato, faceva tra un intervento di idraulico e l’altro (tra l’altro cercò anche di insegnarmi un po’ il mestiere, ma francamente non ero granché adatto salvo girare quella durissima madrevite intorno ai tubi per filettarli che era un lavoraccio assai impegnativo…). Sapeva un sacco di cose su quella fabbrica di Cornigliano, sulle qualifiche e i trattamenti economici, il ciclo produttivo, la storia di quell’impianto che oggi non è più niente ma che per essere messo in piedi dal nulla conquistando il mare e riempiendolo di terra era costato nel dopoguerra la vita a un sacco di operai morti dentro le “campane” con cui lavoravano sott’acqua. Morti dimenticati.

I Baracico poi conoscevano le comunità cattoliche di base, le avevano frequentate, erano anche da quel punto di vista una miniera di notizie e spunti.

Le riunioni si facevano a casa loro all’inizio, il ciclostile c’era e quando era rotto ricorrevamo a quello di don Gallo, che ce lo prestava volentieri salvo chiederci a cosa servisse e poi saputo che era contro la silicosi dava naturalmente il via libera.

Poi prendemmo un bugigattolo in una stradina di Cornigliano che fu pomposamente ribattezzato Sezione di Lotta continua. Per l’inaugurazione stappammo una bottiglia di vino di Coronata, la collina che sovrasta Cornigliano, un vino ferroso di natura, assai curioso e buono di cui si è perso poi traccia, chissà chi lo portò.

Quante volte nei quattro anni in cui sono stato a Genova Sandro è arrivato con la sua mini rossa, una rara multipla rossa, assai utile anche quando c’era da portare striscioni e cartelli.

Uomo mite, in fin dei conti, e assai dialettico, affrontava lunghe discussioni con calma e gentilezza, cercando di conquistare con l’intelligenza accompagnata dai “belin” di prammatica l’attenzione dei suoi interlocutori, spesso difficile e complicata.

Da anni era andato a vivere con Nuccia in quella campagna che gli piaceva. Prima è morta lei, ora lui. Non voleva consegnarsi alle lobby dei medici, così diceva. Ha lasciato le parole crociate con sopra gli occhiali, un libricino, ed è andato a letto per non svegliarsi più. Lascia due figli grandi, Davide che vive in Brasile che era stato da lui fino al 23 novembre, Simona che sta nel pisano oltre ad Alice la più giovane. Lo porteranno in settimana, a piedi, nel cimitero che è piuttosto vicino, due-trecento metri. Se ne va con loro (lui e Nuccia) un pezzo di solidarietà militante che torna alla memoria, come già ieri quella di Tito Capponi e di Adele, un’altra famiglia di allora importante nella mia vita genovese di quegli anni, scomparsi da poco anche loro…Tutte persone straordinarie, coraggiose e buone che difficilmente potranno essere dimenticate.

ps: non ho una foto di Sandro, metto gli operai dell’Italsider, lui capirà…

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