Informazioni che faticano a trovare spazio

Solidarietà alla giornalista Marina Morpurgo, processata per aver criticato una pubblicità ritenuta sessista

La legge sulla diffamazione rischia di fare un’altra vittima, la giornalista Marina Morpurgo, che a metà maggio è chiamata a rispondere in un tribunale italiano delle sue frasi di protesta per il sessismo contenuto in una pubblicità a suo tempo inserita sulle pagine di  Facebook.

Una legge già sbagliata, al punto che permette di chiamare in giudizio chi ha scritto qualcosa su Facebook come se fosse un organo di stampa, ma che potrebbe perfino “peggiorare” se dovesse mai passare la bozza di testo che in terza lettura è tornato da poco alla Camera dei deputati, nella Commissione Giustizia, un testo contro il quale – così come è attualmente concepito – non ci può che essere il no dei giornalisti italiani e di chi vuole difendere la libertà di stampa. E di questo si dovrà tornare presto a parlare.

Ma veniamo a ;Marina Morpurgo, giornalista milanese con una carriera alle spalle che l’ha vista inviata all’Unità e poi a Diario.

Marina Morpurgo si è imbattuta tempo fa su Facebook in un manifesto con l’immagine di una bambina intenta a truccarsi col rossetto e a promuovere una scuola per estetiste a Foggia. “Farò l’estetista, ho sempre avuto le idee chiare”, così una bambina bionda ritratta col rossetto rosa appoggiato alle labbra imbellettate. La reazione di Marina Morpurgo è stata quella di criticare, sempre su Facebook, il social network su cui compariva il manifesto, lo spirito di quella campagna pubblicitaria ritenuta ammiccante. “Era una pubblicità orribile che faceva parte di una campagna che non mi era piaciuta. Sono andata sulla pagina Facebook della scuola e ho espresso il mio disappunto in maniera contenuta, accusandoli di avere una visione arcaica della donna”, ha raccontato la cronista a Ossigeno per l’Informazione.

La giornalista ha poi scritto un commento anche sul suo profilo personale, dicendo che “chi aveva creato quella campagna andrebbe impeciato e impiumato”. Una frase”, assicura, “che diceva zio Paperone nei fumetti, una cosa scherzosa”.

Ma la Siri, la scuola in questione, l’ha querelata per diffamazione. Ne è conseguita  la citazione in giudizio con l’accusa di diffamazione a mezzo stampa per “aver offeso l’onore” della scuola in questione, citazione emessa da un pubblico ministero della procura di Foggia nei confronti della giornalista. .

“Quando ho visto la denuncia sono rimasta allibita. Al processo dimostrerò di non aver travalicato il diritto di critica”, spiega la giornalista, che deve intanto affrontare autonomamente le spese legali. Marina Morpurgo, tra l’altro, riferisce di non essere stata contattata in alcun modo dalla scuola prima dell’azione penale. “Non mi hanno proposto alcuna alternativa. Se dopo le frasi incriminate mi avessero scritto avremmo potuto parlare, spiegarci e avrei anche potuto cancellare il commento. O avrebbero potuto rimuoverlo loro. Invece niente di tutto questo è stato fatto”, racconta.

La prima udienza del processo è prevista per il 15 maggio. Il giudice dovrà decidere se si tratti davvero di diffamazione a mezzo stampa. “Questa storia è singolare, visto che Facebook non è un organo di stampa e ci sono sentenze della Cassazione che vanno in questo senso”, dice la cronista, che spiega di aver ricevuto “un’ondata di messaggi di solidarietà” sulla sua pagina Facebook e sulla sua mail (marina.morpurgo@gmail.com).

Noi, suoi colleghi, possiamo fare qualcosa? Possiamo certamente dire di no a una legge sbagliata sulla diffamazione che permette di portare in giudizio chi critica pubblicità ritenuta sessista, quel tipo di immagini che un’alta istituzione come il Comune di Roma retto dal sindaco Ignazio Marino ha appena deciso di escludere tassativamente dalla cartellonistica sulle pubbliche strade. Ed esprimere solidarietà a Marina Morpurgo, una giornalista che non deve essere lasciata sola di fronte a un tribunale della repubblica .

Péaolo Brogi

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