In ottobre, dall’ospedale di Tor Vergata, Elena Bentivegna mi chiamò. “Non per me, ma per gli altri…”, mi disse. Segnalava pasta scotta, fredda, semincollata. Uno schifo. A una vicina, senza denti, avevano dato una mela. Dura, durissima. “Almeno giel’avessero cotta…”. Telefonai un po’ in giro, fino alla responsabile di area del Tribunale del malato. Qualcosa cambiò in quel vitto, così mi segnalò a distanza di giorni Elena.
Era lì, col suo cuore in difficoltà. Poi è passata all’Istituto neurotraumatologico di Grottaferrata, l’Ini. Dove è morta questa mattina alle 9.
A Colle della Madonnella, a Zagarolo, lascia i suoi pensieri e i suoi files. Come quelli spediti agli ambasciatori (12) che hanno a che fare col cimitero acattolico di Testaccio, quello che non ha voluto le urne cinerarie dei suoi genitori Carla e Rosario. Ogni tanto mi mandava le risposte assai burocratiche che riceveva. Le migliori la reindirizzavano all’ambasciatrice del Sud Africa, la responsabile pro tempore, quella che aveva detto no.
Elena scriveva, ricordava ai paesi “alleati” che avevano dato onorificenze ai suoi genitori, cercava di far ricordare. Duro mestiere quello del ricordo.
Con suo padre in Campidoglio, per presentare il suo ultimo libro, abbiamo ripercorso anni di liti giudiziarie tutte segnate da quelle orride bugie ripetute contro Capponi e Bentivegna. Dovevano presentarsi ai tedeschi, perché non hanno risposto ai bando e agli annunci radio? Perché, ripetevano negli anni i giornalisti di destra….?
Perché non ci sono mai stati né bandi né appelli radio. I tedeschi hanno fatto la strage in 36 ore. Dopo hanno pubblicato un annuncio orrendo sul Messaggero. Il nostro, ripeteva Bentivegna, è stato solo un atto di guerra.
Elena ha sentito tutto questo per anni. I suoi si erano subito separati dopo la sua nascita, nell’immediato dopoguerra. Era restato quel patrimonio da difendere dai Belpietro e Vespa, dal Giornale e da Libero ecc, era restata soprattutto lei.
Lei era stata abbracciata da tutti alla morte di Sasà (nella foto), per il funerale laico nel cortile della Provincia a Palazzo Valentini. Poi però è calato l’oblio.
Come è stato possibile che Elena Bentivegna, in carrozzella, da sola con un piccolo gruppo di amici, sia stata costretta a disperdere le ceneri di Carla e di Sasà nel Tevere, lo scorso settembre?
Poi Elena era finita di nuovo in ospedale. E non ne è uscita più.
Ma ha fatto in tempo a onorare i suoi genitori.
Brava Elena, in che misero paese hai finito i tuoi giorni…