Informazioni che faticano a trovare spazio

Genova, dopo la morte di Mauro Rostagno una lunga stagione di “insufficienze investigative, sottovalutazioni, inspiegabili omissioni, miopie, orientamenti di pensiero naturalmente adesivi verso Cosa Nostra”. L’intervento di Paolo Brogi

I depistaggi hanno costituito il centro dell’intervento di Paolo Brogi intervenuto a Palazzo Ducale il 28 novembre 2014 nell’iniziativa per Mauro Rostagno.

Cosimo Cristina, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato e Maro Rostagno. I loro nomi – ha esordito Paolo Brogi – sono stati aggiunti tre anni fa al “Journalist Memorial”del Newseum di Washington insieme a quelli di 59 giornalisti uccisi in vari Paesi nel 2010 mentre svolgevano il loro lavoro di cronisti e di altri 14 colleghi che negli anni precedenti hanno perso la vita per ragioni legate al loro lavoro. Inaugurato nel 2008, il Museo del giornalismo americano contiene 2084 nomi di martiri dell’informazione.

Questo avveniva nel 2011 – ha ricordato Paolo Brogi – mentre il processo per l’omicidio di Mauro Rostagno era appena iniziato.

Gli americani non hanno aspettato il verdetto del processo per dare a Rostagno quel minimo risarcimento che da noi ancora stenta ad essere riconosciuto.

Perciò grazie a Genova, grazie sindaco Doria per la decisione presa.

L’oscuramento su Rostagno è stato in tutti questi anni che vanno dal 1988 – anno dell’omicidio – ad oggi nient’altro che l’altra faccia dei depistaggi, quel lungo e protratto tentativo di spostare l’attenzione altrove.

Tutto inizia la sera stessa dell’omicidio con quel carabiniere che all’obitorio di Trapani disse a caldo che nella borsa di Rostagno erano stati trovati soldi e siringhe. Una falsità totale, eppure fu detta. Perché?

Il fango, iniziava così una lunga stagione di depistaggi. Come per tutti gli altri giornalisti ammazzati in Sicilia da Cosimo Cristina – il primo nel 1960 – a tutti gli altri il fango è la ricetta più usuale usata dalla mafia che oltre ad eliminare la persona cerca di distruggere anche che tutto ciò che la vittima ha fatto in vita sua: ciò che aveva detto e scritto non è mai contato nulla. E la morte è solo una questione di corna…

Cosimo Cristina che aveva indagato per l’Ora di Palermo sui frati di Mazzarino e altri casi di mafia fu ucciso e fatto ritrovare sui binari della ferrovia, di lui fu subito detto che era un fallito e che era stato lasciato dalla ragazza, insomma si inaugurò con lui un fango che poi è continuato nel tempo usando anche uno scenario che è tornato altre volte.

Il processo ha mostrato pagine inenarrabili sul comportamento di investigatori che mettendo da parte ogni interesse per le responsabilità della mafia hanno contribuito a mettere in piedi piste alternative basate sul nulla.

Sono stati ricordati tre esempi di investigatori che volevano guardare altrove,  come si ricava dal prezioso contributo di Benedetta Tobagi realizzato due anni fa per il convegno su Rostagno tenuto a Milano. Il generale Montanti, il capitano Dell’Anna, l’ex capo della Digos di Trapani Pampiullonia.

Il generale Nazareno Montanti, all’epoca dei fatti capo del reparto operativo dei carabinieri a Trapani, è quell’ufficiale che definiva in un rapporto “sbeffeggiata” la pista mafiosa “tanto cara a certi organi di stampa della sinistra”.

Il generale dei Carabinieri, ora in pensione, Nazzareno Montanti è stato ascoltato in ben due udienze del processo di Trapani. In quella del 15 giugno 2011 ha dovuto rispondere in merito al suo  rapporto sulle indagini in antitesi con quello della squadra mobile guidato da Calogero Germanà (un poliziotto che scampò poi a un micidiale agguato di Leoluca Bagarella, Matrteo Messiuna Denaro e Graviano, poi fu trasferito al Nord). Il rapporto Germanà, focalizzato sulla pista mafiosa, fu accantonato. Le indagini furono indirizzate dal rapporto dei Carabinieri, che privilegiò la pista interna alla comunità Saman invece di quella mafiosa.

Non solo: i carabinieri avevano sentito Rostagno sulle sue indagini in merito alla massoneria dell’Iside 2 di Trapani, questi verbali non furono mai trasmessi all’autorità giudiziaria.

Come ha precisato il PM davanti al generale in udienza: “C’è una evidente discrasia, un’incongruenza obiettiva tra quello che era il patrimonio informativo e conoscitivo di cui disponeva il Reparto Operativo e quello che lo stesso ha rappresentato all’Autorità Giudiziaria, come esito preliminare delle indagini su Mauro Rostagno”.

Il massimo però è stato raggiunto quando il generale è caduto dalle nuvole in merito alle armi utilizzate per l’omicidio (un fucile e una pistola), nel senso che si è perfino meravigliato della presenza di un revolver…

Il secondo teste indicato da Benedetta Tobagi è stato il capitano dei carabinieri Elio Dell’Anna.

“E’ molto inquietante, in proposito, – ha scritto Benedetta Tobagi – la testimonianza del colonnello Elio Dell’Anna (udienza 13/6/2012), un altro carabiniere membro del Reparto Operativo di Trapani. Nel 1992 andò a Milano su delega della Procura di Trapani (in realtà, la delega sarà formalizzata solo successivamente all’incontro), “a cercare di accertare o di sviluppare una ipotesi investigativa che era quella che poteva legare l’omicidio Rostagno all’omicidio del Commissario Calabresi”. Una prassi quantomeno irrituale, ricorrere a un simile contatto informale: il Codice penale prevede il collegamento tra magistrati, non l’intermediazione degli ufficiali di Polizia Giudiziaria, precisa l’accusa.

Agli atti è acquisito un appunto, del 4 novembre 1992, a firma Dell’Anna, che comincia così:

“Sembra necessario segnalare alla Signoria Vostra quanto il Dottor Lombardi ha dichiarato in un colloquio informale avvenuto il 3 corrente mese con lo scrivente […]”.

In questo documento, il colonnello Dell’Anna attribuisce al dott. Lombardi (giudice istruttore nel processo per l’omicidio del commissario Calabresi) affermazioni perentorie, come “il Rostagno era al corrente di tutte le motivazioni, compresi esecutori e mandanti concernenti l’omicidio Calabresi”, “il Rostagno aveva rotto i ponti con i suoi ex compagni di Lotta e forse aveva intenzione di dire la verità” e la convinzione che l’omicidio Rostagno fosse nato nel contesto di Lotta Continua. Ma il dottor Lombardi ha smentito recisamente, in altro procedimento, di avere mai affermato che il delitto Rostagno era da collegarsi all’omicidio Calabresi.

Non esiste una registrazione di quell’incontro – ha aggiunto Benedetta Tobagi. Il pubblico ministero cerca di capire se effettivamente tutte le informazioni contenute in quella nota vengono da un colloquio con il dottor Lombardi. Incalzato, il colonnello Dell’Anna spiega “di avere acquisito le dichiarazioni di Marino e altre cose, è probabile che in quel momento siano confluite in quel promemoria”. Desta sconcerto sentirlo ammettere: “avrei dovuto, per essere più corretto […], al dottor Messina avrei dovuto scrivere, […] Riporto quello che ho sentito dal Dottor Lombardi, quello che ho sentito da Marino e quello che ho letto e il mio pensiero che mi sono fatto”, anziché attribuire i contenuti del promemoria solo al dottor Lombardi”.
Non solo. Dell’Anna non ricorda se parlò direttamente col pentito Leonardo Marino (accusatore al processo per l’omicidio Calabresi), o se si basò su verbali d’interrogatorio resi da Marino al dottor Lombardi. Quei documenti allora erano coperti da segreto istruttorio. Dell’Anna non ricorda bene, “qualcuno me li avrà dati però questi atti”, dice. E continua: “Non credo che me li abbia dati il Dottor Lombardi. Credo che me li abbia dati il reparto dei Carabinieri che aveva indagato sull’omicidio Calabresi e che aveva le dichiarazioni di Marino”…

Il terzo esempio fornito da Benedetta Tobagi è quello dell’ex capo della Digos Giovanni Pampillonia sentito nelle udienze del 30/3 e 6/4/2011. Quando assume la direzione della Digos, racconta Pampillonia, “era a un punto avanzato un’indagine che riguardava un’associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, che aveva come soggetti responsabili indagati proprio i responsabili della Saman… e il Procuratore della Repubblica di Trapani del tempo, il Procuratore Garofalo ci chiese di valutare se vi erano degli spunti investigativi in ordine all’omicidio Rostagno…che potevano fare riferire a dei soggetti all’interno della stessa Saman. Pampillonia ha ribadito in più passaggi che la Digos non si occupava di mafia.

P.M.: “Non conoscevate, dico, dal punto di vista investigativo, il fenomeno mafioso in quel periodo”.

Teste Pampillonia: “No, perché noi ci inseriamo in un meccanismo diverso, cioè noi ci inseriamo nella… otto anni dopo l’omicidio, allorché nessun apparato investigativo che si occupava di criminalità organizzata aveva avuto gli spunti investigativi che fossero riferibili a un omicidio di mafia… ripeto, che noi guardiamo questo omicidio partendo dal presupposto che già gli organismi deputati a contrastare le organizzazioni criminali avevano alzato le mani sostenendo che l’omicidio… che non si avevano riferimenti, tant’è vero che nel ’94 vi era una richiesta di archiviazione”.

Eppure, Pampillonia ha ben chiaro chi fosse Rostagno. Dice di lui: “Sì, io credo che Rostagno, molto dolcianamente, facendo riferimento a Danilo Dolci, attaccasse un sistema sociale nel quale vi era un congelamento di… dell’indignazione della gente rispetto ad un sistema bloccato di… politico clientelare mafioso. Quindi sicuramente Rostagno in questo ambito è stato… era una scheggia impazzita di un sistema dove, in realtà, fino a quel momento vi era la massima serenità, serenità in termini organizzativi; però vi erano delle… una cappa, fondamentalmente.” E ancora: “Era molto seguito Rostagno… perché, ripeto, le denunzie rientravano in un momento storico particolare … nel quale, ripeto, la società… quella che poi venne definita la società civile, cercava di riconoscersi in qualche soggetto che aveva il coraggio di dire le cose per quelle che pensava. … Rostagno sicuramente era un elemento di riferimento di questa società civile, di questa futura società civile, insomma.”

Però la pista mafiosa è insabbiata e incagliata, nessun pentito, all’epoca, ne parla. La Digos, dunque, approfondisce i percorsi di sua competenza, come richiesto dal procuratore generale Garofalo. Spiega Pampillonia: “Il profilo di Rostagno è un profilo estremamente complesso perché, insieme a questa grande denuncia nei confronti di questo sistema politico clientelare mafioso, vi era anche una citazione a giudizio di Rostagno per l’omicidio Calabresi”, perché Rostagno era stato in Lotta Continua. L’avvocato di parte civile Lanfranca trae da un rapporto della Digos di allora il riferimento alle minacce ricevute da Rostagno prima della morte. Ma Pampillonia non ricorda. Non ricorda che accertamenti fecero. Si limita a confermare che tra gli spunti investigativi il tema “mafia” non fu indicato.

Lo ribadisce più volte, nella sua deposizione: “L’ho detto prima, noi interveniamo dopo otto anni dall’omicidio Rostagno, dove si occupano dell’omicidio Rostagno, per il quale in prima battuta si fa riferimento alla mafia, […] le indagini vennero svolte dal reparto operativo dei Carabinieri, da strutture che evidentemente si occupavano di mafia, sia la squadra mobile che i Carabinieri”. […] “Nel ’94 allorché vi era, questo lo so per storia, vi fu la richiesta di archiviazione, credo rigettata dal G.I.P., si pose il problema di vedere se era possibile trovare degli elementi nuovi che consentissero di esplorare delle aeree che fino a quel momento non erano state esplorate… Quindi era “ad escludendum”, non era un problema di… noi non abbiamo, abbiamo escluso noi la pista mafiosa, in quel momento non vi erano atti che potessero essere oggetto di approfondimenti investigativo, almeno ritengo perché il Procuratore me li avrebbe delegati e se li avesse delegati non avrebbe delegato sicuramente noi che eravamo la Digos”.

Dall’indagine della Digos scaturì come si ricorderà – erail 1996 – l’operazione “Codice Rosso”, nell’ambito della quale fu arrestata Chicca Roveri, completamente innocente: una pagina vergognosa”.

E quindi? Come ha ripetuto il Pm Paci durante la sua requisitoria  al processo di Trapani “le piste diverse da quella della mafia sono state una vergogna”. Paci ha anche ricordato a 26 anni dall’omicidio: “Questo era un processo che andava celebrato a un anno dal delitto…”.

E invece eccoci qua a 26 anni di distanza a fare i conti con ciò che la Procura ha elencato come “insufficienze investigative, sottovalutazioni, inspiegabili omissioni, miopie, orientamenti di pensiero naturalmente adesivi verso Cosa Nostra”.

Orientamenti di pensiero naturalmente adesivi a Cosa Nostra.

Conclusione: aspettiamo ora le motivazioni della sentenza, ha detto Paolo Brogi. Aggiungendo: dobbiamo ricordare che con la sentenza la Corte d’Assise di Trapani ha trasferito in Procura gli atti relativi a nove testi comparsi dentro il processo. Forse nove è un numero al ribasso, ha concluso Brogi, ricordando i nomi dei nove sospettati di aver “depistato”.

Essi sono il  maresciallo dei carabinieri Beniamino Cannas, la moglie del generale dei servizi segreti Angelo Chizzoni, i tre  muratori che si presentarono a fornire un racconto che alla luce della sentenza potrebbe essere servito da alibi al commando, Caterina Ingrasciotta moglie dell’editore di Rtc Bulgarella, il giornalista Salvatore Vassallo, il finanziere Angelo Voza e infine il massone Natale Torregrossa.

In questo paese però il reato di depistaggio – così come quello di tortura – è ancora da varare, ha detto Brogi. La piazza che ora viene intitolata in Genova a Rostagno serva intanto da stimolo ad altre realtà italiane per onorare il sacrificio di un uomo coraggioso.

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