Informazioni che faticano a trovare spazio

A Kobane è in ballo la Carta di Rojava, con la sua parità di sessi…

Segnalo:

Internazionale

Ecco perché Kobane è sola

—  Sandro Mezzadra, 8.10.2014

Guerra al califfato. Il vero bersaglio dell’Is, inventato da occidente e petromonarchie, è la straordinaria Carta della Rojava. E i combattenti kurdi sul terreno lottano contro il fascismo puro

Nei giorni scorsi H&M ha lan­ciato per l’autunno una linea di capi d’abbigliamento fem­mi­nili chia­ra­mente ispi­rata alla tenuta delle guer­ri­gliere kurde le cui imma­gini sono cir­co­late nei media di tutto il mondo. Più o meno nelle stesse ore, le forze di sicu­rezza tur­che cari­ca­vano i kurdi che, sul con­fine con la Siria, espri­me­vano la pro­pria soli­da­rietà a Kobane, che da set­ti­mane resi­ste all’assedio dello Stato isla­mico (Is). Quel con­fine che nei mesi scorsi è stato così poroso per i mili­ziani jiha­di­sti oggi è erme­ti­ca­mente chiuso per i com­bat­tenti del Pkk, che pre­mono per rag­giun­gere Kobane. E la città kurda siriana è sola di fronte all’avanzata dell’Is.

A difen­derla un pugno di guer­ri­glieri e guer­ri­gliere delle forze popo­lari di auto­di­fesa (Ypg/Ypj), armati di kala­sh­ni­kov di fronte ai mezzi coraz­zati e all’artiglieria pesante dell’Is. Gli inter­venti della «coa­li­zione anti-terrorismo» a guida ame­ri­cana sono stati – almeno fino a ieri – spo­ra­dici e del tutto inef­fi­caci. Già qual­che ban­diera nera sven­tola su Kobane.

Ma chi sono i guer­ri­glieri e le guer­ri­gliere delle Ypg/Ypj? Qui da noi i media li chia­mano spesso pesh­merga, ter­mine che evi­den­te­mente piace per il suo “eso­ti­smo”. Pec­cato che i pesh­merga siano i mem­bri delle mili­zie del Kdp (Par­tito demo­cra­tico del Kur­di­stan) di Bar­zani, capo del governo della regione auto­noma del Kur­di­stan ira­cheno: ovvero di quelle mili­zie che hanno abban­do­nato le loro posi­zioni attorno a Sin­jar, all’inizio di ago­sto, lasciando campo libero all’Is e met­tendo a repen­ta­glio le vite di migliaia di yazidi e di appar­te­nenti ad altre mino­ranze reli­giose. Sono state le unità di com­bat­ti­mento del Pkk e delle Ypg/Ypj a var­care i con­fini e a inter­ve­nire con for­mi­da­bile effi­ca­cia, pro­se­guendo la lotta che da mesi con­du­cono con­tro il fasci­smo dello Stato islamico.

Sì, per­ché è pur vero che l’Is è stato “inven­tato” e favo­rito da emi­rati, petro­mo­nar­chie, tur­chi e ame­ricni: ma sul ter­reno non è altro che fasci­smo. Ce lo ricorda l’ultima pal­lot­tola con cui si è uccisa l’altro giorno a Kobane la dician­no­venne Cey­lan Ozalp, pur di non cadere nelle mani degli aguz­zini dell’Is. Qual­cuno l’ha chia­mata kami­kaze: ma come non vedere il nesso tra quella pal­lot­tola (tra quell’estremo gesto di libertà) e la pasti­glia di cia­nuro che, dall’Italia all’Algeria e all’Argentina, hanno por­tato in tasca gene­ra­zioni di par­ti­giani e com­bat­tenti con­tro il fasci­smo e il colonialismo?

E come non vedere le ragioni per cui l’Is ha con­cen­trato le pro­prie forze su Kobane? La città è il cen­tro di uno dei tre can­toni (gli altri due sono Afrin e Cizre) che si sono costi­tuiti in «regioni auto­nome demo­cra­ti­che» di una con­fe­de­ra­zione di «kurdi, arabi, assiri, cal­dei, tur­co­manni, armeni e ceceni», come recita il pre­am­bolo della straor­di­na­ria Carta della Rojava (come si chiama il Kur­di­stan occi­den­tale o siriano). È un testo che parla di libertà, giu­sti­zia, dignità e demo­cra­zia; di ugua­glianza e di «ricerca di un equi­li­brio eco­lo­gico». Nella Rojava il fem­mi­ni­smo è incar­nato non sol­tanto nei corpi delle guer­ri­gliere in armi, ma anche nel prin­ci­pio della par­te­ci­pa­zione pari­ta­ria a ogni isti­tuto di auto­go­verno, che quo­ti­dia­na­mente mette in discus­sione il patriar­cato. E l’autogoverno, pur tra mille con­trad­di­zioni e in con­di­zioni duris­sime, esprime dav­vero un prin­ci­pio comune di coo­pe­ra­zione, tra liberi e uguali. E ancora: coe­ren­te­mente con la svolta anti-nazionalista del Pkk di Öca­lan, a cui le Ypg/Ypj sono col­le­gate, netto è il rifiuto non solo di ogni asso­lu­ti­smo etnico e di ogni fon­da­men­ta­li­smo reli­gioso, ma della stessa decli­na­zione nazio­na­li­stica della lotta del popolo kurdo. E que­sto nel Medio Oriente di oggi, dove per ragioni con­fes­sio­nali o etni­che sem­pli­ce­mente si scanna e si è scannati.

Basta ascol­tare le parole dei guer­ri­glieri e delle guer­ri­gliere dell’Ypg/Ypj, che non è dif­fi­cile tro­vare in rete, per capire che que­sti ragazzi e que­ste ragazze hanno preso le armi per affer­mare e difen­dere que­sto modo di vivere e di coo­pe­rare. È facile allora capire le ragioni dell’offensiva dell’Is con­tro Kobane. Ma è facile anche capire per­ché non inter­ven­gano a sua difesa i tur­chi, colonna della Nato nella regione, e per­ché sia così “timido” l’appoggio della «coa­li­zione anti-terrorismo». Vi imma­gi­nate che cosa pos­sono pen­sare gli emiri del Golfo dell’esperimento della Rojava e del prin­ci­pio della parità di genere? E gli “occi­den­tali”? Be’, le ragazze che sor­ri­dono con il kala­sh­ni­kov in mano saranno pure gla­mour, ma per gli Usa e per la Ue il Pkk è pur sem­pre un’organizzazione «ter­ro­ri­stica», il cui lea­der è stato con­se­gnato alle galere tur­che dall’astuzia della «volpe del tavo­liere» (Mas­simo D’Alema, per chi non ricor­dasse). E d’altronde: non è nato come orga­niz­za­zione marxista-leninista, il Pkk? Dun­que, si tratta pur sem­pre di comunisti.

E allora? (…) La guerra lam­bi­sce oggi i con­fini dell’Europa, entra nelle nostre città attra­verso i movi­menti di donne e uomini in fuga, quando non restano sui fon­dali del Medi­ter­ra­neo. Ma, den­tro la crisi, la guerra minac­cia anche di sal­darsi con l’irrigidimento dei rap­porti sociali e con il governo auto­ri­ta­rio della povertà. Guerra e crisi: non è un bino­mio nuovo. Ma nuove sono le forme con cui si pre­senta: nella rela­tiva crisi dell’egemonia sta­tu­ni­tense, che costi­tui­sce un tratto saliente di que­sta fase della glo­ba­liz­za­zione, la guerra dispiega la pro­pria vio­lenza “desti­tuente” senza che all’orizzonte si pro­fi­lino sce­nari rea­li­stici – fos­sero pure a noi avversi – di “rico­stru­zione”. Le vicende della «coa­li­zione anti-terrorismo» sono una pla­stica illu­stra­zione di que­sta impasse.

Rom­pere l’impasse è una con­di­zione neces­sa­ria per­ché le stesse lotte con­tro l’austerity in Europa abbiano suc­cesso. Ed è pos­si­bile sol­tanto affer­mando in modo del tutto mate­riale prin­cipi di orga­niz­za­zione della vita e rap­porti sociali radi­cal­mente incon­ci­lia­bili con le ragioni della guerra: è per que­sto che l’esperienza della Rojava assume per noi carat­teri esem­plari. Men­tre a Kobane si com­batte casa per casa, migliaia di per­sone mani­fe­stano a Istan­bul e in altre città tur­che, scon­tran­dosi con la poli­zia, e cen­ti­naia di kurdi hanno fatto irru­zione nel Par­la­mento euro­peo. Si sente spesso dire che chi parla di un’azione poli­tica a livello euro­peo pecca d’astrazione. Ma pro­vate a imma­gi­nare quale sarebbe la situa­zione in que­sti giorni se a fianco dei kurdi ci fosse un movi­mento euro­peo con­tro la guerra, capace di una mobi­li­ta­zione ana­loga a quella del 2003 con­tro l’attacco all’Iraq ma final­mente con un inter­lo­cu­tore sul ter­reno. Non ve ne sono le con­di­zioni? Ragion di più per impe­gnarsi a costruirle. È un sogno? Qual­cuno diceva che per vin­cere biso­gna sognare.
* euro​no​made​.info

Ultimi

Ancora dossieraggi e schedature

Tornano dossier e schedature. Il video che è stato...

Podlech, il Cile lo ha condannato all’ergastolo

ERGASTOLO CILENO PER ALFONSO PODLECHI giudici cileni hanno aspettato...

Era ubriaca…

“Era ubriaca, così ha favorito chi le ha fatto...

Il family day del governo

Nepotismo, argomento che sembra rinverdire alla luce del governo...