Lettera aperta al sindaco di Pompei, Nando Uliano
Signor Sindaco Uliano,
il 17 giugno segna l’anniversario dell’arresto di Enzo Tortora e l’inizio del calvario che lo portò al linciaggio mediatico, al carcere, alla malattia e alla morte. Ma anche a farsi protagonista di una sacrosanta battaglia per la giustizia giusta. Di tutti, per tutti. Per il nostro Paese.
Poi è accaduto che quello stesso giorno, trentuno anni dopo (a volte la realtà è più fantasiosa dell’immaginazione), lei abbia pensato di nominare assessore alla legalità del comune di Pompei proprio quel Diego Marmo che, nei panni di pubblico ministero nel processo contro Tortora, ne fu l’accanito accusatore, con toni che non appartenevano al suo ruolo. Quasi che, come scrisse Gian Domenico Pisapia, “il pm non fosse il rappresentante sereno e imparziale dello Stato che fa valere nel processo la sua pretesa punitiva, ma considerasse l’imputato come un nemico personale da combattere e da abbattere”.
Definì Tortora “cinico mercante di morte”, sostenne in dibattimento che era stato eletto con i voti della camorra, magnificò l’istruttoria “divina” firmata da Di Persia e Di Pietro, come un “lavoro perfetto, inattaccabile e svolto in tempi molto brevi”. La Corte di primo grado lo seguì, forse perché, come ammoniva Marmo, “se cade la posizione di Enzo Tortora si scredita tutta l’istruttoria”. Non era possibile dimostrare la colpevolezza dell’imputato più eccellente del maxiprocesso, ma era necessario sentenziarne la condanna. L’indagine e il verdetto di primo grado furono sgretolati da altri magistrati, in appello prima e in Cassazione dopo, fino all’assoluzione di Enzo con formula piena. Non fu semplicemente un errore, come se ne fanno ovunque e quindi anche nei tribunali; fu come la definì Giorgio Bocca una pagina vergognosa di “macelleria giudiziaria”.
Nondimeno Marmo, insieme ai suoi colleghi, ha fatto una bella carriera alla faccia di quel referendum sulla responsabilità dei magistrati del 1987, vinto con l’85% di sì e tradito da una legge tanto inadeguata, quanto inapplicata. Abbiamo visto e subito anche questo. Ma che adesso, dopo la carriera professionale, gli si dia anche un riconoscimento politico-istituzionale e lo si renda simbolo di legalità è davvero inaccettabile. Anzi, è offensivo. Sono certa che questo sia anche il pensiero di quei tanti magistrati seri, onesti e perbene. Perché premiare un magistrato che non ha semplicemente “sbagliato”, ma che ha dimostrato un superficiale disprezzo dei propri doveri e degli altrui diritti, offende la buona reputazione della giustizia e dei giudici.
Una semplice domanda, sindaco Uliano: avrebbe mai dato la delega ai lavori pubblici ad un ingegnere che ha costruito un ponte crollato il giorno dopo dell’inaugurazione? Diego Marmo è un magistrato che – perseguendo un innocente e dando mostra di colpevole negligenza e di spaventosa protervia – ha fatto crollare la credibilità della giustizia, ha offeso il diritto, ha umiliato quella toga che invece dovrebbe, secondo il dettato costituzionale, essere una garanzia per i cittadini.
Diego Marmo dovrebbe, per dignità, dimettersi, ma so che non lo farà. E allora chiedo a lei un atto di coraggio: ritiri quella delega. Dia a Pompei quella dignità che la storia le ha assegnato, quella sicurezza che il presente richiede con forza. Quel Marmo che lei vuole alla legalità non salverà i marmi pompeiani. Anzi…
Distinti saluti
Francesca Scopelliti