Informazioni che faticano a trovare spazio

Ciao Tito

Una telefonata, quest’inverno. Tito mi rispose dalla Norvegia. “Non sto bene, quando torno devo andare all’istituto dei tumori a Milano…”. L’avevo chiamato perché il sindaco di Verbicaro, Felice Spingola, andava con una ong in Mali a mettere in piedi una struttura agricola con ex immigrati in Italia. Gino, il fratello di Tito, fa il medico da anni da quelle parti, il volontario. Pensavo a metterli in contatto. Tito aveva scoperto però da poco quel nuovo grande problema che lo riguardava.

Oggi un’altra telefonata, di Iose Varlese, mi dice che è morto. Poco fa.

Tito Capponi, ingegnere, siciliano di origine (anche se formalmente nato a Genova), molti figli, una compagna che l’ha accudito come ha fatto Sandra fino alla fine con coraggio e speranza, la passione per la pittura, esperto di caponate, uomo allegro e generoso, disponibile, altruista.

Aveva avuto un lavoro all’Ansaldo Meccanico Nucleare, l’avevano ovviamente mobbizzato, costringendolo ad accettare perfino un posto a Milano fuorisede, poi quando gli avevano prospettato come nuova sede Latina li aveva definitivamente mandati a quel paese. Da allora era stato insegnante.

Mi aveva aperto la porta di casa sua quando a Genova passavo da un’abitazione all’altra. Anni ’70. Abitava allora nella parte della circonvallazione bassa, poco sopra Principe, con Adele e il bambino piccolo. Partivamo da lì per le nostre imprese “politiche” del tempo, puntando spesso a ovest verso il Ponente (Sampierdarena, Cornigliano, Sestri). Dividevamo il frigorifero con quello che c’era, la passione per le nostre attività tra gli operai e gli studenti, qualche lettura, la vita in comune.

Non era il solo, lo stesso era avvenuto un po’ tra tutto noi di Lotta continua a Genova.

L’avevo nominato quando sentito come teste nel processo per l’omicidio Calabresi avevo smentito Marino che al giudice istruttore mi aveva indicato come presente a Pisa nel bar della piazza dove si doveva commemorare Serantini e dove Marino ha collocato poi il suo colloquio con Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Solo che anche in questo Marino aveva mentito, perché quel giorno io era a Genova dove tenemmo un comizio contro la repressione: di questo portai a quel presidente Minale il ritaglio del giornale che annunciava il comizio e quando lui mi chiese chi avrebbe potuto convalidare ciò che dicevo feci un po’ di nomi di compagni genovesi, il primo era quello di Tito Capponi. Tito fu allora convocato e per testarlo nella sua veridicità quel Minale gli tese perfino un trabocchetto evidentemente suggerito da qualche zelante investigatore, chiedendogli: a Sestri Ponenti voi di Lc dov’è che avevate una sede?

La sede era in via Gino Capponi, guarda un po’. Cosa che Tito Capponi non ebbe difficoltà a dirgli.

Poi lo congedarono. E al momento della sentenza lui come tutti gli ex di Lotta continua sentiti fummo dichiarati non attendibili proprio perché ex di Lotta continua. Alla faccia della verità e della giustizia…

La cosa più franca e divertente che gli veniva dal cuore era quella risata prolungata e avvolgente con cui accompagnava ciò che diceva e che spesso richiedeva una conclusione di riso.

Era così che ha voluto affrontare anche questa ultima avventura, lontano dalla chemio e da altri calvari di tortura.

C’è una foto appena ritrovata che ce lo ridà dentro quel giubbottone bianco. Il pugno teso gli nasconde in parte il volto. Che era sorridente. E senz’altro pronto a quella bella risata. (Accanto ha due compagni che anche loro  purtroppo non sono più tra noi, Vittorio Cruciani e Daniel Joffe…). So che aveva rivisto questa foto, ora che si barcamenava nelle sue giornate difficili in cui però come ha scritto in una bella lettera agli amici aveva anche buoni momenti. Frutto del suo spirito coraggioso e sereno.

Ciao Tito.

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