Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, lunedì 14 aprile 2014, 68° udienza, requisitoria parte seconda dei pm Gaetano Paci e Francesco Del Bene.
Inizio ore 10.30 (trascrizione in diretta di Rino Giacalone)
Corte in aula ore 11,21
Dichiarazioni spontanee Vincenzo Virga: una fesseria…una cosa istantanea….questo ritardo è stato perché qui ho trovato una novità, è perché mi hanno dovuto denudare perché c’era l’avvocato cosa che a Parma non si faceva più da due anni, questo ritardo è dovuto a questo capriccio …
Parola al pm Gaetano Paci per la prosecuzione della sua requisitoria avviata venerdì 11 aprile.
La firma della mafia e di Vito Mazzara
“Abbiamo dimostrato come dalla ricostruzione della scena del crimine con certezza si è materalizzata la presenza di Vito Mazzara e a questa conclusione siamo arrivati dalla sequenza dei colpi di arma da fuoco, dal fatto della precisa esecuzione dei colpi e per il testimone rimasto vivo, per l’uso di un’auto rubata….e poi le parole dei collaboratori di giustizia che confermano la presenza di Vito Mazzara”. Comincia così l’intervento odierno del pm Paci che aggiunge: “C’è un ulteriore elemento che porta a dire che sulla scena del crimine c’è la firma di Vito Mazzara”. La Corte di Assise ha voluto compiere un accertamento rimasto inesplorato: “indagini dattiloscopiche e sul Dna….su questo secondo punto (il primo punto non ha portato a fatti utili) il processo è pervenuto a risultati di straordinaria importanza per certificare la presenza di Vito Mazzara sulla scena del crimine”.
Dna: I tre risultati che incastrano Mazzara e la traccia genetica del “parente”
L’esame del Dna ha riguardato tutti i reperti trovati sulla scena del crimine. “Sono stati fatti 42 prelievi di campionature dagli 11 reperti….Tre risultati riconducono al Dna estratto dall’imputato Mazzara…sono risultati particolarmente utili per il rapporto di comparazione…”. “In uno è risultato la piena compatibilità, per gli altri due i periti hanno scritto non si esclude ed è altamente probabile…caratteristiche genetiche riconducibili all’imputato”. E rispetto alle contestazioni dei consulenti della difesa (Garofano e Capra ex Ris di Parma) il pm Paci: il software indicato come attendibile dal consulente Garofano non è controllabile, obiettività e scientificità non sono deducibili…”. I consulenti della difesa avevano anche contestato che era impossibile estrarre il Dna da reperti risalenti al 1988, il prof. Presciuttini rispose osservando che quel metodo era stato utilizzato per estrarre il Dna dell’uomo di Neanderthal”. Notevole risultato quello che ha permesso di ritrovare sugli stessi reperti un profilo genetico classifcato come A 18 che è stato definito “legato” all’imputato Vito Mazzara. “Traccia ritrovata sia all’interno che all’esterno del frammento ligneo”.
Le accuse del collaboratore Milazzo
Il pentito Francesco Milazzo ha raccontato che tra le abitudini balistiche di Vito Mazzara c’era anche quello di tenere le armi che usava per i delitti dentro sacchi che affidava a terzi. In questo modo, spiega il pm Paci, sul fucile si possono essere conservati le tracce genetiche di altri, di un possibile parente. Lo stesso Milazzo ha anche detto che a far parte dei gruppi di fuoco guidati da Mazzara solitamente ne faceva parte un suo zio, Mario Mazzara, classe 1923, deceduto da tempo. I consulenti della difesa hanno cercato di smontare la tesi dei periti del Dna con estrema sufficienza….ma le prove sono precise e schiaccianti. “Il confronto con i consulenti della difesa ha finito con l’avvalorare le conclusioni dei periti…oggi abbiamo al vaglio un risultato di straordinaria importanza relativo all’accertamento del Dna….questa è la firma che l’imputato inconsapevolmente ha finito con l’imprimere sulla scena del crimine”.
“Vito Mazzara è un pezzo di storia”
In quest’aula con le sue dichiarazioni spontanee l’imputato Vito Mazzara è venuto a dirsi innocente. Ma nel corso del processo abbiamo acquisito altro. “Ci sono altre sue parole”. “Intendo riferirmi – dice il pm Paci – a indagini svoltesi in questi anni sul circuito relazionale di Vincenzo Virga, vasto, ampio, dove ci sono killer come Vito Mazzara, altri mafiosi, politici, imprenditori, facenti parte dello stesso contesto socio criminale”. Nel processo denominato Halloween si ricostruisce la storia criminale di Virga e si riprendono altre indagini come quelle del cosiddetto processo Prometeo. “Nel corso di quel processo vennero acquisite intercettazioni disposte su auto Virga Francesco cioè quel macellaio, quel titolare della macelleria il cui scontrino si materializzò in un locale diruto della cava dove fu trovata l’autovettura usata dai killer di Rostagno…tre muratori vennero a dirci che erano stati loro a consumare quel pasto in quel luogo”. Francesco Virga all’epoca del rinvenimento dello scontrino era incensurato e privo di collegamenti con Cosa nostra, dopo assumerà ruolo determinante che lo porterà alla condanna. Il primo febbraio del 1998 dentro questa autovettura di Virga Francesco si intercetta conversazione tra Pietro Virga e un certo Maltese che parlano della figura di Vito Mazzara…con preoccupazione gli interlocutori mettono in evidenza il degrado fisico che soffriva mentre si trovava ristretto al 41 bis nel carcere di Spoleto…loro esprimevano preoccupazione per quelle condizioni fisiche e che il rischio era quello che lui potesse morire…e si prospetta l’ipotesi di farlo scappare addirittura usando un elicottero da fare arrivare sul tetto del carcere….”. “Ma il passaggio importante è un altro – continua Paci – i due interlocutori temono che Mazzara possa pentirsi…se lui parte di cervello è cuoio per tutte cose perché Vito è un pezzo di storia”. La paura dei mafiosi era quella che Vito Mazzara potesse decidere di pentirsi. “Mazzara ebbe attribuiti già dalla seconda metà degli anni 80 incarichi delittuosi da parte di Vincenzo Virga”.
“Ora vogliono vestere u pupu”…le parole di Vito Mazzara
Esattamente dieci anni dopo quella conversazione del 1998, Vito Mazzara mentre si trova nel carcere di Biella, durante un colloquio con i familiari, commenta parlando delle vicende di questo processo, 29 aprile del 2008. Visita della moglie Caterina Culcasi e della figlia Francesca Mazzara. Sono due le conversazioni quella del 29 aprile e del 27 maggio del 2008.” Mazzara ad un certo punto introduce un argomento del quale non stavano parlando, un articolo di giornale, l’altra volta sul giornale c’era un articolo, di cosa dice la figlia, cose vecchie risponde il padre, e la signora Culcasi chiede ma che cos’è, Mazzara risponde rimpastano sempre cose vecchie, cose vecchie del 1987, e la moglie dice lo so lo so di cosa si parla…”. Lui dice che la magistratura è costretta dall’opinione pubblica a riprendere fatti irrisolti…”non è che comanda la magistratura, comanda l’opinione pubblica…la magistratura voleva chiudere questa vicenda e l’opinione pubblica l’ha fatta riaprire….comanda l’opinione pubblica, non la magistratura…e la magistratura sa vestere u pupu…e la figlia dice ma di cosa stai parlando…tutto qua cose vecchie…e la madre fa un gesto per dire alla figlia che dopo le spiegherà”. Vito Mazzara – dice Paci- sa di cosa stava parlando…aveva letto la stampa quotidiana, il Giornale di Sicilia e La Sicilia, una fuga di notizie per una volta positiva, aveva letto di una svolta nelle indagini per il delitto Rostagno”. Il Gds del 4 aprile 2008 dice: Rostagno c’è una svolta nelle indagini. L’indomani La Sicilia scrive che l’arma è della mafia e che Vito Mazzara è uno dei killer di Rostagno e l’indomani ancora La Sicilia fa ancora un altro pezzo sui delitti di mafia come raccontati dal pentito Milazzo compreso quello di Rostagno. “La conversazione prosegue con Vito Mazzara che indica alla figlia di controllare una intercapedine per vedere se c’erano dentro ancora armi, dice alla figlia, leva tutti i cose che ci sono dentro…la Squadra Mobile precedette la figlia trovando l’intercapedine che però dentro non c’era occultato nulla…in carcere Vito Mazzara era entrato in fibrillazione dopo avere saputo che si erano riaperte le indagini sul delitto di Mauro Rostagno…parole vive dell’imputato che non sono da sole prove schiaccianti ma che inserite nella cornice di elementi emersi nel processo, nella parte dinamica del fatto, assumono rilievo indiziario significativo”.
Mazzara presente su ordine di Virga
“Se siamo riusciti a dimostrarvi che Vito Mazzara era sulla scena del crimine assieme ad altre persone alle quali oggi non possiamo dare nomi, ma solo ipotesi, noi abbiamo prodotto prova che Vito Mazzara era scena del crimine e se c’era c’era perché mandato da Vincenzo Virga”. Conclusione del pm Paci
Udienza sospesa si riprende alle 14
Si riprende con la requisitoria del Pm Francesco Del Bene
“L’istruzione dibattimentale ha dimostrato che il delitto di Mauro Rostagno ha avuto una matrice mafiosa, che la organizzazione ed esecuzione dell’omicidio è stata della famiglia mafiosa di Trapani, che il killer è stato Vito Mazzara killer di fiducia del capo mandamento Vincenzo Virga. Le sentenze in atti dimostrano che questo è l’ordine mafioso trapanese, Virga dà l’ordine e Mazzara lo esegue…dato assolutamente certo in questo processo. Che si sia rispettata la regola di Cosa nostra che per ogni delitto di natura eccellente si imponeva l’autorizzazione del capo mandamento. Tutte le sentenze prodotte in atti dimostrano come questa regola è stata ampiamente rispettata. Dunque Mazzara Vito spara, Vincenzo Virga dà l’ordine perché Cosa nostra aveva decretato l’omicidio di Mauro Rostagno. L’interesse divenuto sempre più impellente e improrogabile è maturato a causa della sua attività giornalistiche che perseverava dagli schermi di Rtc nella sua attività di denuncia talvolta anche in modo ironico, i legami di Cosa nostra con la politica, le istituzioni, la massoneria. Non avremmo mai potuto conoscere lo stato di insofferenza di Cosa nostra contro Rostagno senza l’imprescindibile contributo dei collaboratori di giustizia ovvero della voce interna di Cosa nostra, della pancia di Cosa nostra che mal tollerava quegli articoli”.
Comincia così il pm Francesco Del Bene nella sua requisitoria.
E’ grazie ai collaboratori di giusitizia ad essere qui sennò saremmo ancora impegnati a discutere di tutto quello che ha intorbidito questo dibattimento
Il primo pentito richiamato dal pm Del Bene è stato Vincenzo Sinacori. Il malumore contro Rostagno arriva da Mazara del Vallo, fu mastro Ciccio, Francesco Messina, a parlare con il padrino don Ciccio Messina Denaro, perché la mafia eliminasse quel giornalsta. C’era forte irritazione di Mariano Agate contro Rostagno per le sue cronache sul delitto Lipari.
Milazzo Francesco ha pure lui parlato del malcontento di Cosa nostra trapanese contro Rostagno, apostrofato come cornuto e infame, perché faceva i nomi di soggetti che non andavano fatti, perché istigava, provocatori erano i suoi interventi contro i mafiosi trapanesi, “li attaccava troppo” diceva Milazzo…”era all’epoca l’unico giornalista che faceva quel lavoro giornalistico con impegno civile”…Giovanni Brusca: Riina dopo il delitto disse i mazaresi e i trapanesi si sono tolti una rogna, una camurria…a Brusca ricordò che la tv dove lavorava Rostagno era di Puccio Bulgarella…..Riina sapeva bene dove Rostagno lavorava …Riina era a Mazara che trascorreva latitanza e vacanze fino al 1992….protetto da Mariano Agate…”. Brusca è stato utile per farci capire cos’era il gotha trapanese, altro che fratelli Minore, la gestione era corleonese a tutti gli effetti, ha descritto i ruoli di Mariano Agate, dei Messina Denaro, di Virga…Virga gestiva una attività parallela a Brusca…il tavolino degli appalti…Brusca ha parlato di Puccio Bulgarella, ottimi rapporti tra questi e Angelo Siino..Bulgarella era visto male perché amico di Falcone e per la presenza di Rostagno in tv….poi Bulgarella divenne amico di Siino…Brusca ha detto di avere cenato con Bulgarella e Siino al ristorante Trittico di Palermo, in quella occasione Bulgarella spiegò la presenza di Rostagno in tv per i rapporti di questi con sua moglie…Brusca dentro al processo ha portato un commento autorevole di Cosa nostra rispetto al delitto, le parole di Totò Riina. Le dichiarazioni di Siino costituiscono riscontro alle dichiarazioni di Brusca. A Trapani Riina aveva molti interessi…Siino conosceva Bulgarella socio con lui nei lavori nella zona artigianale di Castelvetrano…Siino aveva mediato con capo mafia della provincia a favore di Bulgarella del quale Messina Denaro aveva precisa convinzione, era uno sbirro, e Rostagno un cornuto per le sue trasmissioni, che facevano “arrizzare i carni”. A casa di Filippo Guttadauro, Francesco Messina Denaro aveva parlato male di Bulgarella per il suo legame con Rostagno che “un giorno o l’altro avrebbe fatto una brutta fine perché disonesto”….Bulgarella quando seppe di queste parole allargò le braccia a Siino dicendo che Rostagno era un cane sciolto, non gli si poteva chiedere nulla….Siino ancora riferisce un commento di Agate Mariano dopo il delitto Rostagno, Agate disse che era un delitto di corna e che era stata usata una scupittazza vecchia…Ciccio Messina presente fece un segno che voleva dire che non era vero….Dopo il delitto venne ripetuta la diceria che il delitto non era opera di mafia, ma in tanti delitti di mafia cosa nostra ha sempre saputo operare in questo modo.
“Le persone che ci vogliono bene e che ci invitano a non parlare di mafia”
Il teste Ravazza ha riferito che qualche mese prima del settembre 1988 lui e Rostagno erano stati convocati dall’editore Bulgarella che diceva loro di stare attenti perché qualcuno si stava incazzando. Analogo intervento a calmare i toni era arrivato da Cardella Francesco. Il pm Del Bene ha inserito i due episodi dopo avere riferito che Siino aveva invitato più volte Bulgarella a intervenire su Rostagno per fare abbassare i toni dei suoi interventi giornalistici. Pochi giorni prima del delitto il 16 settembre 1988 in un editoriale Rostagno dice che anche persone che ci vogliono bene ci hanno invitato a parlare meno di mafia…Per Del Bene il riferimento era a Cardella.
“Lo salvai una volta, poi l’ammazzarono e io non parlo per questo con quel politico”
Il teste Giuseppe Aiello ha riferito un passaggio importante. “Partecipando ad un pranzo a Palermo a un mese dal delitto cui partecipava anche l’ing. Lodato del gruppo Fininvest, quando questi chiese a Bulgarella perché della uccisione di Ristagno, Bulgarella disse che una volta lo aveva già salvato e che il delitto fu commesso in un periodo nel quale lui era in ferie. Vicino sedeva l’on Canino Francesco che ad un certo punto si alzò e al suo indirizzo Bulgarella disse a Lodato che per questa ragione da un mese non parlava con quel politico”. Per Del Bene Bulgarella sapeva molto sul delitto di Rostagno e però ha preferito non parlare, finendo anche indagato per false dichiarazioni al pm. Bulgarella è deceduto qualche mese prima dell’avvio del processo.
Un grande impegno civile mentre il procuratore negava l’esistenza della mafia
Il pubblico ascoltava Rostagno perché si sentiva rappresentato, pensava di essere così aiutato ad alzare la testa. Il giornalismo era diventata la sua nuova missione. Dal 1987 Rostagno aveva colto la necessità di contrastare il fenomeno mafioso anche per ostacolare il traffico e lo spaccio di droga. Un grande impegno civile in un contesto dove si diceva che la mafia non esisteva. Rostagno era stato minacciato….telefonate anonime arrivate in tv, le lettere del 1988 dopo avere accusato tale Saverio Barbera di un delitto. Circostanze riferite da Chicca Roveri che ha anche ricordato l’incontro con il procuratore Coci. Un magistrato che sui giornali andava dicendo che la mafia non esisteva.
Alcuni chiusero gli occhi dinanzi ai pericoli che correva Rostagno
Mauro Rostagno avvertiva il suo pericolo di vita rispetto alla sua attiività giornalistica mentre tutti gli altri sottovalutavano questo pericolo a cominciare dall’amico Cannas, maresciallo dei carabinieri. Non doveva essere Rostagno a esternare timori ma dovevano essere gli organi istituzionali preposti ad avvertire il pericolo, dovevano essere gli organi dello Stato a valutare i pericoli corsi da Rostagno e per questo il procuratore Coci invitò la Roveri a non dire nulla. Rostagno ha lasciato traccia scritta di cosa pensava del procuratore Coci e del ruolo di garanzia svolto da questi. Rostagno nella sua attività di ricerca e informazione aveva appreso che il pm Costa era stato intercettato a parlare con i mafiosi. Montanti e Coci non rappresentano tutto l’apparato dello Stato impegnato contro Cosa nostra. (Montante è il generale dei cc ex comandante del reparto operativo). C’era a Trapani Rino Germanà. Montante si defini passacarte di lusso. Germanà per le sue conoscenze nel settembre 1992 sfuggì ad un attentato mafioso. Inerzia ed omissioni di alcuni hanno condizionato le indagini, altri che partirono sparati hanno rischiato la vita.
Abbiamo perso tre anni dietro stupidaggini
E’ una vergogna avere introdotto certe piste, tutte quelle diverse da quella mafiosa, in questo processo. Questo è un processo che andava fatto a un anno dal delitto. Siamo stati tre anni impegnati a parlare di stupidaggini. Nel 1988 Rostagno era l’unico giornalista a parlare di mafia. Oggi nel 2014 resta l’unico giornalista ad avere alzato i toni contro la mafia.
Sono alcuni dei passaggi che il pm Del Bene solleva alzando la voce.
Nel 1988 tutti facevano finta di niente, a cominciare dal procuratore della Repubblica. Rostagno non faceva questo e mi credo che Agate quando mangiava e ascoltava il telegiornale di Rtc si innervosiva.
Udienza sospesa
Siamo stati tre anni a parlare di stupidaggini
Il pm Del Bene si sofferma tenendo alto il tono della voce sulla cronaca giornalistica del processo per l’omicidio Lipari offerta da Rostagno. E’ l’unico giornalista ad alzare l’attenzione su quel processo. A raccontare di quel capitano dei carabinieri che invece di sequestrare l’auto usata per andare ad uccidere Lipari addirittura da lui viene acquistata (Capitano Melito finito sotto processo assieme a Mariano Agate e al boss catanese Nitto Santapaola). La mafia già per questo poteva andare davanti l’ingresso di Rtc ad attendere con i kalashinkov spianati l’uscita di Rostagno. Oggi attendo ancora una televisione che venga a raccontare della mafia come la racontava Rostagno.
Gli schiaffi di Rostagno contro la mafia
Il pm Del Bene continua a ripercorrere gli interventi giornalistici di Rostagno dove faceva nomi e cognomi di uomini delle investigazioni contigui all’organizzazione criminale mafiosa. Il punto di partenza resta il processo per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari. L’esame giornalistico del dibattimento condotto da Rostagno metteva in evidenza le connessioni tra la mafia trapanese e quella catanese, una serie di rapporti vissuti in chiave imprenditoriale. Rostagno scrive che i cavalieri del lavoro catanesi entrarono dentro la provincia di Trapani grazie alla mediazione dei mafiosi Minore di Trapani. Addirittura Rostagno accenna alla figura mafiosa di Francesco Pace la cui rilevanza mafiosa verrà accertata solo negli anni 2000. Si interessò molto Rostagno della costruzione dell’aeroporto di Trapani dove erano impiegati Pace e i cavalieri del lavoro di Catania, la massoneria, la politica col ministro Ruffini. Ancora esempio di quanto pericolosa per la mafia era l’attività giornalistica di Rostagno. Assistiamo quasi all’esercizio di una supplenza da parte di Rostagno dell’assenza della procura di Trapani, del procuratore Coci. E’ questa l’eccezionalità del giornalista Mauro Rostagno. Così facendo Rostagno attaccava la mafia che decideva di non restare inerme dinanzi a quegli schiaffi che riceveva da Rostagno ogni giorno
PM Del Bene “il capitano Melito, allontanato dall’Arma per aver fornito l’alibi a Agate e Santapaola, fu successivamente assunto dalla Banca Industriale della famiglia Ruggirello.”
Inseguendo una nuova primavera
Tutto quello che denunciava Rostagno è risultato pienamente riscontrato. La mafia non poteva fare altro che infastidirsi perché colpiva nella carne gli interessi di Cosa nostra. I servizi di Rostagno rappresentavano la necessità dell’unione delle migliori forze dello Stato contro la droga e contro la mafia. Non meno virulenti poi furono i servizi dedicati alla “munnizza” che all’epoca devastava la città di Trapani. Anche in questo caso Ristagno non si limitava ad essere fonte di informazione ma accendeva i riflettori sugli illeciti guadagni. In quel periodo uno degli affari della mafia è quello del traffico dei rifiuti. Fu accertato molti anni dopo il delitto Rostagno che Virga con il commercialista Messina aveva costituito società per lo smaltimento dei rifiuti. Anni dopo emergeva l’interesse di Virga per la gestione dell’impianto di riciclaggio costruito a Trapani in contrada Belvedere. Rostagno massacrava la classe politica trapanese, parlava del municipio additandolo come Palazzo di Alì e dei 40 ladroni, riferendosi così ad una serie di arresti che all’epoca venivano compiuti. Non risparmiava alcun politico e alcuna formazione politica, attaccava la burocrazia, rappresentava come la cosa pubblica a Trapani era vista da tutti come un osso da spolpare. Nei suoi editoriali c’era sempre la questione morale in primo piano. A Trapani stava facendo respirare un clima nuovo, una nuova primavera. Rostagno mise in luce come l’amministrazione comunale di Trapani aveva di fatto gestito un bilancio parallelo, per nascondere una serie di debiti contratti. Da qui Rostagno aveva avviato una campagna di moralizzazione.
Politici rabbiosi contro Rostagno
La reazione dei politici. Eclatante fu quella dell’on. Bartolo Pellegrino che invitò Rostagno ad andare a zappare. Noi siamo condannati a rivivere sempre scene di schiavi che appena arriva un politico si inginocchiano e baciano. Siamo noi a non volercene liberare. Del Bene chiosa così immagini realizzate da Rostagno ad una convention della dc trapanese dove veniva accolto come un dio in terra l’on. Francesco Canino. Rostagno era apprezzato dalla gente perché le sue domande erano quelle di un giornalista che non si accordava con il politico…Esempi? L’attacco di Rostagno a Giuseppe e Luigi Manuguerra consiglieri comunali del Psdi….Luigi Manuguerra arrestato per vendita di posti di lavoro, il padre arrestato per detenzione di armi, millantato credito ed altro. La dinasty dei Manuguerra. Politicihe che si profittavano delle povertà altrui. E Rostagno diceva, c’era del marcio in Danimarca e il marcio stava venendo fuori.
E Rostagno scopriva il punto nevralgico degli affari illeciti
C’era uno scandalo a Marsala pronto ad esplodere per il quale il procuratore Borsellino aveva le mani legate. Gianni Di Malta che ascoltò un colloquio tra Rostagno e un sindacalista della Cisl raccontò che nel frattempo in auto la radio mandava in onda una canzone di Pino Daniele, io so pazzo, e si mise a ripetere il ritornello. Rostagno dava fastidio perché aveva scoperto un punto nevralgico cioè quello del connubio tra la politica corrotta e la mafia, rapporto mediato dalla logge massoniche. E non a caso Rostagno si interessò parecchio alle vicende della loggia massonica celata a Trapani dietro il centro culturale scontrino, la Iside 2. Una loggia dove futono trovati iscritti mafiosi, politici, professionisti. Il pm Del bene fa l’elenco degli iscritti.
I verbali nascosti della Iside 2
Da giornalista d’inchiesta si è occupato della Iside 2, scoprendo i collegamenti e le presenze a Trapani di Licio Gelli, tanto da venire convocato dai carabinieri (Maresciallo Cannas) convinti che Rostagno, giornalista, sapesse della Iside 2 più degli investigatori, quasi che poi l’intervento dei carabinieri servisse a indurre Rostagno a limitare la sua attività. Verbali che sono entrati in questo processo solo a dibattimento avviato, mai introdotti nel fascicolo delle indagini. Il pm Del Bene ricorda le testimonianze dei cc Montanti e Cannas, quest’ultimo disse di avere trasmesso quei verbali al suo superiore, Montanti che si era definito passacarte di lusso in questo caso si era dimenticato di trasmettere queste carte alla magistratura che indagava sul delitto, carte rimaste nascoste in un cassetto e venute fuori dopo che sul giornale La Sicilia vennero pubblicati quei verbali alla vigilia di una udienza del processo.
In quel verbale Rostagno si mostra a conoscenza di fatti importanti, Rostagno li elenca e nessuno gli fa le domande, non gli fa le domande il maresciallo Cannas che era la punta di diamante del nucleo operativo. I carabinieri non fanno le domande, non trasmettono il verbale. Sul capo della P2 Gelli Rostagno si dimostra molto informato anche a proposito delle sue ripetute presenze a Trapani, presenze confermate in dibattimento anche dal pentito Di Carlo. Ma gli investigatori invece di accendere le luci su questi fatti scoperti da Rostagno non fecero nulla. Il 23 marzo 1988 Rostagno si limita a confermare l’incontro col massone Torregrossa. Il giudice istruttore che dovrebbe fare le indagini risulta avere chiesto informazioni a un giornalista su una indagine che andava avanti da due anni e che non aveva raggiunto il livello di conoscenza che invece aveva raggiunto Rostagno .
Udienza sospesa si riprende mercoledì ore 9,30