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Gabo era stato anche felice e sconosciuto…

Pensare che Gabo avesse la mente oscurata negli ultimi tempi era un controsenso. L’inventore del realismo fantastico, più di ogni altro, con le sue storie di quel posto straordinario chiamato Macondo, è stato l’America Latina più mirabolante, vera, vicina.

Come dimenticare tra i suoi racconti quell’angelo enorme caduto sulla terra e messo in un pollaio? Metafora abbastanza schietta di questa situazione che è quella che è.

Oppure il suo “racconto di un naufrago”? O la candida Eréndira con la sua nonna?

E poi il resoconto del ritorno di Miguel Littin, “clandestino in Cile”, in quel Cile ancora sotto Pinochet?

Ricordo da giovane cronista di essermi aggirato per i Paesi Baschi in rivolta con in tasca un libretto suo che avevo acquistato in una libreria di San Sebastian. Il titolo innanzitutto: Cuando era feliz y indocumentado. Era appena uscito…

Lo leggevo alla sera in quel piccolo hotel di San Sebastian dove ero approdato nel 1977, l’estate di quell’anno torbido. E quando mi sedevo ai tavolini del caffè Barandarian, del nucleo storico della città, continuavo a leggere le avventure giornalistiche di Gabriel Garcia Marquez. Quelle scritte per El Espectador, quando si ritrovò a riferire del disastro di Media Luna nel 1954, un reportage che fu ripubblicato in tre edizioni del giornale e che poi è diventato storia. Un uomo felice e sconosciuto. Meglio del Nobel e dell’amico di Fidel…

E ancora: tanti anni fa a Milano, Macondo,

Con Mauro Rostagno in testa…

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