Ripubblico due miei post dal blog su Rosario Bentivegna e la sua lunga battaglia per difendersi dalle calunnie e dalle falsificazioni.
Mezzo secolo di falsità e calunnie contro Rosario Bentivegna. Ecco i giornalisti che l’hanno attaccato
martedì, aprile 3rd, 2012
“L’Osservatore Romano”, 25 marzo del 1944. Il titolo era: “Trecentoventi persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto”.
Era l’’inizio di una campagna contro i partigiani di via Rasella che non si è arrestata mai e che ha annoverato giornalisti illustri e meno illustri, storici d’occasione, vaticanisti, mezzibusti televisivi, un misto maramaldesco che ha cercato da sempre di rovesciare i ruoli: scaricare sulle vittime del nazifascismo le responsabilità degli aguzzini. Nel mirino, in particolare, Rosario Bentivegna.
“Cominciarono i monarchici, Guglielmo Giannini con l’Uomo Qualunque e Il Tempo di Angiolillo hanno proseguito filistei e fascisti di tutte le estrazioni ma non mi sono mai sentito vilipeso…”.
Così Rosario Bentivegna fa il punto sulla persecuzione iniziata subito dopo via Rasella, lo fa a pagina 18 del suo ultimo libro “Senza fare di necessità virtù”. Sta parlando dell’immediato dopoguerra.
Una persecuzione durata quasi settanta anni, caparbia, continua, variegata, basata sul falso. “E’ una fatica di Sisifo e ogni volta mi sembra di ricominciare da capo”, scrive Bentivegna. Il suo pensiero è a quel dopoguerra in cui si ritrovò subito accusato di tutto. Ma l’inversione dei ruoli e l’attacco ai partigiani era iniziato il giorno stesso di via Rasella.
Un ruolo importante all’inizio, nella falsificazione su via Rasella, l’ebbero il Messaggero diretto da Bruno Spampanato (Spampanato si spinse a parlare di “esemplare giustizia tedesca” per la strage delle Fosse Ardeatine) e come abbiamo visto l’ “Osservatore Romano”. Sessant’anni dopo questa eco è tornata in un altro vaticanista, Andrea Tornelli de “Il Giornale”, che nel 2006 riproponeva le note accuse ai partigiani.
Nel libro di Rosario sono citati moltissimi giornalisti che nel corso degli anni hanno riproposto il vergognoso teorema sui partigiani colpevoli.
Negli anni ’60 è il “Corriere d’informazione” (nel 1964) a riavviare la campagna del dopoguerra seguito a ruota da “Il Tempo” e poi dalla “Domenica del Corriere” con un pezzo di Vittorio Lojacono “Un torrente di violenze su Roma liberata”. L’attacco a Bentivegna è esteso anche al dopo via Rasella, riguarda il processo per lo scontro armato in cui perse la vita in Roma liberata un soldato che strappava i manifesti inneggianti alla liberazione d’Italia. A sparargli era stato Bentivegna. E così Indro Montanelli e Mario Cervi nella loro ”Italia della guerra civile” lo definiscono “smanioso di spargere sangue”
Passano gli anni e le accuse su via Rasella tornano di nuovo fuori. Nel 1994 è la volta dell’ “Indipendente”: Giampiero Mughini e Walter Vecellio definiscono via Rasella “atto inutile e sbagliato”. Ma Vecellio fa di più: “Vecellio – ricorda Bentivegna – riprendeva la vergognosa tesi per la quale via Rasella era stata organizzata dai comunisti per provocare la rappresaglia”.
Poi ecco partire all’attacco “Il Giornale” diretto da Vittorio Feltri con gli articoli si Piero Zuccheretti, la vittima civile di via Rasella.
Sul “Giornale” Francobaldo Chiocci arriva a pubblicare perfino l’indirizzo privato di Bentivegna.
E’ il momento in cui sui muri di Roma viene affisso un manifesto anonimo “Chi l’ha visto?” col volto di Bentivegna.
Chiocci torna all’attacco due anni dopo accusando i gappisti di aver voluto “scatenare l’odio con un’inutile imboscata”.
Segue “Il Tempo”, con Pierangelo Maurizio, con “I segreti di via Rasella”.
La nuova ondata prosegue di nuovo con Chiocci su “Il Giornale” che arriva a scrivere il 15 maggio del 1996 : l’attentato è stato voluto da Togliatti. Peccato che Togliatti sia sbarcato a Napoli tre giorni dopo la strage delle Fosse Ardeatine, il 27 marzo del ’44.
Ma “Il Giornale” insiste, stavolta con Giancarlo Perna, che intervistando il 16 settembre del 1997 un ex del battaglione Bozen recupera il falso degli appelli da parte dei tedeschi rivolti ai partigiani perché si consegnassero.
Poi ecco Bruno Vespa che abbiamo già ricordato in un altro post, scrive nel suo libro “Storia d’Italia. Da Mussolini a Berlusconi” che i partigiani non risposero agli appelli.
Segue uno storico, addirittura, Paolo Simoncelli docente alla Sapienza che assicura di aver personalmente visto i manifesti dell’appello per le strade di Roma. Peccato per lui che non siano mai esistiti.
A questo punto interviene “Libero”: ancora una volta viene scritto che i nazisti chiesero ai colpevoli di consegnarsi…
Nel 2004 è la volta dell’ “!Avvenire” con un editoriale di Pio Cerocchi.
Due anni prima Maurizio Belpietro, che poi andrà a dirigere “Libero”, scrive a briglia sciolta su “Il Giornale” contro Bentivegna. Il titolo del suo pezzo era: “Il marxista che pensava solo alla propria vita”. Per questo sarà poi condannato per diffamazione di Bentivegna nel 2009.
E Bentivegna? Rosario li ha alla fine trattati così: ““Mi dispiace per loro – ha scritto nel suo libro – perché non hanno capito il senso della lotta condotta da quei giovani che nel 1943 avevano scelto di schierarsi contro la vergogna del fascismo e di imbracciare le armi per costruire la democrazia in Italia”.
(Mercoledì, dalle 10,30 la camera ardente presso la Provincia di Roma a Palazzo Valentini)
unedì, aprile 2nd, 2012
Rosario Bentivegna, una vita a combattere le falsificazioni sui partigiani. L’ultima vittoria, nel 2009, la condanna per diffamazione di Maurizio Belpietro
Rosario Bentivegna quella sera di un mese fa nella sala delle Protomoteca in Campidoglio. Tendeva l’orecchio agli interventi di Lutz Klinkhammer, di Vittorio Vidotto, di Walter Veltroni. Gli sfuggiva qualche parola, non il senso delle cose che ancora nel 2012 doveva ripetere per difendersi dalle accuse di chi ha sempre cercato di rovesciare la colpa scaricandola sulle vittime. Accusare i parrtigiani per non parlar troppo male degli aguzzini, rovesciare le parti, il vecchio metodo piuttosto schifoso di addossare ai giovani coraggiosi di allora responsabilità che non hanno mai avuto. Bentivegna era contento di aver vinto poco tempo fa, nel 2010, una sua ultima battaglia processuale: era riuscito a far condannare Maurizio Belpietro, per un articolo uscito su “Il Giornale” il 18 agosto 2002 in cui erano state ripetute le solite accuse per via Rasella. Titolo? “Il marxista che pensava solo alla propreia vita”.
Con l’occasione insieme a tanti altri nomi di questa compagnia di giro esperta in falsificazioni – a far da clou come sempre il falso appello dei tedeschi ai partigiani a presentarsi – Rosario Bentivegna aveva ricordato brevemente anche Bruno Vespa, che è oggetto nel suo libro appena uscito “Senza fare di necessità virtù” di una corposa digressione, sempre basata sulla solita falsificazione.
“Nel suo ponderoso volume Storia d’Italia, da Mussolini a Berlusconi – ha scritto Bentivegna – si tornava a parlare di me come di un giovane terrorista ribelle, esasperato dal fanatismo comunista, che aveva preso di testa sua l’iniziativa di “fare esplodere due bombe in via Rasella (….) mentre passava una compagnia del battaglione altoatesino Bozen” causando “la rappresaglia tedesca (che) fu oltremodo feroce…”.
Prosegue Bentivegna: “E come al solito mi si accusava di non essermi “consegnato ai nazisti per risparmiare la vita di centinaia di innocenti”, nonostante “l’avvertimento scritto sui manifesti fatti affiggere dal comando tedesco”. (pagina 21 del libro di Vespa, Milano, 2004).
Un falso variamente ripetuto, ora parlando di manifesti, ora di appelli radio, ora di inviti pubblici, smentito dai fatti: tra l’attentato e l’eccidio alle Fosse Ardeatine passarono solo 22 ore, non ci fu materialmente il tempo per simili iniziative. Ma Vespa scrive lo stesso dei manifesti inesistenti.
Bentivegna aveva raccontato un mese fa in Campidoglio di aver intavolato uno scambio di lettere col Vespa, al termine del quale Vespa ha così cambiato la frase “nonostante l’avvertimento scritto sui manifesti fatti affiggere dal comando tedesco…” con la frase “nonostante la certezza della rappresaglia”. Aveva poi ricordato però che Vespa è tornato comunque all’attacco nel 2006 ricordando che i soldati del battaglione Bozen erano in realtà degli italiani padri di famiglia…
La sera della presentazione del suo libro, alla fine a me che moderavo l’incontro, Bentivegna disse: “Peccato che stasera non ci fosse Carla…”. Carla è Carla Capponi, scomparsa qualche anno, compagna di Bentivegna nei gap e anche per un lungo periodo moglie nella loro vita in comune. Restano di lei le parole molto nette scritte nel bel libro “Con cuore di donna” (basta rileggersi come entrò nei gap), di Rosario ci rimane ora questo bel libro in cui ha ricostruito tante storie a partire da quella della sua famiglia siciliana (un antenato fu ad Aspromonte con Garibaldi), un testo che costituisce un punto di approdo molto solido e autorevole in tempi di derive revisioniste. Di fronte alle quali Bentivegna diceva: “Se pensano di farmi paura…”. Inciso: in quei tempi in cui ci si muoveva in bicicletta quanto tempo era occorso per spingere quel carrettino fino a via Rasella passando per tutto il centro? Sorriso di Bentivegna: “Mi pare un’oretta…”. Un’ora a spasso per Roma, tra nugoli di tedeschi, travestito da netturbino, con un carretto che Giulio Cortini aveva imbottito di dinamite, così si era mosso il ventiduenne Rosario Bentivegna deetto Sasà, allora Paolo.