Trento, Bolzano, Padova, Torino, Bra, Asti, Cuneo, Varese, Ferrara, Parma, Modena, Cesena, Sarzana, Pisa, Macerata, Pescara, Perugia, Terni, Narni, Tarquinia, Roma, Formia, Napoli, Cerignola, Palermo.
Tutto qua: queste sono, dal nord al sud, le città italiane in cui in questi giorni, compreso il 27 giorno della memoria, si proietta nelle sale (spesso piccole e di secondo ordine) il film “Anita B.” di Roberto Faenza tratto dal libro memoria di Edith Bruck.
Venticinque città. Manca di tutto, manca Milano!
Su Repubblica trovate un video in cui Faenza di fronte a studenti del liceo Tasso di Roma spiega – con lui c’è Edith Bruck – che appena hanno sentito “uscita da Auschwitz” i circuiti cinematografici sono subito arretrati a prescindere. Anche se non è un film su Auschwitz, ma sul dopo. Un film sulla vita, insiste Faenza. Ma chi lo sa?
L’elenco delle città la dice lunga su vari problemi. Il prepotere della distribuzione (il film è in mano a una piccola distribuzione) che produce sempre le stesse cose. L’ignoranza che viene coltivata e alimentata. Il revisionismo strisciante ma non troppo, il negazionismo soprattutto.
Quell’elenco di città è una tragica fotografia di questa Italia.
P.S.: non parlo di “Anita B.” perché sia un capolavoro, è un buon film, Faenza forse è stato più bravo in pellicole come “Giona…”. Ne parlo però perché è un film che fa riflettere sul dopoguerra quando i superstiti hanno incontrato,m anche nelle loro stesse famiglie come in quella descritta da Edith Bruck, l’imposizione del silenzio. “Eravamo vermi…”. ricorda la Bruck. E perché per andare avanti a tanti, troppi, è occorso fare come ha dovuto fare Anita B. E questo riguarda tante cose, compresa l’Europa e Israele, l’antisemitismo di ieri come di oggi.