C’è un lapsus molto chiaro nella prosa con cui Marco Travaglio si dedica allo sceneggiato “Gli anni spezzati” sul commissario Calabresi, nell’editoriale di oggi sabato 11 gennaio del Fatto quotidiano di cui Travaglio è vicedirettore. Il pezzo s’intitola “Il suicidio Calabresi”. Il lapsus è invece in bella evidenza in testa all’articolo. “A leggere la stampa di sinistra di questi giorni – scrive Travaglio – pare che un panorama tutto rose e fiori sia stato improvvisamente e improvvidamente guastato da una fiction brutta e abborracciata, piena di errori storici e scene menzognere…”.
Ah ecco finalmente gli scappa detto: la stampa di sinistra da una parte, il Fatto quotidiano dunque da un’altra. Pare proprio così, l’argomento non aiuta Travaglio e così eccolo finalmente esternare la sua collocazione di fatto, se non quella del giornale, certamente la sua. E se non è di sinistra, quale può essere la collocazione di Marco Travaglio? Lasciamo al lettore la soluzione che preferisce.
Da uomo non di sinistra, eccolo allora Travaglio premettere il ringraziamento a Marco Tullio Giordana che “ha ricostruito la strage di Piazza Fontana, dove tutto cominciò”.
Chissà cosa sia piaciuto in particolare di quella pessima operazione tentata da Marco Tullio Giordana: la teoria delle due bombe, l’idea che Pinelli sapesse qualcosa sulle bombe “anarchiche” ipotesi che viene solleticata dietro lo scenario delle bombe di destra (quelle vere, da strage) e quelle supposte di sinistra? Travaglio non ce lo dice, ringrazia soltanto. Ma non lo dice perché oltre a scagliare il suo veleno – e non è la prima volta – contro quelli di Lotta Continua, a partire da Adriano Sofri reo secondo lui di non essere più in galera, non ha trovato evidentemente inaccettabile la versione fornita dal pessimo sceneggiato tv sulla morte di Giuseppe Pinelli.
Il suicidio, termine che usa nel suo titolo per dire che nella fiction mancano i cosiddetti responsabili dell’omicidio Calabresi, è in realtà evocato dallo sceneggiato ed è il suicidio Pinelli, perché questa illazione è stata sentenziata a modo suo dal brutto sceneggiato mostrandoci dopo la precipitazione di Giuseppe Pinelli dal quarto piano della Questura quel coretto indecente di poliziotti che gridano dalla finestra “si è buttato, si è buttato”. Scena inventata di sana pianta, elargita ai telespettatori con l’unico scopo di fornire una risposta per una morte rimasta inspiegata senza altra definizione se non quell’assurdità del “malore attivo” escogitato dal magistrato Gerardo D’Ambrosio.
Ecco il suicidio di cui non ci dovrebbe parlare Travaglio è questo, quello inventato dalla fiction, ed è come scriviamo da giorni qualcosa di totalmente inaccettabile.
“Il peccato della fiction è che mancano i volti e le imprese dei colpevoli”, scrive Travaglio riferendosi all’omicidio Calabresi. E Pinelli? La morte di Pinelli viene liquidata da Travaglio col comodissimo “tragica fine”. Dove l’aggettivo non aiuta, certamente, perché suona di nuovo assolutorio: tragico è qualcosa che riguarda la tragedia, un sinistro inspiegabile, quasi il fato.
Beh, faccia uno sforzo, forse si può dire qualcosa di più sulla morte di un uomo arrivato in questura col suo motorino, detenuto illegalmente con un fermo prolungato di polizia, precipitato come un corpo esanime da quel quarto piano senza che le sue mani si ferissero in un tentativo estremo di difesa, rimbalzato sui due cornicioni che precedevano l’impatto col marciapiede, avvistato dal cronista dell’Unità (giornale di sinistra, direbbe Travaglio) Aldo Palumbo che poi la sera rientrando a casa sua la trovò sottosopra per l’irruzione di chissà chi…
Ma a Travaglio tutto questo sta bene. Tragica fine, stop. Il suo unico cruccio resta come un chiodo fisso quello di prendersela con quelli di Lotta Continua che hanno avuto il demerito di chiedere allora come fosse morto Giuseppe Pinelli nella Questura di Milano la notte del 15 dicembre del 1969.
Certamente quella si tramutò poi in una campagna che focalizzata sul commissario Calabresi trasformò qualcosa di giusto in qualcosa di ignobile. E’ stato già detto, non ho difficoltà a ripeterlo ora. A patto di riconoscere però, in uno scenario troppo spesso disposto a non vedere e a non indignarsi, che la richiesta di sapere come fosse morto Giuseppe Pinelli era una giusta richiesta. E ancor oggi è importante saperlo, ancor oggi non lo sappiamo. Certo c’è chi a tutto questo non presta la minima attenzione. Strano, eh? Chissà come mai.
Qui di seguito Travaglio: