Informazioni che faticano a trovare spazio

Licia Pinelli. D’Espinosa e poi D’Ambrosio mi chiesero che opinione mi fossi fatta sulla morte di Pino. Gli dissi, l’hanno picchiato, creduto morto e buttato giù…

Dall’intervista a Licia Pinelli comparsa in “La piuma e la montagna” (Manifesto Libri, 2008) a cura di Francesco Barilli e Sergio Sinigaglia:

“Sì, vengono a bussare da me verso l’una. Io, le bambine e mia suocera eravamo già a letto. Te lo dico perché in seguito ci fu persino chi disse che dormivo con un amante. Non è una cosa poi così strana: se devi infangare una vittima è meglio infangare anche i suoi parenti…

Comunque sono andata ad aprire e ho trovato questi due giornalisti. Sembravano affannati, dopo 4 piani di scale senza ascensore, e soprattutto davano l’impressione di farsi forza l’un altro, cercavano le parole per dirmelo: “sembra che suo marito sia caduto da una finestra”.

Gli chiusi la porta in faccia e mi precipitai a telefonare alla questura. Chiesi di Calabresi e me lo passarono. Dissi che c’erano due giornalisti alla mia porta, gli riferii cosa m’avevano detto, chiesi perché non m’avevano avvertito. “Sa, signora, noi abbiamo molto da fare”, mi rispose… Non so se gli ho detto ancora qualcosa, sicuramente gli ho sbattuto la cornetta in faccia. Dalla questura non seppi nulla: mentre Pino era all’ospedale, invece di chiamarci loro avevano indetto la famosa conferenza stampa…”.

“Tornando sulla presenza o meno di Calabresi nella stanza, non voglio riaprire polemiche, ma mi sembra giusto ricordare che uno degli anarchici fermati, Pasquale Valitutti, sostenne di non aver visto Calabresi uscire dalla sua stanza prima che Pino cadesse, e successivamente confermò sempre la stessa versione: non solo non aveva visto Calabresi uscire dalla stanza, ma affermò pure che (considerata la posizione che occupava nel corridoio) avrebbe senz’altro notato se il commissario fosse uscito. Quella dichiarazione la sostenne di fronte alla magistratura, ma non fu mai chiamato a deporre nuovamente davanti a D’Ambrosio, mi disse, nel corso dell’istruttoria decisiva.

“Quando sono stata interrogata da Bianchi d’Espinosa (procuratore generale a Milano, che poi assegnò il fascicolo a D’Ambrosio) mi chiese proprio quale opinione mi fossi fatta sull’accaduto, e la stessa domanda in seguito me la pose lo stesso D’Ambrosio. Risposi molto semplicemente, come rispondo a te ora: l’hanno picchiato, creduto morto e buttato giù; oppure l’hanno colpito al termine dell’interrogatorio, facendolo poi precipitare incosciente, e questo spiegherebbe anche il suo volo silenzioso, senza neppure un grido, e spiegherebbe pure che dei 5 agenti solo uno (il carabiniere) si precipita giù per accertarsi delle sue condizioni. Di questo racconto sono convinta ancora oggi.

Alla tesi del suicidio, poi, non ho mai creduto. Pino non l’avrebbe mai fatto, era un’eventualità che non ammetteva. Una volta avevamo parlato di una ragazza che conoscevamo, che aveva tentato il suicidio, e lui era stravolto. Non era una scelta che concepiva, amava la vita, non l’avrebbe mai fatto”.

E poi ecco Pasquale Valitutti che recentemente in un video postato su you tube (http://www.youtube.com/watch?v=XBoMMScJsMY) ha ripetuto le sue accuse per quella notte nella Questura di Milano dove era in attesa di essere interrogato ed era stato “parcheggiato” nella stanza adiacente a quella in cui veniva interrogato Pinelli.

Premetto che non conosco Pasquale Valiitutti, che vedo partecipare con la sua carrozzella sempre in mezzo alle manifestazioni come l’ultima dei No Tav a Roma. Però prendo atto di quel che dice. E in particolare non si può dimenticare che quanto continua a ripetere è stato registrato anche dai magistrati già da allora, il 6 gennaio del 1970.

Valitutti riferisce di essere stato quella notte in una stanza con una grande porta aperta adiacente alla stanza in cui veniva interrogato Pino Pinelli.

Valitutti dice che davanti a lui dall’altra parte del corridoio c’era la porta del capo dell’Ufficio Politico, Antonino Allegra.

Valitutti non ha visto nessuno transitare in quel corridoio a ridosso di quella mezzanotte del 15 dicembre 1969, nessuno aprire o uscire dalla porta di Allegra. E in particolare non ha visto transitare il commissario Luigi Calabresi.

Vero, non vero, possibile che si sia distratto…Non sappiamo. Aggiunge però Valitutti di di aver sentito un tonfo e che poi si è presentato da lui il commissario Luigi Calabresi. Lui avrebbe chiesto: “Ma cosa è successo?”.

E Calabresi gli avrebbe risposto: “Non capisco, Valitutti, stavamo tranquillamente parlando e lui si è buttato…”.

Questo è quanto dice Valitutti, l’ha ripetuto da poco nel 2012 in questa testimonianza che è su you tube.

Valitutti ricorda questo verbo: “Stavamo…”.

E’ Valitutti, è un anarchico, forse questo ha impedito da sempre di considerarlo attendibile. Però è questo ciò che ha detto e che continua a ripetere il compagno di Giuseppe Pinelli.

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