Informazioni che faticano a trovare spazio

Finalmente anche a Regina Coeli dopo 70 anni qualcosa che ricordi la deportazione e le vittime del nazismo. La commozione di Suzanne Bourdet per la “pietra d’inciampo” dello zio Jean deportato il 4 gennaio 1944 e ucciso a Ebensee…

Suzanne Bourdet Faye è commossa: davanti al carcere di Regina Coeli si sta materializzando ciò che sembrava per sempre perduto, la memoria di suo zio Jean Bourdet scomparso nel 1944 e di cui la famiglia non aveva più saputo nulla per anni. A farla commuovere è la pietra d’inciampo a lui dedicata di fronte al carcere, posizionata lunedì dall’artista Gunter Denmig giunto con queste ultime “stolpersteine” a quota 45.000 in tutta Europa. Lo zio Jean aveva solo 25 anni quando fuggì dalla Francia invasa dai nazisti, fu poi arrestato il 2 gennaio del 1944 a Formello vicino a Roma dove si era unito a un gruppo di partigiani e da lì portato a Regina Coeli per poi essere deportato in Germania col convoglio partito dalla Stazione Tiburtina il 4 gennaio del 1944.

La nipote Suzanne, insegnante di scienze per anni al liceo Chaptal di Parigi, ora impegnata col marito Michel nell’associazione internazionale scientifica “Hands on Universe”, è venuta a Roma da Parigi per assistere alla cerimonia molto affollata di questa mattina col vicedirettore di Regina Coeli, l’assessore alla cultura Flavia Barca, la presidente del I Municipio Sabrina Alfonsi, la consigliera culturale dell’ambasciata tedesca Claudia Schmitz e con la banda dei ragazzi della scuola media Virgilio che hanno suonato “La vita è bella”. “Jean e mio padre Simon avevano allora 25 e 23 anni – ricorda Suzanne Bourdet -. Vivevano nel sud della Francia, vicino a Cahors, nel Lot, erano due maestri elementari legati al movimento pedagogista Freinet.. Li aveva allevati la nonna Marie che aveva avuto il marito morto nella prima guerra mondiale. Nonna Marie ripeteva loro: “Evitate la guerra, agite perché non ci sia….”. Perciò quando i tedeschi ci invasero, Jean e Simon scapparono per evitare di essere costretti al lavoro obbligatorio imposto dagli invasori. A Cannes mio padre fu preso, Jean fuggì. Papà finì in Austria e poi in Germania, a Berlino, ai lavori obbligatori. Di Jean non abbiamo per anni più saputo nulla. Mio padre si salvò, gli è restata la valigia del fratello, che non ha mai voluto aprire finora. Ha 93 anni, ci segue molto commosso dalla Francia…”.

E’ stato grazie al sito italiano “deportati4gennaio1944” che è riemersa la storia di Jean Bourdet. “Abbiamo ritrovato poco tempo fa le sue tracce lì – racconta Suzanne Bourdet -. Dobbiamo ringraziare il lavoro di Eugenio Iafrate. Così abbiamo appreso che Jean era stato uno dei 330 deportati del 4 gennaio dalla Stazione Tiburtina. Sono arrivati ai campi in 257, qualcuno era riuscito a scappare durante il tragitto. Mio zio è poi morto nel lager di Ebensee. Mi fa piacere che ora lo si ricordi con questa piccola pietra. In fondo, in questo carcere romano da cui sono passati tanti deportati e le vittime della strage delle Ardeatine, non c’è nessuna lapide che ricordi questi orrori. Almeno ora grazie a Jean Bourdet e all’altra vittima ci sono queste due piccole pietre che rammentano ciò che è stato…”.

Paolo Brogi

corriere.it 11.1.14

le foto sono di Andrea Brogi

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