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Cento anni fa, il Natale sul fronte occidentale e la tregua spontanea. E poi tutti gli scemi di guerra dimenticati nei manicomi d’Italia

Il 28 luglio del 1914 iniziò la prima guerra mondiale. In Serbia, poi in Belgio, poi…

A Natale dopo varie carneficine ci fu però un miracolo, la tregua di Natale. Già nella settimana precedente il Natale, soldati tedeschi e inglesi presero a scambiarsi auguri e canzoni dalle rispettive trincee e occasionalmente singoli individui attraversarono le linee per portare doni ai soldati schierati dall’altro lato; la vigilia di Natale e per Natale poi un gran numero di soldati provenienti da unità tedesche e britanniche (nonché, in misura minore, da unità francesi) lasciarono spontaneamente le trincee per incontrasi nella terra di nessuno per fraternizzare, scambiarsi cibo e souvenir. Oltre a celebrare comuni cerimonie religiose e di sepoltura dei caduti, i soldati dei due schieramenti intrattennero rapporti amichevoli tra di loro al punto di organizzare improvvisate partite di calcio. Una partita finì perché il pallone andò ad infilzarsi sul filo spinato.

La tregua non fu un fatto organizzato, né universalmente diffuso: in diverse zone del fronte i combattimenti proseguirono per tutto il giorno di Natale, mentre in altri i due schieramenti negoziarono solo tregue momentanee per seppellire i caduti. Gli episodi di fraternizzazione con il nemico furono giudicati negativamente dagli alti comandi e severamente proibiti per il futuro: già l’anno successivo alcune unità organizzarono cessate il fuoco per il giorno di Natale, ma le tregue non raggiunsero il grado di intensità e di fraternizzazione di quelle del 1914; per il Natale del 1916, dopo le traumatiche esperienze delle sanguinose battaglie di Verdun e della Somme e l’impiego di armi chimiche nessuna tregua venne organizzata. Alla fine del conflitto si fecero i conti dei morti: 8 milioni di caduti, 20 milioni di feriti, 65 milioni di soldati mobilitati.

E i matti? Quest’anno si sentirà sempre più parlare della Grande Guerra. Vorrei solo ricordare qui tutti quelli che finirono in manicomio, i cosiddetti “scemi di guerra”, migliaia di soldati dimenticati e finiti nel peggior modo. Diventati matti in trincea, dove in parecchi si suicidarono, mentre chi sopravviveva lo faceva spesso con gli occhi sbarrati per il grande orrore entrato nella sua testa. Le schede di questi poveracci sono a San Servolo, a Venezia, e in tanti altri manicomi. Dimenticate. E noi non dobbiamo dimenticarli.

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