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I Centri Identificazione ed espulsione, l’Italia di Berlusconi ci ha inchiodato a questa vergogna?

Cosa sono i Cie

(da lasciatecie entrare)

Oggi si utilizza l’acronimo Cie (centri di identificazione ed espulsione) per indicare quei luoghi di privazione della libertà personale riservati a cittadini non provenienti dai paesi U.E. presenti, in caso di controllo delle forze dell’ordine, irregolarmente. In quanto tali sono in attesa di essere rimpatriati. In altri termini si tratta di luoghi di detenzione amministrativa ( i trattenuti non hanno commesso alcun reato penale che ne permetta la custodia), così come avviene in gran parte dei paesi della Comunità.

La detenzione amministrativa ha però in Europa una storia lunga in cui una modifica strutturale si realizza negli anni Novanta. I paesi firmatari del “trattato Schengen” (che nasce nel 1985 ma a cui l’Italia aderisce in fasi successive) e che permette la libera circolazione dei cittadini degli Stati membri, sono obbligati a definire strumenti per identificare chi non gode di tali caratteristiche.

Con l’approvazione del Testo Unico Legge 40/1998 altrimenti detta Turco – Napolitano, si stabilisce la realizzazione di Cpta ( Centri di permanenza temporanea e assistenza) in cui le persone potevano essere trattenute per un periodo massimo di 30 giorni complessivi. L’esperienza si dimostra sin dall’inizio a dir poco problematica: nei centri – i primi ad aprire sono stati 7 – finiscono soprattutto ex detenuti e persone che non sono poste in condizione di regolarizzare la propria posizione.

Le stesse strutture (ex ospizi, caserme dismesse, container ecc…) si dimostrano inadatte a garantire condizioni di vita decenti. Da subito diventano teatro di rivolte, tentativi di fuga, atti di autolesionismo in alcuni casi con esito tragico. Una data che resterà tragicamente impressa di questa fase iniziale è quella del 28 dicembre 1999, quando dopo un fallito tentativo di fuga nel Cpta di Trapani ed in seguito ad un incendio, sei reclusi trovano una orribile morte.

Già da allora anche la gestione dei centri risente di numerosi aspetti critici: la sorveglianza esterna è affidata alle forze dell’ordine e la responsabilità affidata alle locali prefetture, la gestione a enti privati che ottengono l’appalto con gare a trattativa privata gestite dalle prefetture competenti.

L’opacità delle strutture e della loro amministrazione è rotta solo saltuariamente dagli interventi di parlamentari ma una cosa diviene immediatamente chiara. I centri non risultano essere risposta adatta per un “contrasto all’ immigrazione irregolare”, coloro che vi finiscono rinchiusi lo devono a casualità e discrezionalità, posti che si liberano in un centro, rastrellamenti in un quartiere, la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Gli stessi funzionari di polizia che debbono avvalersene sono i primi a porre critiche, affermando spesso che ad esempio gli stessi tempi di trattenimento sono troppo lunghi. «O riusciamo ad identificare una persona in pochi giorni, con l’aiuto dei consolati o è impossibile». La dichiarazione più frequente.

Negli anni aumenta prima il numero di centri, ( nel frattempo nell’acronimo sparisce la A di assistenza) e poi con le modifiche al T.U. introdotte con la Bossi – Fini raddoppia il tempo massimo di detenzione che diviene di 60 giorni. I centri non diventano per questo “più efficienti” nel provvedere ai rimpatri dei destinatari di decreti di espulsione, anzi c’è un calo mentre aumentano le denunce per violazioni dei diritti umani ai danni dei migranti.

I centri nel frattempo, con enormi investimenti, si adeguano, assumendo sempre più l’aspetto di strutture detentive di massima sicurezza. Quello che era in nuce dall’inizio si palesa in maniera ancora più evidente, si sono create vere e proprie “istituzioni totali”peraltro in totale assenza di uniformità regolamentare come avviene nei penitenziari.

Pochi spazi sociali, sbarre e gabbie dappertutto, meccanismi di controllo in ogni stanza. Sorgono centri nuovi o vengono ristrutturati i vecchi per rendere più difficili le fughe e le rivolte che invece aumentano.

Numerosi sono anche i tentativi di produrre inchieste su tali strutture, estremamente interessante il rapporto redatto da Msf nel 2004 e altrettanto critico quello prodotto dalla commissione governativa presieduta da Staffan De Mistura nel 2007, si inizia a parlare di superamento dei centri e della loro ingestibilità.

Ma la risposta che poi offre la politica si dirige nel senso opposto. Nonostante la cosiddetta “direttiva rimpatri” (115/2008) emanata dalla U.E. stabilisca che il trattenimento deve costituire l’estrema ratio – che l’Italia recepisce in maniera parziale e arbitraria – per identificare una persona irregolarmente presente sul territorio di uno dei paesi membri, il governo Berlusconi porta, attraverso il “pacchetto sicurezza” a sei mesi il tempo massimo di detenzione.

I centri che, a quel punto assumono il nome di Cie, rendono ancora meno giustificabile la loro esistenza. Calano i rimpatri coatti, aumenta un intasamento nei centri delle stesse persone. Nel luglio 2009 ulteriore stretta, il termine viene portato a 180 giorni. Strutture pensate per essere di transito diventano, per ammissione degli stessi trattenuti, peggiori delle carceri. Non è casuale il fatto che in questo periodo si registri il maggior numero di rivolte, di tentativi di fuga o di suicidi. Il risultato è che aumenta il numero di permanenza dei singoli individui, diminuiscono i posti disponibili e quindi, anche seguendo la logica che ne giustifica l’esistenza, si dimostrano fallimentari.

L’estate del 2011 è un ulteriore tappa nella via crucis della detenzione amministrativa in Italia. In coincidenza con gli effetti delle cosiddette “Primavere arabe” – tra i quali una intensificazione degli sbarchi da Tunisia e Libia sulle coste di Lampedusa – il governo Berlusconi risponde con la conversione di due direttive europee, quella sulla libera circolazione (la cui conversione era già scaduta nel 2010) 2004/38/CE e quella sui rimpatri 2008/11/CE attraverso ildecreto legge 89 del 2011 con cui, tra le altre cose, il termine della detenzione viene protratto a 1 anno e mezzo. Qualche mese prima, intanto, attraverso la direttiva 1305 del 1 aprile, il governo Berlusconi aveva deciso di restringere l’accesso ai Cie solo ad alcune realtà. Da queste era esclusa la stampa. E’ la circolare che fa partire la campagna LasciateCIEntrare.
I Cie oggi funzionanti sono per la maggior parte dislocati in aree periferiche rispetto alle città, opprimente la presenza di sbarre e di strumenti di controllo, critica la situazione socio sanitaria, frequenti le denunce di abusi e di violenze subite. Gabbie enormi circondate da cemento, letti cementati al pavimento, attimi di socialità e di comunicazione con l’esterno sovente legati alla discrezionalità dell’ente gestore e dalla disponibilità degli operatori.

Strutture irriformabili per loro stessa natura e che, insieme alla detenzione amministrativa andrebbero cancellate dal vigente ordinamento. Una questione italiana ma che deve interessare l’intero continente dove sono almeno 200 le strutture simili operanti.

Ed ecco la scheda del Ministero dell’Interno:

Centri dell’immigrazione

Le strutture che accolgono e assistono gli immigrati irregolari sono distinguibili in tre tipologie

• Centri di accoglienza (CDA)
• Centri di accoglienza richiedenti asilo (CARA)
• Centri di identificazione ed espulsione (CIE)

I CENTRI DI ACCOGLIENZA (CDA)

(L.563/95)
Sono strutture destinate a garantire un primo soccorso allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale. L’accoglienza nel centro è limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l’identità e la legittimità della sua permanenza sul territorio o per disporne l’allontanamento.

I centri attualmente operativi sono:

  • Agrigento, Lampedusa – 381 posti (Centro di primo soccorso e accoglienza)
  • Cagliari, Elmas – 220 posti (Centro di primo soccorso e accoglienza)
  • Caltanissetta, Contrada Pian del Lago – 360 posti (CDA)
  • Lecce – Otranto (Centro di primissima accoglienza)
  • Ragusa Pozzallo (Centro di primo soccorso e accoglienza) – 172 Posti

CENTRI ACCOGLIENZA RICHIEDENTI ASILO (CARA)

(DPR 303/2004D.Lgs. 28/1/2008 n°25)
Sono strutture nelle quali viene inviato e ospitato per un periodo variabile di 20 o 35 giorni lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento o che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l’identificazione o la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato.
I centri attualmente operativi sono:

  • Bari Palese, Area aeroportuale – 744 posti
  • Brindisi, Restinco – 128 posti
  • Caltanissetta, Contrada Pian del Lago – 96 posti
  • Crotone, località Sant’Anna – 875 posti
  • Foggia, Borgo Mezzanone – 856 posti
  • Gorizia, Gradisca d’Isonzo – 138 posti
  • Roma, Castelnuovo di Porto – 650 posti
  • Trapani, Salina Grande – 260 posti

Vengono utilizzati per le finalità sia centri di accoglienza (CDA) che di centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) i centri di Ancona, Bari, Brindisi, Crotone, Foggia.

I Centri di identificazione ed espulsione (CIE)

Così denominati con decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, sono gli ex ‘Centri di permanenza temporanea ed assistenza’: strutture destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, degli stranieri extracomunitari irregolari e destinati all’espulsione. Previsti dall’art. 14 del Testo Unico sull’immigrazione 286/98, come modificato dall’art. 12 della legge 189/2002, tali centri si propongono di evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e di consentire la materiale esecuzione, da parte delle Forze dell’ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari.
Il Decreto-Legge n. 89 del 23 giugno 2011, convertito in legge n. 129/2011, proroga  il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri dai 180 giorni ( previsti dalla legge n. 94/2009) a 18 mesi complessivi.
Attualmente i centri operativi sono 13:

  • Bari-Palese, area aeroportuale – 196 posti
  • Bologna, Caserma Chiarini – 95 posti
  • Brindisi, Loc. Restinco – 83 posti
  • Caltanissetta, Contrada Pian del Lago – 96 posti
  • Catanzaro, Lamezia Terme – 80 posti
  • Crotone, S. Anna – 124 posti
  • Gorizia, Gradisca d’Isonzo – 248 posti
  • Milano, Via Corelli – 132 posti
  • Modena, Località Sant’Anna – 60 posti
  • Roma, Ponte Galeria – 360 posti
  • Torino, Corso Brunelleschi – 180 posti
  • Trapani, Serraino Vulpitta – 43 posti
  • Trapani, loc Milo – 204 posti

L’operatività dei centri e la loro a capienza può essere soggetta a variazioni in relazione ad eventuali lavori di manutenzione, ordinaria o straordinaria..

I CENTRI SONO PIANIFICATI DALLA DIREZIONE CENTRALE DEI SERVIZI CIVILI PER L’IMMIGRAZIONE E L’ASILO

Sono gestiti a cura delle Prefetture-Utg tramite convenzioni con enti, associazioni o cooperative aggiudicatarie di appalti del servizio.
Le prestazioni e i servizi assicurati dalle convenzioni sono:
1) Assistenza alla persona
-assistenza alle persone (vitto, alloggio, fornitura effetti personali ecc.);
-assistenza sanitaria
-assistenza psico-sociale;
-mediazione linguistico culturale.
2) Ristorazione
3) Servizio di pulizia ed igiene ambientale
4) Manutenzione della struttura e degli impianti

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