Spesso ho sentito ebrei, perlopiù romani, dire peste e corna di Moni Ovadia. La sua colpa? Difendere i palestinesi. Cioè attaccare governi come quello Netanyahu, che non coincidono con Israele anche se ne rappresentano al momento l’immagine politica e operativa pubblica.
E’ facile, contrastando un governo come quello Netanyahu, ritrovarsi sbattuti all’opposto. E questo è un pericolo costante, su quel filo di rasoio che è la questione israelo-palestinese.
Ma fondamentalmente la colpa di Moni Ovadia è di non essere d’accordo con una politica oltranzista come quella della destra israeliana.
Il che non vuol dire certamente essere contro Israele.
Detto questo, le comunità ebraiche in Italia mostrano a volte una certa insofferenza per i distinguo, per chi cerca di non farsi appiattire su una politica come quella rappresentata da governi come il Netanyahu, per chi difende anche le ragioni dei palestinesi. Non di Hamas, certo, ma della popolazione palestinese che avrà il difetto di votare male ma resta pur sempre un popolo in difficoltà. Non aggiungo aggettivi.
E così si assiste ora all’uscita di Moni Ovadia dalla comunità ebraica milanese, salutata da una parte (mi pare consistente) come una sorta di liberazione, mentre un’altra più ragionevolmente opta invece perché la scelta sia rivista.
Mi pare in conclusione che il tutto rinvii a una necessità di lavare i panni in pubblico, affrontando le questioni per quello che sono. Si può essere per Israele e per i palestinesi?
Io penso che, nonostante le difficoltà, si possa operare in questa duplice direzione. Senza fatwe, spergiuri, condanne e inquisizioni.
(Prego astenersi da commenti stupidi o, peggio, antisemiti, tanto sarebbero da me cassati)