DOPO IL CASO GIULIA LIGRESTI / DETENUTO A GENNAIO HA RISCHIATO DI MORIRE
Regina Coeli, 24enne dializzato in cella
I genitori: «Ci aiuti il ministro Cancellieri»
Il ragazzo, in attesa di trapianto di rene, ha perso 15 chili in carcere. Ma non ottiene la scarcerazione per motivi di salute
ROMA – Un ragazzo di 24 anni è chiuso in una cella di Regina Coeli da oltre due anni in attesa del processo d’appello. Nella sua storia, poco conta che si professi innocente e che le prove indiziarie sulla base delle quali è stato condannato a 9 anni in primo grado (per una rissa con un ferito grave) siano destinate – a detta del suo difensore – a cadere in appello. Quel che conta è che Brian Gaetano Bottigliero è malato. Gravemente. Da mesi lascia la cella tre volte a settimana per sottoporsi a dialisi. Aspetta un trapianto di rene – senza il quale non avrebbe futuro – ma non può essere operato perché nel carcere romano ha perso 15 chili ed è gravemente debilitato.
ANDREMO ANCHE NOI AL DAP» – «Quando ho sentito del caso di Giulia Ligresti e dell’intervento presso i Dap che ha risolto la sua detenzione facendole guadagnare gli arresti domiciliari – dice Antonio Bottigliero, il padre di Brian – mi sono chiesto: ma allora abbiamo sbagliato tutto? Tutti i nostri ricorsi dovevano andare al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria anziché al giudice competente? Oppure dovevamo rivolgerci anche noi al ministro Cancellieri?»
MEANDRI BUROCRATICI – Il caso di Brian è esemplare di come tanti casi di malati detenuti nelle carceri italiane si complichino nei meandri dell’iter burocratico per la scarcerazione, che quasi mai viene concessa. Lo scorso gennaio 2013, Brian viene ricoverato d’urgenza in pericolo di vita all’ospedale Santo Spirito: un ricovero arrivato tardi, nonostante da mesi Brian avesse chiesto assistenza sanitaria per evidenti problemi di salute. Gli viene diagnosticata una grave insufficienza renale e dopo 7 giorni – a febbraio – Brian viene trasferito all’ospedale Sandro Pertini, sezione medicina protetta (la stessa dove venne ricoverato Stefano Cucchi).
LA MALATTIA DIVENTA CRONICA – Fatti tutti gli accertamenti, la diagnosi è «insufficienza renale cronica». Ma dopo circa tre mesi, dimesso dal Pertini in via di guarigione, con patologie in atto che non potevano essere assistite dal Centro clinico di Regina Coeli, viene rimandato nel penitenziario sul lungotevere. Qui nessuno gli consente di seguire la dieta prescritta dai medici. In stato di grave prostrazione fisica e psicologica inizia il calo ponderale: il giovane detenuto Brian perde circa 15 chili.
ATOLOGIE INSORTE DA MESI – L’estate trascorre tra sofferenze e periodiche uscite per la dialisi finché, ad ottobre 2013, Brian viene nuovamente trasferito in ospedale, al Pertini, in seguito ad un malore a Regina Coeli e viene ricoverato per accertamenti. I medici constatano «un quadro clinico caratterizzato da nausea, vomito, astenia e dimagrimento insorti da alcuni mesi». Pesa ormai 63 chili, contro gli 83 di quando era stato arrestato.
DIALISI E PERICOLO DI FUGA – A inizio novembre, però, solo tre giorni fa, Brian viene rimandato in carcere al Regina Coeli, «dove di nuovo non potrà essere assistito come la sua patologia richiede» accusa il padre. Che ricorda: «Abbiamo presentato istanza di scarcerazione per incompatibilità carceraria per gravi motivi di salute: la nostra richiesta è stata rigettata con la motivazione del pericolo di fuga. Ma dove può fuggire un ragazzo che non sta in piedi e che deve sottoporsi a dialisi in continuazione?».
«GIUDIZIO COPIA-INCOLLA» – Anche il ricorso al Tribunale della liberta è stato rigettato. Motivazione: pericolo di reiterazione del reato. «Peccato che le accuse di chi sosteneva avesse colpito un uomo con un casco siano cadute (le motivazioni del primo processo, aprile 2013, hanno escluso l’uso del casco) e quell’elemento probatorio non valga più nulla – obietta il padre -. Ma il giudizio del Tribunale della Libertà pare un copia-incolla delle motivazioni di un’altra sentenza del 2011».
VICENDA CLINICA ASSURDA – Ora i genitori del ragazzo confidano in un nuovo ricorso, ma resta il rammarico per una vicenda clinica che ha dell’assurdo: «Se nostro figlio avesse avuto un’adeguata assistenza sanitaria all’insorgere dei primi sintomi, la sua patologia – in origine banale – non sarebbe degenerata», sottolineano. «Due anni senza adeguate cure lo hanno distrutto, ridotto a uno scheletro. E adesso, gli arresti domiciliari alla Ligresti, causa eccessivo dimagrimento e prostrazione psicologica… Ma allora, cosa dobbiamo per salvare il nostro ragazzo?».
05 novembre 2013 Corriere.it
Luca Zanini