Informazioni che faticano a trovare spazio

La Terra dei Fuochi arriverà a Roma…

Diciamocelo: finché le Terre dei Fuochi non arrivano a bussare a Roma è facile per il sistema delle comunicazioni italiano trattare con estrema disinvoltura il tema in ballo. Ignorandolo e banalizzandolo di fatto. Un po’ come ha fatto pochi giorni fa Paolo Liguori quando al tg di Mediacom dove è ingaggiato ha attaccato alcuni volontari del Coordinamento Fuochi dicendo in sostanza: ma voi ieri dove eravate?

Bella domanda.

La farei innanzitutto allo Stato italiano, però. Se è vero che sono stati “sversati” in Campania e dintorni quasi 500 mila camion di rifiuti speciali ci si dovrebbe chiedere: ma neanche uno di questi camion pieni di veleni è stato mai fermato da una pattuglia? Mai fatto un verbale a uno di questi trasportatori? Tutti andati a scaricare senza che nessun controllo li intercettasse mai?

Poi c’è chi – un esempio è il Mattino – pare spostare l’attenzione su inceneritori sì o no….

Fa dispiacere vedere oggi pagine scritte a tavolino con i dispacci delle agenzie di stampa, perché ci sono giornali che non hanno neanche voluto far presenziare al grande corteo di Napoli un loro giornalista.

Peccato. Perché a Napoli, sabato, c’è stato un corteo davvero pieno di persone e sentimenti, un raro corteo nato dal baso e fatto al 90% di persone che non sono avvezze a manifestare, alla cui testa c’era un prete come don Maurizio Praticiello, il parroco di Caivano, quello del prefetto e della “signora” nel video che l’ha reso famoso, che il giorno prima sull’Avvenire aveva messo le mani avanti contro i violenti rivendicando al popolo martroriato della Terra dei Fuochi tutto lo spazio necessario. La sua, una scommessa vinta.

E il popolo c’era con le mamme dei piccoli portati via dai tumori, con le foto di questi bambini innalzate con orgoglio dalle loro povere madri, con le donne vestite in nero, con famiglie intere, con la povera gente di tutti questi infiniti comuni della Campania colpiti a morte dal ciclo dei rifiuti illegali.

C‘erano i gonfaloni di posti come Agerola, Acerra, Gricignano di Aversa, Caivano, Pozzuoli e anche Napoli.

E c’erano i nomi di tanti altri comuni sugli striscioni, da Frattaminore (Stop biocidio) a Sant’Arpino (nun te fa fa cchiu fess, senza terra simmo nient), Procida (Una volta a Procida si moriva di vecchiaia), Sant’Arcangelo Trimonte (Campania munnezzaro d’Italia), Acerra (Acerra brucia ancora), Santa Maria a Vico, Carditello (Salviamo Carditello e i Regi Lagni), Giugliano (Giugliano terra dei fuochi e dei veleni), Grumo Nevano (Grumo Nevano presente), Montesano sulla Marcellana (Dice no), Pomigliano d’Arco (Pomigliano non si piega), Marcianise (Comitato Fuochi sezione Marcianise, Basta morti per tumori, salviamo i nostri figli), Casavatore (Casavatore c’è), Casoria (Casoria vuole vivere, sono i giovani a gridarlo), Caserta (La nostra terra), Ischia (Avvelenati e incazzati), Caivano, Afragola…

“Questa non è una passerella dei politici”, diceva un altro striscione. Se ne è reso conto il sindaco di Caserta arrivato con la fascia tricolore e che poi, di fronte alle contestazioni, se l’è rimessa in tasca. De Magistris ha invece fatto una rapida comparsa stasndosene in coda.

“Nord Stato Camorra, la puzza siete voi”, diceva un altro striscione. Un altro: “Assassini”.

Concetti analoghi in striscioni come “Al grido del popolo fa eco il silenzio dello Stato”. Oppure: “Padre non perdonali perché sanno quello che fanno”. .

In piazza Plebiscito circondato da telecamere don Maurizio Pratriciello ha detto che mentre il casalese pentito Schiavone aiuta in qualche modo a identificare il problema lo Stato non si sa che cosa fa…

Lo Stato era il presidente Caldoro che ha fatto l’occhiolino alla manifestazione. Prima che iniziasse ha mandato pure un sms a don Patriciello chiedendo un incontro nel pomeriggio, cosa evidentemente non possibile sabato.

Richiesta corale è identificare i posti in cui sono stati fatti gli sversamenti e gli interramenti, insomma arrivare a un censimento dei siti avvelenati. Se non è possibile, allora occorre certificare la produzione agricola futura. Magari con sistemi duplici di certificazione, perché altrimenti l’economia agro-alimentare di un’intera regione andrà all’aria.

Ma anche fare un registro dei tumori. Anche avviare indagini epidemiologiche serie.

Perché il nome che c’era su tanti altri striscioni è più cxhe chiaro: Biocidio. Stop, biocidio.

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