DOPO IL CASO LIGRESTI-CANCELLIERI / FOCUS SUI MALATI NEI PENITENZIARI
La denuncia del Garante Angiolo Marroni: negata la sospensione della pena ,morto 82 enne cardiopatico di Regina Coeli.«La misura Ligresti sembra non valere per tutti»
ROMA – Incompatibilità con il carcere? L’intervento presso il Dap che ha fatto liberare Giulia Ligresti si basa su una valutazione che «decisamente non vale per chiunque». Lo afferma il Garante per i detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni. «Lo scorso primo ottobre, un 82enne detenuto a Regina Coeli, Sergio Caccianti, è morto appena giunto al pronto soccorso dell’ospedale Santo Spirito di Roma – spiega il garante -. Nonostante i gravissimi problemi cardiaci di cui era sofferente gli era stato negato il differimento provvisorio della pena a causa della malattia. Insomma, è stato detto di no alla sospensione della pena per sei mesi. Così è andato a morire al Pronto Soccorso quando ormai era troppo tardi…».
TRAPIANTATO RESTA IN CELLA – Carceri e incompatibilità per ragioni sanitarie, un argomento di grande attualità dopo quanto è emerso nell’affaire Ligresti. Il garante Marroni denuncia: «Quel morto non doveva esserci… Così come non dovrebbero esserci tutte quelle incompatibilità per malattie croniche e invalidanti, che non ottengono quasi mai ascolto…». Ci sono carcerati, come D.M. , che vivono attaccati a un respiratore. D.M. è ricoveato al Centro0 diagnostico terapeutico dei Regina Coeli. Dialisi, amputazioni, carcerati diabetici gravi, detenuti con epatite, altri con situazioni cerebrali stravolte, condizioni sanitarie ai limiti estremi come quella di un detenuto L.G. che sta lottando dentro Regina Coeli per il rigetto di un trapianto di fegato. E non è l’unico trapiantato in carcere».
DIAGNOSI MAI TEMPESTIVE – Non bastasse, l’elenco continua: «Piaghe da decubito, strascichi e complicazioni cliniche per chi è privo di denti, malattie oncologiche, polmonari, cardiovascolari, apnee notturne». Questo il panorama frequente nelle carceri romane. «La condizione ambientale del carcere non consente diagnosi tempestive e spesso neanche i ricoveri – aggiunge Marroni -. Dal carcere esce una collezione di sofferenze. Su oltre tremila detenuti e detenute delle carceri romane i casi di incompatibilità sono tantissimi, troppi, ma quasi sempre non succede nulla a causa delle trafile burocratiche scadenti, perché la polizia penitenziaria è insufficiente, insomma perché la struttura non dà risposte adeguate…».
REPARTO CRONICI A REBIBBIA – A Rebibbia è stato da tempo aggiunto un reparto cronici, dove si concentrano detenuti in carrozzina, amputati e altre situazioni limite. E’ stato ricoverato invece all’ospedale Pertini, fino al 3 novembre, per gravi problemi cardiaci, un detenuto di 76 anni, L.D., finito in cella lo scorso agosto perché coltivava a casa sua una pianticella di marijuana. Ci sono voluti 3 mesi per concedergli gli arresti domiciliari. Se in generale ad impedire un regime attenuato o la libertà è stata la cosiddetta pericolosità sociale, nel caso del «coltivatore ultrasettantenne di cannabis indiana» l’argomento pericolosità è difficilmente impugnabile. Così non è avvenuto per il detenuto tunisino J.M. che – reduce da un percorso di vari istituti penitenziari, attraversati nella condizione di uno chi non ci sta troppo di testa – è stato portato al Pertini per essere operato in quanto aveva appena ingurgitato un pezzo di neon e alcune viti. Poi questo detenuto non nuovo all’autolesionismo, una volta liberato chirurgicamente del problema, non solo non è stato inviato in una struttura assistita ma è stato di nuovo trasferito in un altro carcere fuori del Lazio, a Reggio Emilia, dislocando altrove i suoi gravi problemi psichiatrici.
SCIOPERO TOTALE DELLA FAME – Al Pertini è finito anche un cittadino mongolo B.B. incarcerato per un furto in un outlet e da due mesi in sciopero totale della fame. Molte situazioni di incompatibilità sono facilmente reperibili nelle infermerie delle carceri dove stazionano i detenuti in condizioni più gravi, assediati spesso da altri detenuti che per i dolori derivanti da emorroidi non curate – una patologia piuttosto diffusa – ricorrono all’autolesionismo pur di ottenere un minimo di attenzione.
IL CALVARIO DELLA DIALISI – Non mancano neanche i dializzati, come i due detenuti di Regina Coeli, uno dei quali – B.G. un ragazzo molto grave che ha perso 15 chili – è stato ricoverato al Pertini, ma pochi giorni fa è tornato in cella. E non manca neanche chi arriva alle crisi epatiche con varici esofagee. Molto diffuso, poi, il mal di denti a fronte di pochissimi dentisti a disposizione. «Troppi casi, tantissimi, che noi continuamente segnaliamo all’amministrazione penitenziaria, ai direttori, alle Asl – spiega il Garante Marroni -. Non sempre viene chiesta la scarcerazione per motivi sanitari, ma quando viene chiesta molto spesso l’esito è negativo».
Paolo Brogi
05 novembre 2013 Corriere.it
(la foto che ho utilizzato è stata scattata dall’amico Stefano Montesi)