“Quando arrivai a San Carlos de Bariloche, nel maggio del 1994, nel paese andino dell’Argentina nessuno sembrava dare un peso a quell’uomo con la sua attività appartata, nessuno che conoscesse l’esatto passato del capitano delle Ss Erich Priebke”. La signora bionda, accompagnata dall’avvocato Marcello Gentili, era Giulia Spizzichino e si portava sulle spalle un’intera famiglia sterminata dai nazisti, a cominciare da Eric Priebke. Tutto il ramo materno: sette erano i Di Consiglio uccisi alle Fosse Ardeatine, Giulia Spizzichino ne ripete i nomi, il nonno Mosè, gli zii Cesare e Salomone, i cugini Franco, Marco e Santoro più il marito di Clara, Angelo Di Castro. Altri 12 compreso un bimbo di 18 giorni, Giovanni, furono uccisi invece nei campi di sterminio in Germania.
Giulia Spizzichino era arrivata lì per sostenere la richiesta dell’estradizione di Priebke, il suo viaggio nell’Argentina di Menem non fu inutile. “ Ero partita dall’Italia per rimediare alla richiesta di estradizione respinta, perché il ministero retto da Alfredo Biondi si era limitato a richiederla per crimini di guerra. E così’ era stata rigettata. Io invece andai presentando una richiesta per delitti contro l’umanità. Era stato un giornalista della tv americana Abc a suggerirlo. I crimini contro l’umanità non decadono mai, così mi aveva detto. Aveva ragione”, spiega Giulia Spizzichino, oggi 87 anni, che poco tempo fa ha ricostruito quel famoso viaggio nel libro di memorie “La farfalla impazzita”, diventato pochi giorni fa un regalo che ha voluto fare a Papa Francesco nel corso di un’udienza.
“Arrivammo in Argentina – prosegue il racconto di Giulia Spizzichino – e a Buenos Aires incontrammo molte persone, comprese le madri della Plaza de Mayo. Poi dopo una decina di giorni salimmo su un aereo e volammo fino a San Carlos de Bariloche. Il paese era davvero strano, sembrava un luogo alpino, regnava una inaspettata quiete, nessuno sembrava al corrente di quel crimine così lontano nello spazio e nel tempo. Non incontrai Priebke, per fortuna, questa sofferenza mi fu evitata. E lo stesso mi fu risparmiato quando di ritorno a Buenos Aires un famoso giornalista argentino, Grondona, mi propose di affrontare Priebke in uno studio televisivo. Accettai l’invito, però chiesi che fossimo separati. Fu importante anche quella trasmissione perché spiegai a tutti i telespettatori argentini che razza di persona fosse quell’ex ufficiale tedesco e il crimine di cui si era macchiato le mani. Tornammo poi in Italia e poco tempo dopo sapemmo che il mio sforzo non era andato a vuoto. Priebke fu portato in Italia”.
Paolo Brogi
Corriere.it 11.10.13