Affaire Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako espulsa in fretta e furia dall’Italia: nuovi particolari si aggiungono, ecco il quadro che ne ha fatto oggi Il Fatto Quotidiano. Dove si apprende che l’ambasciata kazaka ancora prima che il magistrato (giudice di pqace al Cie) si pronunciasse aveva già affittato l’aereo austriaco con cuitrasferire da Ciampino in Kazakistan la donna espiulsaon la figlia di sei anni. Chi aveva dato assicurazioni ai kazaki dell’espulsione?
Ecco Luca Pisapia su Il Fatto Quotidiano:
Un aereo pronto a decollare prima ancora che l’Italia abbia deliberato l’espulsione, documenti che avrebbero impedito il rimpatrio coatto e che la Questura di Roma decide di ignorare. Inquietanti novità si aggiungono alla vicenda del rimpatrio forzato di Alma Salabayeva e di sua figlia Alua di sei anni, rispettivamente moglie e figlia del dissidente kazako Ablyazov, e che sta provocando guai molto seri nel governo delle larghe intese.
Il 31 maggio scorso, quando i parenti delle donne vedono l’aereo pronto con i motori rombanti sulla pista di Ciampino per portare le due ad Astana , capitale del Kazakistan, è della compagnia austriaca Avcon, chiamano Vienna. Qui la procura austriaca apre immediatamente un’inchiesta da cui si verrà poi a sapere che l’aereo è stato pagato dall’ambasciata kazaka in Italia. E, soprattutto, dalla deposizione del pilota si viene a sapere che questi è stato allertato alle 11 di mattina del 31 maggio, ovvero prima ancora che il Giudice di pace del Cie di Ponte Galeria convalidasse il fermo di Alma, dato che l’udienza, come da verbale, è terminata dopo le 11.20 di quella stessa mattina.
C’è da chiedersi come mai l’ambasciata del Kazakistan fosse certa di un rimpatrio non ancora convalidato, e così celere da preparare l’aereo perché non sopraggiungessero altri intoppi. Ma l’apparire sulla scena della procura austriaca è molto importante anche per altre questioni. Un passo indietro. Quando la notte tra il 29 e il 30 maggio Salabayeva è prelevata dalla sua villa di Casal Palocco da una cinquantina di uomini armati della Digos e della Squadra mobile della Questura di Roma, la donna è immediatamente indagata per possesso di documenti falsi (art. 497 bis del codice penale). Reato per il quale è previsto l’arresto facoltativo in flagranza, e in questi casi è prassi comune procedere con l’arresto. Questa volta la Questura di Roma decide diversamente. In caso di arresto si sarebbe aperto un procedimento penale con tutte le garanzie del caso nei confronti dell’indagato. L’espulsione evidentemente doveva essere immediata.
Un altro passo indietro. Come riportato in anteprima da ilfattoquotidiano.it, la nota dell’ambasciata kazaka che avvisava della presenza di Ablyazov sul suolo italiano è stata inviata solo alla Questura di Roma e non, come prassi, anche ai ministeri competenti. Ora, dagli atti depositati in procura di Roma in possesso degli avvocati risulta che le note dell’Ambasciata inviate alla questura di Roma sono due: la prima del 28 maggio si riferisce alla presenza sul suolo italiano di Ablyazov; la seconda, del 31 maggio, avvisa della presenza della figlia Alua. Eppure, dopo avere visionato gli atti della procura di Vienna, e fatti i dovuti confronti con la controparte italiana, emerge che anche alla procura di Roma c’è una terza nota inviata dall’ambasciata kazaka alla Questura di Roma, datata 30 maggio, in cui si avverte che la signora Alma Salabayeva è in possesso di due passaporti validi rilasciati in Kazakistan (N° 0816235 e N°5347890). Passaporti che evidentemente avrebbero permesso il rimpatrio volontario della signora, che non aveva dichiarato il suo ingresso in Italia, e non coatto.
Come mai questa terza nota dell’ambasciata kazaka, fondamentale per permettere a Salabayeva di non essere rimpatriata in fretta e furia su un jet austriaco prenotato ancora prima che si fosse concluso il processo, non è stata presa in considerazione? Ma c’è di più. Conclusa l’udienza dal Giudice di pace, quello stesso 31 di maggio gli avvocati della donna – come strategia difensiva per prendere tempo – chiedono alla Procura di Roma di interrogarla. Eppure nel giro di un’ora arriva un’informativa della Questura, in particolare dall’Ufficio Immigrazione della Questura di Roma diretto da Maurizio Improta. Dice che, in forza della relazione tecnica della Polizia di Frontiera di Fiumicino (che stabilisce in tempo record che il passaporto di Salabayeva è falso, venendo poi smentita dalla sentenza del 25 giungo Tribunale del Riesame) non c’è bisogno di ulteriori accertamenti e bisogna procedere con il rimpatrio.
Per chiudere il cerchio va sottolineato che è proprio l’Ufficio Immigrazione della Questura di Roma – lo stesso che decide di non richiedere l’arresto – che riceve da destinatario la famosa nota dell’ambasciata kazaka del 30 maggio in cui si avvisava che Alma Salabayeva aveva due passaporti validi kazaki. Cosa che la avrebbe salvata dal rimpatrio coatto immediato, come specifica il decreto di trattenimento fatto nel Cie di Ponte Galeria: dove è scritto che la donna non può lasciare volontariamente l’Italia entro termini stabiliti per legge proprio per la mancanza di documenti validi. Sono molti i passaggi oscuri di questa vicenda, e sul fronte politico piovono richieste di chiarimento al ministro dell’Interno Angelino Alfano, che ha frettolosamente avallato l’operazione come perfettamente regolare. E da cui “dipendono” la Questura di Roma e il suo Ufficio stranieri.
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