Alla fine saranno 1200 gli operai e le operaie morte nel disastro della fabbrica a nove piani del Rana Palace a Dacca, nel Bangladesh. Il Deccan Herald, riferendo l’agenzia cinese Xinhua, riportava tre giorni fa un bilancio di 1126 morti,m di cui 63 da identificare. Sono invece 2438 i salvati dalle macerie del crollo della fabbrica che nei suoi vari piani ospitava “ufficialmente” 3122 operai, ma visto il bilancio attuale probabilmente di più.
E finalmente sulla stampa italiana, silente finora, si ha notizia oggi di un’iniziativa in cui figura anche il marchio Benetton. A dare notizia infatti di un protocollo di sicurezza messo in piedi dalla Benetton e da altre firme internazionali del tessile è stato il portavoce della casa veneta. Benetton dunque, dopo giorni di silenzio, fustigato dalla stampa estera che ne ha messo in risalto il walzer di dichiarazioni, ha deciso di promuovere finalmente un protocollo per la sicurezza dei luoghi di lavori con cui si approvvigiona per il suo commercio di indumenti.
Il protocollo è accettato per quanto si apprende da alcuni grandi firme come la svedese H%M, l’olandese C&A, le britanniche Tesco, Marks&Spencer e l’irlandese Primark, le spagnole Inditex che controlla Zara e l’altra Mango, infine Benetton. In posizione defilata invece Gap e Wal-mart.
Che dire? Un protocollo è un passo avanti, bisognerà vedere se le grandi firme avranno la capacità (e la voglia) di farlo rispettare nei paesi del Terzo Mondo.
L’esperienza varata dall’amministrazione Clinton anni fa si era arenata sostanzialmente al livello di buoni consigli per le multinazionali impegnate all’estero, ma niente di più coercitivo. Solo consigli.
Comunque sisa, si saluta finalmente iul giro di boa di Benetton che – ripeto – ha goduto fin qui di un vergognoso silenzio stampa italiano, mentre invece importanti testate estere (Guardian, Australian, Huffington Post Usa, Le Monde, Associated Press, Agence France Presse ecc) hanno fatto il loro dovere denunciando i legami che Benetton inizialmente smentiva di avere col Rana Palace. Un atteggiamento che in Italia si è riverberato anche su forze politiche e sindacali con rarissime eccezioni a livello media. Insomma una situazione piuttosto vergognosa, considerando che quello del Rana Palace è stata la strage operaia più grande mai avvenuta nel mondo.
Qui di seguito il bilancio dei morti dal Deccan Herald di tre giorni fa:
Dhaka building collapse toll reaches 1,126
Deccan Herald – Dhaka, May 12, 2013, (IANS)
More than two weeks after an eight-storey building collapsed in the Bangladesh capital, the death toll approached 1,200 Sunday, officials said.
Tarekul Alam of the Dhaka district administration’s control room told Xinhua that the confirmed death toll stood at 1,126 at 3 p.m.
The control room was set up near the building site at Savar on the outskirts of Dhaka to coordinate rescue operations.
He said 63 corpses were still at a nearby school ground for identification.
“We are preserving tissue suitable for DNA tests of the unidentified bodies, many of which have also been buried,” he said.
Rescuers say the stench of decaying bodies was still strong in the rubble of the Rana Plaza building that crumbled April 24.
Rescuers have pulled out alive 2,438 people, including a female garment worker named Reshmi, a seamstress buried for 16 days in the debris of the collapsed building.
More bodies are expected to be found in the rubble as cranes and bulldozers were still cutting through the mountain of concrete and mangled steel.
An unnamed official said the recovery operation would likely end Monday as they expect to remove the entire debris from the site. “We’re near the end,” said the official.
An initial government probe blamed vibrations from giant generators combined with the vibrations of sewing machinery for the collapse of the building, allegedly constructed without proper permission with substandard materials.
At least 12 people, including the owner of the collapsed building and owners of the factories which make clothing for major global brands, have been arrested.
Apart from a bank branch and hundreds of shops, six floors of the building housed five garment factories which, according to the data of the owners’ association, employed at least 3,122 workers, mostly women.