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Andreotti e l’accusa di aver fatto uccidere il giornalista di destra Mino Pecorelli

Andreotti è stato anche processato per il coinvolgimento nell’omicidio Pecorelli avvenuto il 20 marzo 1979. Secondo i magistrati investigatori,  Andreotti commissionò l’uccisione del giornalista Mino Pecorelli direttore del giornale Op (“Osservatorio Politico”). Pecorelli – che aveva già pubblicato notizie ostili ad Andreotti, come quella sul mancato incenerimento dei fascicoli SIFAR sotto la sua gestione alla Difesa – aveva predisposto una campagna stampa su finanziamenti illegali del partito della Dc e  riguardo al rapimento e all’uccisione di Aldo Moro avvenuta nel 1978 per mano delle Brigate Rosse.In particolare, il giornalista aveva denunciato connessioni politiche dello scandalo petroli con una copertina intitolata “Gli assegni del Presidente” e l’immagine di Andreotti, ma accettò di fermare la pubblicazione del giornale già nella rotativa.

Il pentito Tommaso Buscetta testimoniò che Gaetano Badalamenti gli aveva raccontato che «…l’omicidio fu commissionato dai cugini Salvo per conto di Giulio Andreotti», il quale avrebbe avuto paura che Pecorelli pubblicasse informazioni che avrebbero potuto distruggere la sua carriera politica.

Ma che cosa avevano raccontato i due pentiti della banda della Magliana, Antonimo Mancini e Fabiola Moretti? Entrambi i collaboratori di giustizia avevano  dichiarato che l’ eliminazione di Pecorelli era stata un  favore nei confronti di Andreotti, su sollecitazione di Vitalone. Fabiola Moretti, in particolare, affermò di aver visto l’ ex senatore in almeno tre occasioni. E a sostegno delle sue dichiarazioni riporta date e luoghi degli incontri.

Il primo a parlare di Andreotti era stato però Tommaso Buscetta: Mino Pecorelli sapeva molte cose del sequestro e dell’ omicidio di Aldo Moro. E conosceva parecchi segreti dello scandalo Italcasse. Per questo motivo sarebbe stato chiesto alla mafia il “favore” di uccidere quel giornalista scomodo che tante grane avrebbe potuto provocare a Giulio Andreotti con gli articoli pubblicati sul suo settimanale “Op”. Chi si sarebbe dato da fare per far intervenire le cosche? L’ allora sostituto procuratore della Repubblica Claudio Vitalone. E questo l’ assunto della Procura di Perugia che, al termine dell’ inchiesta, chiese il rinvio a giudizio con l’ accusa di concorso nell’ omicidio per Andreotti, Vitalone, i boss della mafia Pippo Calo’ e Gaetano Badalamenti, il killer Michelangelo La Barbera e l’ ex terrorista dei Nar Massimo Carminati. Il provvedimento fu firmato firmato dal pm Fausto Cardella.

Poi ci fu l’altalena del giudizio) Assoluzione, condanna, assoluzione. In primo grado nel 1999 la Corte di assise di Perugia prosciolse Andreotti, il suo braccio destro Claudio Vitalone (già ministro del Commercio con l’estero), Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calò e il presunto killer Massimo Carminati (già nei Nar e poi nella Banda della Magliana).

Successivamente, il 17 novembre 2002 la Corete Di Assise d’Appello ribaltò la sentenza di primo grado e Badalamenti ed Andreotti furono entrambi condannati a 24 anni di carcere come mandanti dell’omicidio Pecorelli.

Il 30 ottobre 2003 la sentenza d’appello venne quindi annullata senza rinvio dalla Corte di Cassazione, annullamento che rese definitiva la sentenza di assoluzione di primo grado. I nove giuidici delle Sezioni Unite, presidente Nicola Marvulli, chiusero così la vicenda ultradecennale.

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