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Salvare Li Yan

Ricevo da Amnesty International l’appello per salvare la vita a Li Yan. Ha ucciso il marito che gliene aveva fatte di tutti i colori, non risparmiando violenze. Ora la Cina vuole ucciderla. Salviamo la vita di Li Yan, ecco l’appello:

La vita di Li Yan, una giovane donna cinese, è in pericolo.

Ripetutamente picchiata da un marito violento, torturata con bruciature di sigarette sul volto, un dito tagliato, interminabili ore nuda al gelo sul balcone in segno di punizione, Li Yan ha detto basta.

Nel dicembre del 2010 ha ucciso suo marito colpendolo alla testa con una pistola.

Per questo è stata condannata a morte.

Amnesty International si oppone incondizionatamente alla pena di morte e pertanto chiede al governo cinese di non eseguire la condanna di Li Yan.

Sostieni anche tu la campagna di Amnesty International contro la pena di morte, dona ora 50, 80 o 100 euro e aiutaci a salvare la vita di Li Yan.

Il fratello di Li Yan ha raccontato ad Amnesty International la storia della donna. Ti riportiamo alcuni estratti della sua testimonianza.

“Nostra madre era un’ insegnante e nostro padre un operaio. Siamo cresciuti in un piccolo villaggio. Quando mia sorella ha compiuto 16 anni ha iniziato a lavorare in una fabbrica. Era una persona intelligente e molto pratica, sognava una vita familiare stabile.

Nonostante io sia più giovane di lei di 8 anni, il nostro rapporto è sempre stato molto forte.

Da bambini abbiamo conosciuto la violenza domestica. Mio padre era molto severo con noi ed era violento verso nostra madre. Ricordo che una volta l’ha picchiata. Non è stato un colpo duro, ma ricordo ancora le sua grida.

Il primo matrimonio di mia sorella  (aveva 14 o 15 anni) è finito dopo che suo marito, più giovane di lei, si è licenziato, nel 1990. Ha iniziato a bere, era depresso e costantemente arrabbiato. Il secondo marito era di cinque anni più grande. Lavorava anche lui in fabbrica.
Ha insistito così tanto che alla fine lei ha detto di sì, nonostante avesse la reputazione di essere un uomo violento.

Tutta la famiglia era contraria al matrimonio, ma si sono sposati dopo pochi mesi.

Quando ho lasciato il villaggio, mi sono trasferito in un’altra città per lavoro. Nonostante vivessimo in città diverse ci sentivamo un paio di volte al mese, ma dopo il matrimonio le telefonate si erano diradate tanto che non la sentivo da due mesi prima di quella notte fatidica.

Una volta le ho chiesto perché avesse delle bruciature di sigaretta sul viso. Ha risposto che erano schizzi di olio. Le ho chiesto perché i segni erano solo sul viso e non sul braccio, ma lei sembrava avere qualcosa che non poteva rivelare. Sapevo che non era felice, ma non sapevo che stesse così male.

Il 2 agosto 2010 è stata picchiata brutalmente. Si è rivolta alle forze dell’ordine per chiedere aiuto. Le hanno consigliato di andare in ospedale. Ha riportato ferite al petto e alla gamba sinistra. Il 10 agosto è stata picchiata di nuovo. É andata alla polizia, ma la polizia non è intervenuta perché pensava che si trattasse di un ‘affare privato’.

In Cina le leggi per arginare la violenza contro le donne sono inadeguate e raramente vengono applicate correttamente. Nel caso di mia sorella molte persone non vogliono sostenere il suo caso per paura di inimicarsi la famiglia del marito. Gli amici e i vicini di casa che si sono fatti avanti sono stati accusati di falsa testimonianza e la loro testimonianza non è stata accettata dal tribunale.

Sono molto grato a tutte le persone che in tutto il mondo stanno implorando clemenza e lottando per la giustizia per conto di mia sorella. Grazie.”

Sostieni le campagne di Amnesty International con una donazione e difendi anche tu i diritti umani! Dona ora 50, 80 o 100 euro.
Grazie!

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