Riprendo da corriere.immigrazione questo resoconto sulla manifestazione degli immigrati sabato a Bologna. Ecco.
In primo piano
Italiani, dove siete?
Grande manifestazione a Bologna, organizzata di migranti. Contro la crisi. Per i diritti di tutti e tutte. Ma i media l’hanno snobbata e gli italiani non si sono visti.
Il corteo, partito da Piazza XX Settembre, è rapidamente cresciuto durante il percorso. Alle 17.00 Corso Indipendenza era interamente occupato, davanti i lavoratori della “logistica” che ultimamente stanno pagando in maniera più cara forme di rinnovo dei contratti al ribasso. E poi i tanti e le tante dei differenti comparti uniti non solo da un generico “No al razzismo” ma da un materiale e visibile rifiuto dello sfruttamento. Il coordinamento migranti di Bologna può affermare legittimamente che il capoluogo emiliano ha ben risposto e che anche le delegazioni provenienti da altre città hanno provveduto a realizzare un corteo di cui si sentiva francamente il bisogno. “No al razzismo istituzionale” era scritto sullo striscione di apertura ed a spiegare il senso di tale frase sono stati i protagonisti della mobilitazione. Istituzionale perché si esercita attraverso un sistema legislativo fondato sul legame capestro fra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, un sistema che di fatto depriva la vita di ogni lavoratore o lavoratrice della propria libertà, la rende subalterna ad un padrone e, in fin dei conti ad un profitto. Una piazza giovane – e questo è importante – composta da una generazione che vede cadere sulle proprie spalle la condizione di essere contemporaneamente, migranti, precari e colpiti dalla crisi.
Una piazza giovane che ha tradotto almeno sabato a Bologna il proprio disagio in carica collettiva, capacità di comunicare la propria legittima aspirazione ad un futuro migliore, gli slogan che echeggiavano, in italiano come in tante altre lingue erano la fotografia essenziale e spesso rimossa di quella che è realmente la società italiana oggi, composita e plurale nella provenienza e nei percorsi culturali, divisa in due nella sostanza: ci sono gli sfruttati e gli sfruttatori. La cifra esatta di questo corteo e delle tante fasi che ne hanno preceduto la preparazione, è quella della consapevolezza, della necessità di fare, anche nelle ragioni delle mobilitazioni un salto in avanti. Ovviamente si ripetevano gli slogan per la chiusura dei Cie – a Bologna, il centro di Via Mattei è fra quelli più famigerati- per l’abrogazione della Bossi Fini e per il diritto di cittadinanza, elementi cardine per riportare il discorso pubblico sull’immigrazione su una base di partenza sostenibile, ma nel corteo c’era anche altro.
C’era anche una lezione, raccolta in questo caso solo da alcuni sindacati di base, dal movimento No Tav, da alcuni centri sociali e da poche forze politiche come Rifondazione e Progetto Comunista, di come sia a partire dal posto di lavoro che si possono intersecare percorsi. Sembra una storia del secolo passato perché si è bombardati dall’idea che il lavoro non sia più luogo di creazione di aspettative collettive. Ci si ritrova invece in pieno ventunesimo secolo nel vedere come, chi vuole può provare a rialzare la testa e a non rinchiudersi in progetti individuali e solitari. «Ieri – racconta una esponente del Coordinamento – la polizia ha caricato i lavoratori in sciopero della Coop. Adriatica, una cooperativa, non Marchionne, che ha utilizzato la polizia come strumento repressivo perché i lavoratori si rifiutavano di scaricare i prodotti freschi appena arrivati. Oggi questi stessi lavoratori sono in piazza».
Mourad è uno che ha partecipato allo sciopero e che ha fatto i picchetti: «I lavoratori erano con noi e in tanti sono in piazza oggi – dice trionfante – Dove ci sono state le cariche è accaduto che un camion con la merce ha tentato di forzare il picchetto e ha rischiato di travolgere chi bloccava l’ingresso. Credo che i lavoratori, che hanno preso la targa, denunceranno i proprietari del camion. Ma oggi è un giorno importante perché con la piazza abbiamo lanciato un segnale a questo Stato ed è ora che ci ascolti. Il nostro messaggio è semplice: basta razzismo e basta sfruttamento». Una piazza di avanguardia in un contesto che certamente non può essere assunto a nuovo paradigma ma che dovrebbe far riflettere. Pioveva a dirotto a Bologna. Il celo era cupo sin da quando i primi manifestanti si sono concentrati in piazza, poi l’acqua ha cominciato a scendere forte, fredda e fitta. Ma intanto il corteo cresceva e lungi dal disperdersi dalle vie laterali arrivavano altri ed altre ad aggiungersi, con una determinazione caparbia mista ad un orgoglio e a una dignità che sanno insieme di antico e di moderno.
La letteratura li definisce “nuovi soggetti sociali” eppure si tratta di volti e di storie che sono a portata di mano tutti i giorni ma a cui non si è mai dato sufficientemente credito. Uomini e donne che non vogliono più soltanto sopravvivere ma vivere, che pretendono, citando cinematografia e letteratura passata, non solo “il pane” ma anche “le rose”, che non accetteranno più la scala gerarchica in cui si sentono rinchiusi. Milena, studente lavoratrice già intervistata da Corriere immigrazione è contenta: «Siamo in tanti e anche se piove è una giornata bellissima. Nel corteo si balla, si canta ma si grida anche “sfruttatori e assassini” – racconta- È incredibile ritrovare con noi i lavoratori reduci da 24 ore di picchetto davanti alle proprie aziende, quelli arrivati da Brescia e da altre città, siamo in migliaia, molti da tutta l’Emilia Romagna e finalmente abbiamo dato un segnale. Noi ci siamo. Oggi c’erano anche altre manifestazioni importanti in Italia come quella dei No Tav ma erano mobilitazioni che parlavano la stessa lingua. E questo è solo l’inizio». Ma c’è anche un aspetto della manifestazione che impone di discutere e riflettere, per poi agire. Lo spunto lo offre Laura Veronesi, segretaria di Bologna del Prc: «A parte alcuni centri sociali come “Crash” e “TPO”, alcuni esponenti dei sindacati di base e di forze politiche come la nostra – riflette – sono troppo pochi i bolognesi che hanno risposto a questo appello. Dove sono?». Già dove sono gli italiani? Viene da domandarsi. Le ragioni della mobilitazione non riguardano, come già detto, solo il razzismo di un impianto legislativo ma il peggioramento delle condizioni di vita nei luoghi di lavoro, l’aumento dei licenziamenti, la crescita di una disoccupazione che potrebbe unire chi nelle aziende opera fianco a fianco.
Le ragazze e i ragazzi nati o cresciuti in Italia ma con famiglie provenienti da altri paesi, nonostante la specificità di una maggiore vulnerabilità, vivono le stesse condizioni di precarietà sociale e di assenza di futuro dei coetanei con cittadinanza italiana. Ma ci sono ragioni, ancora da esplorare, per cui chi è apparentemente più vulnerabile reagisce con maggiore consapevolezza, chi gode ancora – sempre apparentemente – di maggiori diritti, se ne sta a casa. Le forze più istituzionali, i sindacati confederali, sembrano non conoscere la portata di tale irruzione sulla scena politica e sociale e finiscono con l’essere dimenticati, considerati lontani se non apertamente contestati. E intanto il corteo irrompe davanti ai palazzi “potenti” di questura e prefettura, diventa incontenibile, carico fermo eppure gioioso, tante le donne a dimostrazione di come anche da questo punto di vista possano emergere nuovi e necessari protagonismi. Poi si torna indietro, nella “Piazza del Nettuno”, dove dopo gli interventi seguirà un concerto. Il gruppo “On the move” presenterà il proprio ultimo album, e poi si alterneranno sul palco gruppi compositi, meticci a suonare e a cantare insieme perché il futuro che si prepara – malgrado il buio ancora imperante e nonostante ritardi, incapacità, volontà di preservare una mentalità coloniale – il futuro sarà di questi ragazzi e di queste ragazze.
Stefano Galieni