Gesto di disperazione all’aeroporto «Leonardo da Vinci» di Fiumicino. Un ragazzo di 19 anni della Costa D’Avorio, con in tasca un decreto d’espulsione, si è dato fuoco al Terminal 3. Un atto estremo che il giovane ha messo silenziosamente: nessuna rivendicazione, nessun atto di accusa urlato. Solo una piccola tanica di benzina e un accendino acceso lì davanti a tutti, nella zona partenze e nei pressi del passaggio di servizio. È stato l’intervento immediato di un agente della Polaria – che ha spento le fiamme ed è rimasto a sua volta ferito a un braccio -a risparmiare la vita all’uomo che ha riportato gravi ustioni ed è ricoverato in codice rosso al centro grandi ustionati del l’ospedali Sant’Eugenio: le sue condizioni sono gravi ma non è in pericolo di vita.
A quanto pare il ragazzo era sbarcato a Fiumicino due giorni fa chiedendo asilo politico. La la Polaria ha girato la richiesta alla Questura di Roma ufficio immigrazione che, dopo le verifiche del caso sulle sue dichiarazioni, ha negato la richiesta. Il rifiuto sarebbe quindi alla base del gesto disperato.
Così la notizia da corriere.it. Asilo politico. Questo ragazzo della Costa d’Avorio non lo fanno neanche arrivare di fronte alla commissione chge vaglia le richieste. La Questura decide. Ecco la Bossi Fini, nel suo aspetto più selvaggio.
Ma decide cosa la Questura? Che la Costa d’Avorio non è un paese in guerra? Ecco in rapida sintresi alcuni spunti per i burocrati che respingono le richieste di asilo.
Da Radio Vaticana (22.1.2013)
Costa d’Avorio: i vescovi esortano al perdono e alla riconciliazione nazionale
Aprire il cuore “allo Spirito dell’amore, dell’unità, della verità, del perdono e della pace di Dio”: questa la via maestra per la riconciliazione e per ricostruire il tessuto sociale ivoriano indebolito da anni di violenze politiche. E’ quanto affermano i vescovi della Costa d’Avorio nel messaggio pubblicato domenica, al termine della loro 95.ma assemblea plenaria a Korhogo. Un appello rivolto ai leader politici e religiosi, ma anche alla società civile ivoriana, impegnata in un delicato processo di pacificazione dopo la grave crisi in cui era ripiombato il Paese in seguito alla sconfitta elettorale di Laurent Gbagbo e alla vittoria dell’attuale presidente Alassane Ouattara nell’ottobre 2010. Per raggiungere la riconciliazione nazionale – scrivono i presuli ivoriani – occorre “scegliere la verità e agire nella verità”. Essa passa attraverso la costruzione di uno Stato di diritto; il rifiuto di qualsiasi violenza; il coinvolgimento di tutti e la soluzione definitiva della questione agraria. La costruzione di uno Stato di diritto – sottolinea in particolare il messaggio – non può prescindere dalla “promozione nella società ivoriana di una politica che abbia realmente come visione il bene comune e l’unità nazionale”. Questo significa fiducia reciproca; apertura al dialogo; non considerare l’avversario come “un nemico da abbattere, ma piuttosto come un partner” e il riconoscimento delle proprie responsabilità da parte dei leader politici. Di qui l’appello a porre fine alle perquisizioni violente e illegali e agli arresti arbitrari; la condanna degli attacchi armati, ma anche della diffusione notizie false. Ai militanti dei partiti i vescovi chiedono di “rifiutare la divisione ideologica o geopolitica del Paese” che è uno e “indivisibile”. Uno stato di diritto – aggiungono – è chiamato a garantire i diritti e la sicurezza di tutti i cittadini che devono a loro volta sostenere lo Stato. Quindi il richiamo al senso di responsabilità rivolto agli intellettuali, ai leader religiosi e tribali invitati a non schierarsi. Dopo avere stigmatizzato la violenza come mezzo per affermare i propri diritti e raggiungere il potere, il messaggio evidenzia poi l’importanza di coinvolgere tutti nella riconciliazione. Citando Benedetto XVI nell’“Africae munus”, i presuli ricordano che tale processo ha come obiettivo principale di riunire tutti gli ivoriani “armonizzando le differenze”. Questa comunione significa accettare tali differenze e il contraddittorio sui media, chiamati a loro volta a contribuire alla lotta contro qualsiasi “esclusione o promozione arbitraria basata sull’appartenenza”. Il messaggio si sofferma infine sulla questione agraria che ha contribuito ad alimentare la conflittualità sociale nel Paese. I vescovi esprimono in proposito apprezzamento per l’impegno del Governo per una soluzione definitiva al problema che possa favorire un clima di pace durevole. In conclusione, l’appello a tutti gli ivoriani a “investire positivamente nel presente per garantire il futuro del Paese. Il destino della nostra nazione – affermano – è nelle nostre mani”. (A cura di Lisa Zengarini)
Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/01/22/costa_d’avorio:_i_vescovi_esortano_al_perdono_e_alla_riconciliazione_n/it1-657793
del sito Radio Vaticana
Da Wikipedia:
La popolazione continua a soffrire a causa del continuo stato di guerra civile. Le organizzazioni internazionali per i Diritti Umani hanno segnalato problemi relativi al trattamento dei civili prigionieri da parte di entrambi gli schieramenti e la ricomparsa del fenomeno dei bambini ridotti in schiavitù e impiegati come lavoratori nella produzione del cacao.
Da Lonely Placet:
La Costa d’Avorio è sull’orlo del baratro di una nuova guerra civile. Gli osservatori ritengono che solo un intervento deciso della Comunità internazionale possa impedire il degenerare della situazione. Eppure, questo paese è stato per lungo tempo modello di stabilità politica e di relativo sviluppo economico nel continente africano. Nonostante il flusso favorevole delle esportazioni, la Costa d’Avorio è ora fortemente indebitata, a causa della cattiva gestione dello stato e dell’improvviso crollo dei prezzi: i continui attriti interni non migliorano certo le cose.
Da Internazionale:
Ad Abidjan, in Costa d’Avorio, vengono esumati dalle fosse comuni i corpi delle vittime delle violenze scoppiate tra il 2010 e il 2011. (Sia Kambou, Afp)
Secondo Human Rights Watch, dall’arrivo al potere di Alassane Ouattara sono stati uccisi almeno 150 sostenitori dell’ex presidente Laurent Gbagbo, i cui uomini sono responsabili a loro volta dell’uccisione di 220 persone.
Côte d’Ivoire : plus de 350 morts depuis le début d’avril, selon Human Rights Watch