Informazioni che faticano a trovare spazio

Costretto a chiudere a Torino il centro di psicoterapia per immigrati Frantz Fanon

Da oltre dieci anni offre servizi di counseling, psicoterapia e supporto psicosociale per immigrati, rifugiati e vittime di tortura, in convenzione con la Asl-1. All’improvviso e insensatamente è stato chiuso. Che fine faranno i 250 pazienti in carico?

Dal 15 gennaio il Centro Franz Fanon è senza casa. I locali della Asl -1, che lo ospitava, si devono spostare ma per gli altri servizi della stessa sede (Centro diurno e Gruppo residenze del Dsm, il dipartimento salute mentale) sono state trovate, pur a fatica, delle soluzioni. Per il Fanon chissenefrega. In un comunicato si ricorda che «alle ripetute richieste di poter continuare a svolgere il nostro lavoro presso altri locali, alle sollecitazioni inoltrate dal direttore del Dsm, ai dirigenti aziendali, nessuna risposta è pervenuta» a ridosso dell’obbligo di abbandonare i locali. Anzi no, una comunicazione è arrivata in puro burocratese: «Dottoressa, le rammento che la disdetta del contratto di via Vassalli Eandi 18 è già operativa pertanto l’immobile dovrà essere completamente libero dal 15 gennaio 2013 per procedere alla consegna. Cordialmente».

Passando dall’ipocrita «cordialmente» alla ben poco cordiale realtà, il Fanon spiega cosa sta accadendo in queste ore: «250 pazienti (adulti, minori, nuclei familiari seguiti nel 2012 e al momento in carico presso il Centro Fanon), molti dei quali affetti da gravi patologie, non potranno più essere seguiti dal nostro gruppo di lavoro, la cui esperienza, prima e unica in Italia, è stata oggetto in questi anni di apprezzamenti e riconoscimenti nazionali e internazionali. Lo ricordiamo senza alcuna presunzione, solo per dire dell’indifferenza e della miopia delle istituzioni al cospetto delle risorse esistenti e dei bisogni di cura dei cittadini stranieri: un’altra espressione della violenza delle istituzioni e dei loro dispositivi burocratici». Poco burocratese e molta chiarezza.

Non si arrende il Fanon e si organizza chiedendo aiuto anche alle molte persone (italiane e non) che ritengono indispensabile questo tipo di servizio pubblico; se volete saperne di più potete rivolgervi adassociazione.fanon@infinito.it o al telefono  011 70954214.
Giornalisticamente sarebbe stato giusto, efficace raccontare (pur nel rispetto della privacy) alcune fra le tante storie che al Fanon si affrontano quotidianamente: questa settimana non è stato possibile per ovvi motivi (il “cordiale” sfratto), ma Corriere Immigrazione si impegna a tornarci su. E’ però interessante vedere, come già sul sito del Fanon, la vicenda viene inquadrata in un contesto più generale del quale sono vittime gli stranieri come gli italiani doc.

Le ragioni tutte politiche di un taglio spacciato per tecnico. «Tutto, ancora una volta, sembra essere fatto in nome del nuovo dogma politico-economico di cui un capitalismo perverso e criminale non smette di invocare l’esigenza: ridurre i costi della spesa pubblica. In un vortice che si abbatte indifferentemente e ciecamente su rami secchi (molti dei quali, per altro, continueranno a riprodursi grazie a privilegi intoccabili) e centri d’eccellenza, a pagare il prezzo più alto saranno ancora una volta i più vulnerabili: coloro che meno di altri hanno accesso alle risorse pubbliche, coloro la cui sofferenza rimane spesso invisibile. È il momento, tuttavia, di dire (di ripetere) qualcosa intorno alla logica di questi tagli, una logica che non è mai oggettiva né, come ipocritamente si sostiene, efficace nel ridurre sprechi e distorsioni. Il costo dell’attuale convenzione fra Asl-1 e l’associazione Frantz Fanon è, per anno, meno di 65.000 euro. Il gruppo di lavoro è composto di circa 15 operatori (psicoterapeuti, medici, psichiatri, psicologi, mediatori culturali, educatori). Si tratta di un costo irrisorio se si considera il lavoro realizzato dal Centro Frantz Fanon: nel corso di questi anni abbiamo potuto seguire oltre 1600 pazienti anche perché buona parte del lavoro svolto è stato realizzato in modo volontario o ricorrendo ad altre sorgenti di finanziamento. Si tratta di un costo, quello del Centro Fanon, irrilevante in particolare se lo si confronta con altre tipologie di spesa: quella, a esempio, relativa ai costi per il ricovero annuo di un solo paziente (!) presso una comunità psichiatrica, e irrilevante se misurato con quello di altre spese di un’Azienda sanitaria. È tuttavia evidente che questi dati non bastano a sostenere la nostra esperienza né l’urgenza di un intervento specialistico rivolto a vittime di tortura, rifugiati, richiedenti asilo, a coloro che non troverebbero in altri servizi dell’Asl analoghe risorse terapeutiche. Non ne siamo affatto sorpresi, tutt’altro, e ciò per almeno due motivi: il primo inesorabilmente contingente e miserabile, il secondo più complesso. Il primo: non c’è da stupirsi che un’azienda sanitaria operante in una Regione il cui governatore appartiene a un partito come la Lega Nord sia del tutto indifferente ai problemi posti dalla sofferenza della popolazione immigrata. Garantire un lavoro clinico complesso all’altezza della loro domanda di cura non è certo una preoccupazione per un gruppo politico che ha offeso ripetutamente la condizione degli immigrati, approvando nel precedente governo una legge che infrange i più elementari diritti umani (l’istituzione dei Cie), giungendo a privare per un periodo che può durare sino a 18 mesi della propria libertà donne e uomini che hanno commesso la sola colpa di sognare un destino migliore o che, più drammaticamente, hanno voluto sottrarsi alla morte e alla violenza. Coloro che sono interessati a riprodurre il proprio potere nei meandri di un potere cieco e indifferente ai bisogni reali, coloro che rappresentano l’Altro solo nei termini di un disprezzo sistematico se non razzista, non possono essere certo interlocutori di un simile progetto.
Ma c’è un altro motivo, si è detto, che rende tutto sommato prevedibile il silenzio della Asl. Ogni qualvolta si chiede conto delle loro scelte, si risponde sempre che queste sono motivate, oggettive, “nell’interesse di…”. Tuttavia l’oggettività, scriveva Fanon ne I dannati della terra, invocata dai giornalisti occidentali quando chiamati a dar conto dei loro giudizi sui comportamenti dei colonizzati, si rovescia sempre implacabilmente e inesorabilmente contro questi ultimi. Possiamo oggi riprendere questo stesso argomento, avendo solo cura di scrivere: contro i dominati, gli immigrati, i marginali. Una classe politica ubriaca del suo potere, sostenuta da un ceto di burocrati pronto a offrire servile il suo armamentario di leggi, circolari e commi, prolifica all’ombra di un’oggettività che finisce per colpire, ormai lo sappiamo, sempre e solo i più deboli. “L’uomo parla troppo. Occorre insegnargli a riflettere. E per questo occorre fargli paura. Molta paura. Per questo io ho parole-archi, parole-proiettili, parole-coltello”: così scriveva Fanon in una celebre lettera indirizzata al fratello, testimone delle sue esperienze e dell’ipocrisia e delle contraddizioni che andava scoprendo nell’Europa dei diritti… Da Fanon abbiamo tratto una lezione di impegno e di coerenza, di coraggio e di indocilità, che non sarà certo messa in discussione dall’indifferenza delle istituzioni né dal razzismo che le abita, spesso mascherato dalla retorica della sicurezza o da quella della razionalità economica. L’obbedienza non è più una virtù: è questo un altro principio che ha guidato sempre la nostra pratica, sussurrato con forza da don Milani anni addietro quando un altro razzismo si abbatteva contro altri “stranieri”, un principio che continua a indicare un percorso che alcuni di noi testardamente continueranno a seguire nel tentativo di realizzare un lavoro rigoroso, al servizio di chi soffre, quale che sia la sua condizione, la sua appartenenza, il suo statuto giuridico. Senza differenze di sorta».
Più chiaro di così…

Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti Aggiunge l’appello del Fanon che «per fare tutto questo abbiamo urgentemente bisogno del vostro sostegno. Sì: questa volta si tratta anche di un sostegno materiale, utilizzando le modalità che riterrete più opportune. Vogliamo continuare altrove, già a partire dal mese di gennaio 2013, la nostra esperienza. Vogliamo mantenere il Centro Frantz Fanon aperto. I soci dell’Associazione hanno deciso all’unanimità, nell’assemblea del 17 dicembre 2012, di contribuire a questo progetto donando parte del loro contributo annuo per le attività svolte. Ma questo non sarà sufficiente, nel primo anno, per pagare l’affitto di una sede che possa disporre di un numero minimo di locali e, facilmente accessibile, costituire uno spazio dignitoso per l’accoglienza e la cura degli immigrati. Stiamo già presentando progetti che prevedano il contributo per l’affitto della sede, ma le risposte – se positive – saranno utilizzabili solo a partire dai prossimi anni. E a noi servono risorse ora. Per questo, per tutto questo, chiediamo ai numerosi amici e compagni di viaggio che – in Italia e altrove – hanno seguito con interesse la nostra esperienza, chiesto suggerimenti per riprodurla in altri contesti, condiviso con noi riflessioni, iniziative e pratiche innovative, di aiutarci perché il lavoro del Centro Frantz Fanon possa proseguire il proprio cammino come sempre: senza compromessi. Non siamo mai stati bravi per quanto riguarda la “ricerca fondi”. Non saremo bravi neanche questa volta nel predisporre strategie di marketing e sponsorizzazioni. Abbiamo pensato a due formule di donazione: ‘amici’ (10 euro) e ‘sostenitori’ (50 euro), ma qualunque altra formula sarà ben accolta! La donazione può essere fatta sul conto corrente bancario intestato all’Associazione Frantz Fanon: UNICREDIT, Via Principi d’Acaja 55F, 10138 Torino – IBAN: IT 23 L0 200801118000003061841. Sul sito www.associazionefanon.org vi terremo costantemente informati sugli sviluppi per l’individuazione della sede e la sua apertura. Grazie sin d’ora».
Così il documento del 20 dicembre firmato da Roberto Beneduce, responsabile del Centro Frantz Fanon, e da tutte le socie e tutti i soci dell’associazione.
Se anche il giornalista può togliersi la divisa della falsa oggettività e dichiararsi dunque anti-razzista (non esiste in questo campo una via di mezzo o una neutralità) la conclusione può essere doppia: l’adesione della nostra testata a questo appello e l’invito a chi legge ad aderire ma anche a invitare in altre città qualcuna/o del Famon per raccontare l’altra faccia della Luna cioè il meraviglioso, importante lavoro svolto in questi anni. Conoscere da vicino il quotidiano impegno del Fanon non gioverà solo agli “specialisti” perché chiunque lavora a lenire le sofferenze delle persone si sta impegnando per l’umanità intera.

Daniele Barbieri

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