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Un riscatto per la Firenze distratta, eleggere un senegalese in Parlamento. Come Pape Diaw proposto da Sel

Pape Diaw è uno dei candidati decisi da Sel per il prossimo parlamento. Si è saputo oggi. Con Laura Boldrini dell’alto commissariato Onu per i rifugiati, altra candidata, Pape Diaw – portavoce dei senegalesi di Firenze  – rappresenta quel nuovo paese che cresce con gli immigrati. L’altro giorno il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini ricordava che ella sua isola gli italiani non nascono più ( le donne incinte vanno in Sicilia a partorire), nascono solo i figli delle immigrate. Bene, Pape Diaw rappresenta qualcosa di più, i senegalesi attaccati dalla ferocia xenofoba di quel fascista che un anno fa a sparato nel mucchio a Firenze. Una città che non sempre ricorda questo fatto, come ha scritto poco tempo fa la scrittrice somala Igiasba Scego con questa corrispondenza da Firenze uscita su “Pubblico”. Ecco, nello scritto di Igiaba c’è Mustapha Dieng spezzato da quelle pallottole e ridotto in un letto di Careggi, c’è la mancata cittadinanza che ancora non è stata data ai senegalesi feriti a Firenze, c’è Pape Diaw che parla…Riuscirà la Firenze democratica ad eleggere quesrto uomo venuto dal Senegal?

«Lo Stato italiano ci sta dimenticando»

di Igiaba Scego

Pubblico 19 ottobre 2012

Cristo abita a Firenze e si chiama Moustapha Dieng. La sua croce un letto di ospedale dell’unità spinale del Cto di Careggi. Moustapha è uno dei tre sopravvissuti, insieme a Sougou Mor e Mbenghe Cheike, della strage avvenuta nel capoluogo toscano il 13 dicembre 2011. Quel giorno la vita di Moustapha cambia per sempre. La furia omicida di Gianluca Casseri, uomo di estrema destra e simpatizzante di CasaPound, si abbatte su di lui e su altri quattro senegalesi rei per il killer di essere africani. Samb Modou, 40 anni, e Diop Mor, 54, muoiono sul colpo. Moustapha invece si salva. Però la sua salvezza ha un sapore amaro.

Oggi a nove mesi da quella strage non può camminare, non può nemmeno alzarsi. La pallottola ha lesionato il midollo spinale in modo irreversibile. Non c’è bisogno di essere un dottore per capire che il futuro di questo ragazzo, un tempo pieno di vita, è di fatto compromesso. «Da poco – spiega Pape Diaw della comunità senegalese –riesce a ingoiare un po’ di cibo. Prima era nutrito con una sonda». Moustapha ha un fratello che vive a Cascina e che tutte le volte che può lo viene a trovare. «Ma avrebbe bisogno di una presenza fissa», spiega Pape. «Sua madre e l’altro fratello vorrebbero tanto riabbracciarlo e dedicarsi a lui anima e corpo. Ma se non si da il via al ricongiungimento familiare questo non sarà possibile».

La comunità senegalese e molte associazioni fiorentine si danno il turno per non lasciare mai Moustapha da solo. «Sono andato tre giorni fa a trovarlo – spiega Diaw –Non faccio nulla di particolare. Mi siedo accanto a lui. Lo guardo, lui mi guarda. Non parliamo perché ha una voce molto flebile. Però stiamo insieme».

Moustapha le sue poche parole le pronuncia nella lingua madre, il wolof. Per sentirlo meglio gli amici hanno comprato un cellulare e lo hanno dotato di amplificatore. Grazie a quel cellulare riesce a dire qualcosa. Non sono mai conversazioni lunghe. A volte sono solo due o tre parole. Però gli amici sono contenti di poter vedere che Moustapha continui a lottare.

Anche Sougou Mor e Mbenghe Cheike, gli altri sopravvissuti, lottano ancora. Sougou Mor ha il braccio destro che non risponde più agli stimoli. La pallottola gli ha lesionato l’osso e paralizzato l’arto. La testa invece è ancora piena dell’orrore di quel giorno maledetto. «Quando vedo un uomo bianco ho paura», dice Mbenghe.«All’ospedale c’erano tante persone che venivano a trovarci, abbracciarci. Forse erano più gli italiani dei senegalesi. Io ero contento di quella di- mostrazione di affetto, ma quando vedevo il loro colore di pelle un po’ tremavo, era più forte di me». Ora però dopo nove mesi si sono abituati alla città, ai fiorentini. «Quando uno sguardo un po’ torvo incrocia il mio – ci spiega Sougou – non mi sento tranquillo. Vorrei scappare via».

I ragazzi hanno deciso di rimanere a Firenze. Di non far vincere il terrore.L’Italia purtroppo non è stata altrettanto coraggiosa. «Io e tutta la comunità – dice accorato Pape Diaw – dopo la strage ci saremmo aspettati un inasprimento delle pene per reati di razzismo e, perché no, un dibattito nazionale. Invece il vuoto». Prende una pausa Pape Diaw, ingoia un po’ di rabbia che gli sale su per la gola e continua a spiegare. «L’aiuto però, questo è da dire, è venuto dalle istituzioni locali. Comune di Firenze e Regione Toscana sono sta- te presenti fin dall’inizio. Solo che ora qualcosa si è inceppato. I soldi promessi dalla regione non sono ancora arrivati e la cittadinanza italiana proposta ai ragazzi è caduta nel dimenticatoio. Siamo consci che è un periodo di crisi e di lentezze burocratiche. Sappiamo che il comu- ne e la regione non ci abbandoneranno. Abbiamo piena fiducia nel loro operato. Ma dico fate presto, ditelo al governo nazionale: questi ra- gazzi da soli non ce la possono fare».

Purtroppo l’appello della regione Toscana, alla Presidenza della Repubblica per la questione cittadinanza non ha ancora trovato un reale sbocco. «Stiamo studiando un modo per rendere i permessi di soggiorno illimitati», fanno sapere dall’ufficio del gabinetto della presidenza della Regione. Invece per quanto riguarda il risarcimento in denaro, «questo riguarderebbe solo il signor Moustapha Dieng e i famigliari dei due senegalesi uccisi».

Cheike e Sougou quindi sono di fatto fuori da questo “risarcimento”. Cheike ha quattro figli e una moglie. Sougou un braccio fuoriuso. Lavori all’orizzonte non se ne vedono. Chiedono allo Stato italiano una vita dignitosa. «Non vogliamo l’elemosina, ma un lavoro che ci dia un senso dopo questa tragedia».

Firenze sembra tranquilla oggi. I colpi di quella 357 magnum sembrano un lontano ricordo. Casseri solo un incidente di percorso. «Ma Casapound è ancora tra noi», ci tiene a ribadire Pape Diaw . Gianluca Casseri infatti è stato definito simpatizzante di quel movimento di estrema destra, ma Pape non ci sta a minimizzare il loro ruolo. «È proprio perché abbiamo sottovalutato la portata di violenza della loro politica che Samb e Diop sono morti. Noi della comunità senegalese diciamo forte e chiaro che è una vergogna che questa Casapound sia in mezzo alla città. Denunciamo la la- titanza dello Stato su questo punto e chiediamo che sia applicata alla lettera la legge Mancino, ossia quella legge che condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista».

Intanto una sera carica di pioggia cala su Firenze. Un’altra notte di ospedale per Moustapha Dieng. Sono nove mesi che è bloccato in quel letto pieno di fili e macchinari. Nove mesi senza quella cittadinanza che gli è stata promessa. Nove mesi di dolore che sono anche i nostri.

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