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Il Censis: gli italiani si vendono i gioielli. Così le famiglie sopravvivono…

«Gli italiani si vendono i gioielli»
Così le famiglie sopravvivon

Italiani «oltre la sopravvivenza»: per contrastare la crisi hanno venduto i ‘gioielli’ di famiglia, oro, mobili e opere d’arte, hanno eliminato sprechi ed eccessi nei consumi, mentre i redditi sono tornati indietro di vent’anni. È quanto emerge dal quarantaseiesimo rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese. «Negli anni ’90 il reddito medio pro-capite delle famiglie – si legge nello studio – è aumentato, passando da circa 17.500 a 18.500 euro, si è mantenuto stabile nella prima metà degli anni 2000, ma a partire dal 2007 è sceso ai livelli del 1993: -0,6% in termini reali tra il 1993 e il 2011». Inoltre secondo il Censis, come ultima difesa di fronte al persistere della crisi, «2,5 milioni di famiglie hanno venduto oro o altri oggetti preziosi negli ultimi due anni, 300.000 famiglie mobili e opere d’arte, l’85% ha eliminato sprechi ed eccessi nei consumi, il 73% va a caccia di offerte e alimenti poco costosi».

Sono dati che configurano, nella definizione del Censis, un vero e proprio «smottamento del ceto medio». «Il reddito medio degli italiani si riduce a causa del difficile passaggio dell’economia, ma anche per effetto dei profondi mutamenti della nostra struttura sociale, che hanno affievolito la proverbiale capacità delle famiglie di produrre reddito e accumulare ricchezza», spiega l’analisi. A fronte di un simile calo dei redditi, se negli ultimi vent’anni la ricchezza netta delle famiglie è aumentata del 65,4%, spiega il Censis, è grazie soprattutto all’aumento del valore degli immobili posseduti (+79,2%), laddove, invece, nel corso degli ultimi dieci anni la ricchezza finanziaria netta è passata invece da 26.000 a 15.600 euro a famiglia, con una riduzione del 40,5%. La quota di famiglie con una ricchezza netta superiore a 500.000 euro, si legge ancora nel rapporto, è praticamente raddoppiata, passando dal 6% al 12,5%, mentre la ricchezza del ceto medio (cioè le famiglie con un patrimonio, tra immobili e beni mobili, compreso tra 50.000 e 500.000 euro) è diminuita dal 66,4% al 48,3%. E c’è stato uno slittamento della ricchezza verso le componenti più anziane della popolazione. Se nel 1991 i nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni detenevano il 17,1% della ricchezza totale delle famiglie, nel 2010 la loro quota è scesa al 5,2%.(AGI) – Roma, 7 dic. – Questa erosione del reddito del ceto medio ha avuto tra le conseguenze più evidenti un cambiamento delle abitudini di consumo e delle condotte economiche degli italiani. Con sempre maggiore frequenza si «mette in circuito» il patrimonio immobiliare affittando alloggi non utilizzati o inventandosi piccoli operatori alberghieri trasformando in bed & breakfast un appartamento o una parte della propria casa, un fenomeno che nelle città con più di 250mila abitanti riguarda il 2,5% delle famiglie. Sono invece 2,7 milioni gli italiani che coltivano ortaggi e verdura da consumare ogni giorno, 11 milioni quelli che preparano in casa pane, conserve e gelati. Diminuisce poi del 62,8% l’uso di auto e scooter (per non parlare degli acquisti di auto calati del 25% tra gennaio e settembre rispetto all’anno scorso) in favore della più ecologica, ma soprattutto economica, bicicletta. Nell’ultimo biennio, afferma lo studio, sono state vendute in Italia 3,5 milioni di biciclette. Un boom dettato dalla necessità, non da una moda. Un altro segnale preoccupante è costituito dalla caduta libera del numero di mutui concessi, che nel quadriennio 2008-2011 è sceso del 20%. Nel primo semestre del 2012 la domanda di mutui ha fatto registrare un’ulteriore contrazione del 44% rispetto allo stesso periodo del 2011».

Sulle responsabilità della crisi economica che da qualche anno ha investito il nostro Paese, rendendo sempre più concreta la ‘paura di non farcelà, quasi la metà degli italiani ha pochi dubbi: dipende anzitutto dal degrado morale della politica e dal dilagare della corruzione. Almeno il 43,1% degli italiani, stando al Censis, condivide questo pensiero. Il 26,6%, invece, attribuisce la colpa al debito pubblico legato a sprechi e clientele mentre un 26,4% chiama in causa l’evasione fiscale. Al quinto posto di questa classifica di fattori determinanti, c’è un 18% di italiani che punta il dito contro la politica europea e l’euro mentre il 13,7% se la prende con le speculazioni e i comportamenti delle banche di casa nostra. In questo momento di chiara difficoltà, il sentimento che accomuna il 52,3% dei cittadini è la rabbia, legata alla consapevolezza che la situazione drammatica di questi mesi imponga interventi drastici e fortemente penalizzanti per ampie quote di popolazione, soprattutto alla luce degli errori gravi che sono stati commessi nel passato. Seguono poi la paura (21,4%), la voglia di reagire (20,1%) e il senso di frustrazione (11,8%). Un 10,6%, però, si dice fiducioso che la realtà possa cambiare in meglio.

Interrogati sulle proprie paure personali, invece, gli italiani – ricorda il Censis – temono per il futuro la malattia (35,9%) e la non autosufficienza (27%); a seguire il destino dei propri figli (26,6%), la situazione economica generale (25,5%), la disoccupazione e il rischio di perdere il lavoro (25,2%). Dall’indagine del Censis emergono le prove di quanto da noi sia radicato il malcostume e l’illecito: se la maggioranza dei cittadini europei è convinta che la corruzione sia un grosso problema nel proprio Paese, la percentuale sale in Italia all’87%. E ancora: mentre il 47% degli europei ritiene che negli ultimi tre anni la corruzione sia aumentata, in Italia tale percezione sale al 56%. Non solo, ma il 46% degli italiani, rispetto al 29% della media Ue, afferma di essere stato colpito personalmente dalla corruzione nella propria vita quotidiana. Questo spiega perchè il 64,1% degli italiani sia convinto che in futuro aumenteranno i comportamenti scorretti per fare carriera e che cresceranno l’evasione fiscale (58,6%), le tangenti negli appalti pubblici (55,1%) e la mercificazione del corpo (53,2%). Il doppio ‘tsunamì della crisi economico-finanziaria e del crollo reputazionale di forze politiche e istituzioni ha travolto, inevitabilmente, i politici della Seconda Repubblica. E così nell’ultimo anno il 4,1% della popolazione (fra i giovani la quota sale al 13%) ha preso parte a iniziative di protesta contro la politica. Per il Censis, questa forte disponibilità dell’opinione pubblica all’indignazione e alla mobilitazione ‘contrò si iscrive nel contesto più generale di crisi delle democrazie rappresentative che attraversa gran parte delle società europee, ma assume in Italia caratteri più radicali e una diffusione più consistente. Il risultato è che la politica rischia di rimanere sotto i riflettori solo come imputata, essendo ormai percepita dalla popolazione come un costo cui non corrispondono benefici, se non per i suoi adepti. Gli scandali giudiziari che si sono susseguiti negli ultimi mesi sembrano aver ormai smascherato una classe dirigente, rea, agli occhi di molti, di aver tutelato soltanto gli interessi personali.

Unità online del 7.12.12

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