Per misurarsi col film di Robert Redford (The company you keep) bisogna riandare innanzitutto al fortissimo scontro dentro gli Stati Uniti per la guerra nel Vietnam a cavallo tra anni ’60 e anni ’70..
La sporca guerra iniziò a metà degli anni ’60 con i falsi incidenti del golfo del Tonchino, una montatura ormai accertata che innescò il conflitto (alcune navi Usa sarebbero state attaccate in acque internazionali, ma era una bufala inventata dalla Cia e dal Dipartimento di Stato).
La seconda cosa da ricordare – c’è all’inizio del film – è che la guerra aveva fatto crescere un forte movimento di giovani., nei campus ma non solo, e aveva innescato anche una diffusa diserzione di massa (molti richiamati alle armi scappavano nel vicino Canada).
Terzo punto, le immagini delle stragi compiute dall’esercito Usa nel Vietnam – che come My Lai avevano indignato il mondo intero – e la stessa invasione della fascia smilitarizzata nel ’67 avevano prodotto mobilitazioni di massa un po’ dovunque.
E’ in questo contesto che negli Usa dall’ala più radicale dell’organizzazione studentesca Sds (Student for Democratic Society) nasce allora – siamo nel ’69 – un’iniziativa clandestina che si concretizza nei Weathermen Underground.
Il fatto che i Weathermen abbiano preso il nome da una canzone di Bob Dylan (non chiedere del metereologo per sapere da dove spira il vento) spiega il loro carattere movimentista e poco o nulla marxista-leninista.
Un fatto è certo: come ha ricordato anche in anni recenti uno dei loro capi, Bill Ayers, oggi prof universitario (nella foto dei ricercati è il primo a sinistra), i Weathermen non mirarono mai alle persone ma alle istituzioni coinvolte nella guerra (Campidoglio, Pentagono, Dipartimento di Stato, Dow Chemical che produceva il napalm).
E’ anche vero che poi nella diaspora degli anni ’80 alcuni di loro misero in atto poi delle rapine, una delle quali registrò un conflitto a fuoco nel corso del quale furono uccisi dagli ex Weathermen due agenti e una guardia giurata.
Veniamo a Redford, onore ai suoi 76 anni e al suo smalto di indipendenza mentale che non si concretizza solo nel suo Sundance Festival, ma anche in film impegnati come The Company you keep, che già dal titolo è abbastanza schierato e di parte..
Impegnati, sì, perché negli Usa non è facile parlare di tutto ciò, dunque ne sia merito a Redford che ha questo coraggio civile. Unica sua concessione, riproporre come scenario dei Weathermen – ma è il libro che è stato scelto come fonte ispiuratricve a farlo per primo – quella rapina con morti che appartiene alla fase di ormai dissoluzione del gruppo piuttosto che al tempo della sua piena attività.
Redford ha comunque il merito di riportare alla luce dunque questi ex giovani militanti dei Wethermen Underground, passati piuttosto spicciativamente alla storia come terroristi.
Non che non mettessero bombe, ma non erano di certo assassini. Dal punta di vista etico dicevano no alla sporca guerra, ed era e rimane una sporca guerra quella fatta allora in Vietnam, solo che non volendosi limitare alle sole dimostrazioni avevano deciso di fare un salto in avanti, diciamo nel buio, un salto fatto di atti dinamitardi dimostrativi.
Per gli europei, fortemente penalizzati dal terrorismo e dai suoi fatti di sangue, è difficile apprezzare la differenza tra i propri terroristi e queste Weathermen usciti dai campus. Eppure occorre fare uno sforzo. Robert Redford ha cercato di farlo, restituendoci un canovaccio di posizioni e di sensazioni che con coraggio ci vengono riproposti nel film. Che resta, infine, solo un film.
Detto questo, non è il primo ambito di iniziativa illegale che dagli Stati Uniti ci viene ricordato. I wobbliesa degli anni ‘2’, gli anarcosindacalisti, che hanno rappresentato una storia importante di mobilitazione operaia poi stroncata dall’intervento di polizia e Fbi, continuano ad essere fonte di ispirazione per chi scrive storie. I Weathermen non potevano essere da meno.