Informazioni che faticano a trovare spazio

Sulla guerra a Gaza e in Israele

Alcuni punti fermi sulla guerra in corso a Gaza e in Israele.

Hamas è responsabile di terrorismo contro il popolo israeliano, sostiene posizioni di negazione dello stato di Israele, mostra con i nuovi armamenti di essere una pedina dell’Iran retto da una teocrazia antisemita. In questo momento Hamas riesce a esercitare un forte controllo sulla popolazione palestinese della striscia anche se di fatto ne costituisce un oppressore. Tanto è vero che non molto non molto tempo fa si erano registrati tentativi di affrancarsi da questa pesante rappresentanza attraverso movimenti di protesta a Gaza poi spariti, ci si può immaginare come.

Non sono tollerabili bombe su autobus a Tel Aviv (nella foto l’esplosione di oggi che ha causato 20 feriti) o missili che arrivano a Gerusalemme. Obama ha ragione: nessuno stato potrebbe tollerare atti simili.

A Gaza lo stato di Israele sta però portando avanti da troppo tempo una politica di sostanziale apartheid. La chiusura della striscia prende in ostaggio un’intera popolazione e la spinge oggettivamente in direzione di Hamas. Gli argomenti usati dai negazionisti dell’apartheid tendono a descrivere un’inesistente gestione “aperta” del blocco – l’invio di medicinali ecc. – anche se tutto ciò suona dichiaratamente falsificatorio.

Se qualcuno a suo tempo ha eliminato Arafat – è possibile che sia stato ucciso e su questo mi pare si sta tentando di fare luce – costui ha di fatto spianato la strada ad Hamas. Arafat era accusato di doppiogiochismo e di uso del terrorismo, accuse mai seriamente provate. Poi è morto ed eccoci ad Hamas. Con la scomparsa di Arafat era questo che si voleva ottenere?

Il governo Netanyahu ha posizioni oltranziste da tempo, propugna soluzioni di forza, minaccia guerre su più fronti, toglie spazio con questa politica a qualsiasi opzione intermedia e costringe al silenzio il movimento pacifista che pure in Israele è esistito e continua ad esistere. Peace Now non è solo una bella pagina del passato, così come non lo sono le posizioni di uno come David Grossman.

La road map per arrivare a soluzioni condivise e di pacificazione è stata disertata di fatto dal governo Netanyahu e i risultati sono oggi di fronte agli occhi.

Quello in corso diventa allora sempre meno un conflitto palestinese-israeliano e sempre più un conflitto arabo-israeliano.

I sostenitori del governo Netanyahu e dei suoi atti tendono a liquidare qualsiasi altra posizione come inutile o peggio. Le definizioni con cui vengono bollati in Italia ebrei non allineati – da Moni Ovadia a Gad Lerner ecc. –  rappresentano un grave arretramento culturale e seminano ulteriore faziosità. Inutile pertanto citare Daniel Berenboim o David Grossman, il padre di Gilad Shalit o alcuni coraggiosi servizi di Haaretz, i giovani ebrei che si oppongono all’uso dell’esercito nei territori occupati e quelli che hanno denunciato in passato gli strappi dell’Idf alle regole convenute finendo incarcerati come la soldatessa.

In Italia sono molti a sinistra oggi coloro che, sull’onda emotiva delle immagini di morte a Gaza,  si schierano a fianco del popolo palestinese diciamo indiscriminatamente e tendono ad assumere posizioni antisraeliane non operando poi nessuna distinzione tra popolo di Israele e governo di Israele e finendo quindi ad alimentasre  posizioni di sostanziale antisemitismo.

E molti altri sono quelli che si schierano invece con Israele e col suo uso considerato legittimo della forza.

I primi in sostanza dimenticano le gravissime responsabilità di Hamas e delle posizioni oltranziste filoiraniane che costituiscono un abuso permanente nei confronti degli stessi palestinesi.

I secondi compiendo acriticamente la scelta di campo opposta sostengono di fatto non tanto Israele ma il peggior governo che Israele abbia mai avuto e le sue pulsioni guerrafondaie.

Questa crisi è stata definita su giornali israeliani anche una “guerra elettorale”, in riferimento alle prossime elezioni in Israele che per la situazione che si è creata non si svolgeranno nel modo più libero auspicabile possibile. Elezioni dunque sotto il ricatto della guerra, pessima consigliera. Ma c’è anche chi vede questa crisi come terreno di preparazione a un’altra avventura ancor peggiore, un attacco all’Iran.

La cosa migliore oggi da chiedere è che tacciano tutte le armi. E’ la Comunità internazionale che dovrebbe impedire ulteriori danni e fermare le armi. Sì, ma come?

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