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Il generale e la biografa

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Le dimissioni ‘spontanee’ del generale Petraeus sono il tema del giorno a Washington. Ci si chiede come sia possibile che un uomo come il generale a quattro stelle, abituato a stravincere a cominciare dalla sua vita scolastica per finire con la guerra in Irak e quella in Afghanistan, abbia potuto gettare al vento decenni di gloria per una avventura extraconiugale con una donna di venti anni piu’ giovane di lui.
Le risposte sono varie: ci sono quelli che dicono che si tratta della classica crisi del sessantenne afflitto da andropausa e terrorizzato dalla prospettiva di non essere piu’ gagliardo a causa del calo del testosterone. Gli metti vicino una donna bella, superlaureata, scrittrice con il pallino delle biografie e il gioco e’ fatto: 37 anni di matrimonio con una moglie molto in gamba ma, come confronto estetico, da tempo entrata nella categoria delle amiche coniugali, ed il capo dei capi crolla come un adolescente di fronte alle arti rigeneratrici della Maga Circe di turno (sposata e con due figli).
La seconda ipotesi di scuola e’ che il generale nei suoi 14 mesi alla CIA si fosse creato piu’ nemici di quelli incontrati sui campi di battaglia asiatici e del medioriente. Che avesse un’amante lo sapevano anche i sassi perche’ se la portava appresso anche in Afghanistan. Il generale era stato messo sugli scudi ai tempi di George W. Bush per la sua abilita’ di tessere ralazioni diplomatiche sotto traccia con il nemico. Le vere o inventate affinita’ con i repubblicani potrebbero essere state un punto di forza per la creazione del caso da parte dei suoi oppositori. Il generale Petraeus, si aggiunga, arrivato a Langley sede della Agenzia, ha imposto le sue regole militari in un contesto ambientale che vive su altre dimensioni. A farne le spese sono stati quelli che speravano in una promozione e che si sono visti mettere da parte.
La terza ipotesi che circola a Washington e’ che Petraeus abbia dovuto pagare con le sue dimissioni l’incredibile confusione che e’ emersa dall’assalto al consolato cirenaico di Benghazi e conseguente morte dell’ambasciatore Chris Stevens e di altri tre americani che, ora si apprende, erano agenti CIA. Le fasulle informazioni fornite dall’Agenzia all’ambasciatrice Susan Rice alle Nazioni Unite erano state alla base delle discutibili dichiarazioni fatte dalla diplomatica che avevano innescato il feroce cannoneggiamento delle armate di Mitt Romney durante l’ultimo periodo della campagna presidenziale. A pagare dunque doveva essere il direttore della CIA che sicuramente aveva seguito e gestito il caso molto delicato.
Resta da dire che anche in America le cadute sessuali degli uomini pubblici sono sempre in agguato. Qui non valgono i ‘tre pater-ave e gloria’ dopodiche’ si ricomincia a peccare. La vita privata non e’ separata da quella pubblica e ufficiale del personaggio al quale si chiede chiarezza e pulizia nei comportamenti, perche’ questa e’ la garanzia per i cittadini di un corretto modo d’agire. Gli Stati Uniti, in mezzo a tanti difetti, sono la nazione nella quale il peccato piu’ grave e’ il ‘cheating’, imbrogliare. Si va dal copiare un compito, al tradimento coniugale. Chi viene beccato in flagrante paga e non ci sono giustificazioni. E nemmeno vale il tanto abusato proverbio italiano che parla di peli pubici e un carro di buoi.

Dal blog  Letters from Washington D.C.  (di Oscar Bartoli)

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