C’era un convitato di pietra oggi alla Stampa Estera quando è stata presentata l’assurda situazione di Guido Agnello, l’inventore di Coppola storta. Anzi non c’era proprio il convitato, nonostante che sia stato invitato a vari livelli così comer hanno asserito i relatori. L’assente è la Bnl, la grande banca che per l’errore di un impiegato ha tagliato le gambe all’imprenditore siciliano Guido Agnello, presidente della Fondazione Palazzo Intelligente.
Ad ascoltare la sua storia, che per l’invenzione geniale della “coppola storta” costituisce un capitolo del mio libro “Uomini e donne del Sud” (qui di seguito riportato), c’erano alcuni giornalisti esteri che in merito all’Italia e al suo Mezzogiorno non sono nuovi a storie scabrose.
Si è parlato di “lupara bianca”, espressione forse un po’ forte, ma il senso della distruzione di una prospettiva imprenditoriale grazie a una svista bancaria c’è tutto.
Guido Agnello con moglie e figlia è stato lì ad attendere che la Bnl si presentasse. Voleva offrire il suo ramoscello d’ulivo, cioè consentire alla grande banca di rimediare e di recuperare finanziando oggi qualche attività imprenditoriale in Sicilia. Niente da fare, l’occasione è stata persa.
La storia è molto semplice: un imprenditore va in debito con la banca, firma allora un piano di rientro, paga quanto deve pagare ma per un errore un impiegato dimentica uno dei versamenti fatti. Nel 2008 l’errore viene riconosciuto da un tribunale. ;Ma intanto Guido Agnello è finito nel registro dei cattivi e le sue attività ne hanno fortemente risentito. Questo il resoconto fatto oggi ai giornalisti della stampa estera. Mancava purtroppo l’interlocutore, cioè la banca.
E ora per l’inventore della geniale “coppola storta” la situazione è in salita,
Facce costernata alla stampa estera ma con le banche, specie se ormai come la Bnl hanno trasferito altrove i loro veri quartieri generali (Paribas), la riparazione è una prospoettiva piuttosto astratta. Eppure come ha ricordato il moderatore, il giornalista inglese Chrisa Warde-Jones, Guido Agnello è da considerare un buon imprenditore.
Se ne parlerà di nuovo il 7 dicembre alla Fandango Incontro, la libreria in via dei Prefetti 22 a Roma, dove Guido Agnello con altri (il presidente della Svimez Adriano Giannola, il giornalista Pino Aprile e Lucio Iavarone del Coordinamento comitati fuochi) partecipa alla presentazione del mio libro “Uomini e donne del Sud”.
Dal capitolo dedicato alla “Coppola storta” ecco quanto:
La coppola storta
Un’altra coppola, chiamiamola “storta”. Da San Giuseppe Jato dove è stata tenuta a battesimo nel ’99 ora è approdata a Piana degli Albanesi. E’ una cooperativa di donne a tenere in piedi questo business nato come uno sberleffo alla mafia e che ormai ha diffuso nel mondo oltre 150 mila esemplari di “coppola storta” a un ritmo in crescendo di oltre diecimila prodotti all’anno. Bastava fare una coppola colorata, tanto per cominciare, e la distanza dal mondo dei cattivi era dunque segnata…
A capo della coop che vuole rovesciare il mondo delle coppole c’è Pina Ciulla, che guida questo piccolo esercito della virtù antimafia composto da quindici lavoratrici. Art director Tindara Agnello, figlia di Guido che è un po’ il manovratore decisivo di questa curiosa storia siciliana controcorrente e che oggi vanta un fatturato di circa 300 mila euro all’anno.
“Com’è nata questa storia? – si chiede Guido Agnello, presidente della Fondazione Palazzo Intelligente,un creativo siciliano di ormai 64 anni di età cresciuto tra le pieghe del mondo della moda -. Beh, semplice: per il desiderio molto intenso ed esteso a qualche altro amico di fornire un volto diverso della Sicilia. E allora che c’è di meglio della nostra coppola, simbolo di un mondo mafioso da combattere? Facciamo una coppola diversa, così è nata questa coppola storta che ha subito entusiasmato parecchia gente, dalla storica direttrice di Casa Vogue, Isa Tutino Vercelloni, all’architetto Ugo La Pietra fino al sindaco donna di San Giuseppe Jato, Maria Maniscalco…Ci dicevamo all’inizio: possibile che se il principe di Edimburgo si mette una coppola in testa è un signore molto elegante e se invece se la mette un siciliano è semplicemente un mafioso?”.
Gran dilemma. Ma lasciamo la parola alla fondatrice di Casa Vogue, per come ha raccontato questa avventura. “Una sera di sei anni fa, il mio amico fraterno Guido Agnello, di passaggio a Milano, mi parlò di un certo suo progetto di rilancio dell’artigianato siciliano nel mondo e più in generale dell’immagine stessa della Sicilia attraverso un attento merchandising culturale – ha raccontato Isa Tutino Vercelloni -. L’idea era della messa a reddito del patrimonio artistico del territorio e del varo di una rete di comunicazione informatica, di progettazione e distribuzione organizzata da un centro “intelligente” e aggiornatissimo. L’idea mi piacque subito; da questo all’esserne coinvolta fu tutt’uno. Seguirono anni di programmi condotti sempre con grande entusiasmo, alcuni andati anche in porto, altri arenati nelle secche della macchina burocratica, pigra e vorace come in ogni altro luogo e forse più. In ogni modo “Palazzo Intelligente” era nato, più tardi sarebbe diventato Fondazione, e i suoi progetti interessavano vivamente l’Unione Europea e fra mille difficoltà andavano avanti. Collaborare con il suo presidente Guido Agnello in qualità di “consigliere del Principe” non era per me solo un gesto di amicizia personale, ma un modo di esprimere l’amore per la Sicilia, la sua storia, la sua gente…”.
Il racconto prosegue così: “L’occasione vera fu l’incarico alla Fondazione di studiare il modo di rilanciare l’attività degli artigiani del centro storico di Palermo. Nel rilevamento delle varie attività artigiane esistenti su questa porzione di territorio, notai che la mappa tracciata segnalava anche la presenza di qualche “coppolaro”. Facile, soprattutto con il sapiente aiuto di un esperto del settore artigianato come l’architetto Ugo La Pietra, pensare al rilancio di argentieri e ceramisti, pupari e
decoratori. Ma che cosa fare con queste coppole, che avevano assunto una connotazione così negativa, una coloritura mafiosa tale da suscitare antipatia e diffidenza?”.
“L’unico modo di salvare un oggetto in questi casi è quello di azzerarne l’immagine e
riprogettarla, ripartendo forse dalle origini – prosegue Isa Tutino -. Pensai che avrei potuto chiedere il regalo di farlo a molti amici miei che sono anche i migliori creativi di cui il panorama progettuale odierno dispone in Italia: artisti, stilisti, architetti, designer ai quali va tutta la mia gratitudine. Pensai che si poteva ricavarne una mostra da far girare per il mondo. Pensai che le nuove coppole potevano essere fotografate sulla testa di ragazzi e ragazze giovani, allegri simpatici anche buffi ma sorridenti, facce serene, facce pulite, capaci di far vedere che molto dipende anche da chi la porta questa nuova coppola; e come. Pensai che con questi ritratti, uniti ai documenti fotografici e scritti
raccolti, si poteva fare un libretto-catalogo, e con una dozzina dei migliori anche un manifesto gigante; e allora mi ricordai che qualcosa di simile era stato fatto, di recente, per riscattare l’immagine del luogo siciliano per eccellenza, Corleone, attraverso i ritratti dei suoi giovani, inquadrati dall’obiettivo sicuro e preciso di Oliviero Toscani, con il suo stile inconfondibile. Dicevano, quei ritratti: ecco guardateci, così siamo; abbiamo forse una faccia da mafiosi? Dimentichiamo il passato, noi siamo il presente e il futuro. Un futuro con la faccia pulita…”.
E poi ecco in rapida successione i passi successivi, una telefonata da Palermo all’amico Oliviero, la successiva segnalazione dell’architetto Turtula già coinvolto nei ritratti di Corleone e ora interessato a qualcosa di simile per un comune che sorge in territorio mafioso, San Giuseppe Jato, il contatto con Turtula, la disponibilità del sindaco di San Giuseppe Jato, Maria Maniscalco, l’entrata in scena di un dinamico imprenditore Giuseppe Taormina, che si offre di aprire una piccola manifattura, la Sangiuseppe s.p.a., per fabbricare le nuove coppole.
“E’ andata proprio così, anche se all’inizio tutto sembrava un po’ in salita – ricorda Guido Agnello -.Gli stilisti a cui ci rivolgemmo per trattare la coppola, insomma per riformarla, perlopiù ci risposero che non era possibile. Come Gianfranco Ferré che se ne tenne una sul tavolo per una settimana e alla fine sbottò: “Non si può cambiare…”.. E’ quello che diceva anche Michele Delucchi. E invece ce l’abbiamo fatta. Abbiamo levato la coppola alla mafia e l’abbiamo messa in testa a donne e bambini, perfino ora a cani e gatti, nei colori più diversi. Abbiamo due modelli, uno classico che chiamiamo Pirandello” e l’altro più grande, a spicchi, di tipo catanese, che chiamiamo “meusa” (la famosa milza, in siciliano, con cui si fanno anche panini…). Abbiamo un modello perfino da sposa. E la cosa più meravigliosa è che oggi a confezionarla, in accordo con le nostre donne della cooperativa, sono spesso anche mogli di pentiti di mafia. E così stiamo aprendo negozi dovunque, da Roma in via Frattina a Kobe passando per Vienna, Berlino, Torino, Ischia, Taormina…”.
(da “Uomini e donne del Sud” di Paolo Brogi, Imprimatur editore, 2012)