Anche le commesse si incazzano. Oggi in piazza in numerose città contro la domenica lavorata. Il manifesto dice OccupySunday. Riprendo le notizie da Gregorio Romeo di repubblica.it. Come sono lontani i tempi di Luciano Emmer con le sue “Ragazze di Piazza di Spagna” ma anche quelle più recenti di Giorgio Capitani con la Ferilli ecc.
Queste a quanto pare sono commesse vere, di oggi, invece. Giù le mani dalla domenica. Ma le gerarchie ecclesiastiche cos’ì attente a tante cose (compreso fare ricorso al Consiglio di Stato per non pagare l’Imu) noin hanno nulla da dire sul “giorno dedicato al Signore” e sul riposo dal lavoro? Evidentemente no, ameranno anche loro lo shopping?
Ecco Romeo:
Manifestano al grido di “OccupySunday”, ispirandosi allo slogan degli indignati globali, e hanno ottenuto anche la benedizione della Chiesa. Sono le commesse (e i commessi) che dicono no alla domenica di lavoro e si oppongono alla deregulation sulle aperture dei negozi nei giorni di festa. Scenderanno in piazza oggi, in diverse città d’Italia da Benevento a Treviso, insieme a mariti, mogli, figli e amici: “Con le persone che siamo costretti a trascurare lavorando di domenica”.
A quasi un anno dall’approvazione, il decreto che consente ai negozi di restare aperti 24 ore su 24, sette giorni su sette, è ancora al centro delle polemiche. Insieme alle liberalizzazioni sarebbero dovuti arrivare nuovi posti di lavoro, ma la manodopera in negozi e ipermercati non è aumentata. “Così siamo costrette a lavorare sempre più spesso anche nei festivi – spiega Lucia Grasso dipendente di un centro commerciale a Modena – . A volte ci capita di non avere un giorno di riposo per due settimane di fila, trovando poi in busta paga appena 15 euro in più”. Dopo la deregulation, infatti, la domenica è diventata un giorno di lavoro come un altro e, in molti casi, le maggiorazioni in busta paga si sono ridotte drasticamente.
La protesta delle commesse è nata su Facebook qualche mese fa, con il gruppo “Domenica no grazie” che rapidamente ha conquistato visibilità (in realtà ne ho trovati parecchi ma solo regionali, ndr). Focolai di opposizione alle liberalizzazioni si sono così diffusi dovunque, non solo dove oggi si protesta (Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Campania) ma anche in Piemonte, Lombardia, Sicilia, Abruzzo e Puglia: “I lavoratori del commercio di tutta Italia sono solidali con noi”, spiega da Treviso Tiziana D’Andrea, mamma e dipendente di una boutique sempre aperta. Proprio a Treviso la marcia si snoda lungo le vie del centro ma nelle altre città (Modena, Padova, Benevento e Firenze) saranno occupati i parcheggi davanti ai grandi centri commerciali. Al fianco dei lavoratori anche molti piccoli esercenti, stritolati dalla concorrenza degli ipermercati. “Ma il valore di questa protesta non è solo economico – spiega don Don Gianni Fazzini, sacerdote della diocesi di Venezia – La domenica deve restare un giorno dedicato ai rapporti umani, da non trascorrere nei centri commerciali, luoghi che io paragono all’inferno”. “Comprendo le tradizioni, ma il lavoro festivo non può essere un tabù – replica Pietro Malapsina, presidente del Consiglio nazionale dei centri commerciali – Mi permetto di ricordare che nel medioevo, di domenica, le piazze davanti alle chiese erano il luogo principale dedicato al commercio”.
La speranza delle commesse ora è rivolta alla Consulta, che il prossimo novembre dovrà decidere se accogliere il ricorso presentato da Veneto, Piemonte, Lombardia e Lazio contro la deregulation delle aperture. Per le Regioni, infatti, la liberalizzazione limita il diritto degli enti locali di regolare il settore del commercio e andrebbe bocciata per incostituzionalità.