Sono stato nella Curia romana e in occasione di “Roma Caput Mundi” sono stati rispolverati un paio di testi della Roma imperiale che la dicono lunga sull’integrazione che era promossa a Roma e che dovrebbe far riflettere quei sepolcri imbiancati – a partire da Gianfranco Fini – che hanno firmato le leggi più restrittive sull’immigrazione.
A Roma Claudio imperatore proclamava nel 48 d.C. la cittadinanza per tutti nel suo impero. Cittadinanza romana.
Nel 48 d.C. dunque l’imperatore Claudio tenne un’orazione nel senato. Voleva convincere i senatori ad accogliere tra i loro ranghi alcuni notabili delle province della Gallia Transalpina. Il suo discorso arrivato a noi attraverso una tavola epigrafica è una grande esaltazione di “Roma città aperta”. Può essere considerato come il manifesto dell’integrazione romana.
C’è un secondo documento a “Roma Caput Mundi” ed è dell’imperatore Caracalla. Nel 212 d.C. Caracalla portava a compimento la visione di Claudio con un editto, pervenuto a noi con un frammento di papiro, con cui si concedeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero.
Nel suo discorso Claudio aveva sostenuto che da sempre Roma era stata aperta agli stranieri. Numa era un sabino, Tarquinio Prisco un etrusco di padre greco, Scarsa importanza avevano le condizioni sociali dei regnanti, Servio Tullio era figlio di una schiava.
I senatori protestarono, ma Claudio contrappose ai privilegi della stirpe le ragioni della storia: Roma cresceva grazie all’integrazione dei vinti.