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Argentina, che fine ha fatto Padre Giuseppe Tedeschi?

Che fine ha fatto Padre Giuseppe Tedeschi, “desaparecido nell’Argentina dei militari golpisti? Un’interrogazione parlamentare:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, i Ministri degli affari esteri e della giustizia, per sapere – premesso che:

la difesa dei diritti civili e della cultura del diritto per affermare la giustizia di fronte a fatti tragici e violenti che offendono la dignità umana, in ogni situazione, è da tempo una costante caratterizzante della politica posta in essere dai Governi e dal Parlamento della Repubblica italiana; grazie a tale sensibilità morale e civile, oltre trent’anni dopo la drammatica vicenda innescata dalle giunte militari argentine nel periodo di dittatura, è stato possibile rinviare a giudizio e processare a Roma i responsabili e i torturatori dei desaparecidos di origine italiana, un processo in cui il Governo italiano si era costituito parte civile; recentemente, la Commissione affari esteri della Camera dei deputati ha audito la Signora Estela Carlotto – presidente delle nonne di Plaza de Mayo – accompagnata da autorevoli rappresentanti del mondo politico argentino e delle organizzazioni operanti a difesa dei diritti civili, rinnovando con ciò la tradizionale attenzione del Parlamento italiano al dramma dei desaparecidos;

padre Giuseppe Tedeschi, nato a Jelsi (Campobasso) il 3 marzo 1934, a soli 16 anni lasciò il suo paese, per raggiungere il padre Luigi in Argentina, a Buenos Aires, insieme alla madre Maria Grazia Passarelli e ai quattro fratelli Antonio, Renzo, Michele e Filippo. Giuseppe (Josè) nel 1954 entrò nel seminario di Bernal, poi a Moron per l’anno di noviziato e, al termine del tirocinio nelle case salesiane di Buenos Aires e degli studi filosofici a Bernal, venne consacrato sacerdote nel 1967 e inviato come prima sede a Mar del Plata; padre Tedeschi, in seguito, fu inviato per attività pastorale nel quartiere Don Bosco di Quilmes in una delle periferie più degradate della capitale argentina. In questo contesto sociale, caratterizzato da baraccopoli (barrio di Villa Itati), a contatto con tanta sofferenza sociale e con tanta disperazione umana, egli si convinse che il suo apostolato richiedeva una scelta completa, una dedizione estrema. Pertanto, si fece povero tra i poveri, aprì una scuola a casa sua, un pronto soccorso, si adoperò per far giungere latte e generi di prima necessità, si batté per garantire l’acqua a più di 40 mila persone, diede vita a un centro di assistenza contro la violenza e ad una biblioteca, accolse le fasce più emarginate ed i diseredati, insegnando loro il mestiere di falegname e mobiliere. Inoltre, padre Giuseppe Tedeschi si impegnò per migliorare la viabilità nel barrio, i servizi sociali e per elevare le condizioni di vita dei cittadini di quel ghetto; la vicenda di questo sacerdote italiano si inserisce nella tragica pagina argentina dei desaparecidos, delle persecuzioni, delle torture e dei massacri, che in quel periodo storico videro sterminare un’intera generazione con oltre 30 mila vittime. Per questa sua attività venne discriminato, isolato, diffamato, sequestrato, torturato e ucciso il 2 febbraio del 1976 a La Plata. Il suo corpo era talmente martoriato che nemmeno i fratelli riuscirono a riconoscerlo e si rese necessaria la verifica delle impronte digitali e del sangue per stabilire la sua identità; nella regione Molise, dopo 36 anni, è stata costituita un’associazione sociale e culturale intitolata alla sua memoria ancora viva ed esemplare tra i cittadini del barrio di Villa Itati dove, il 29 aprile 2012, nella chiesa dove esercitava il suo ministero sacerdotale, è stata posta una targa a lui intitolata, alla presenza di una delegazione italiana;

da più parti – da ultimo dal vice presidente della commissione lavoro del consiglio regionale del Molise, Michele Petraroia – è stato chiesto alle istituzioni di riaprire l’inchiesta giudiziaria sulla morte del sacerdote italiano, al fine di non rinunciare a fare chiarezza, individuare e perseguire i mandanti e gli esecutori del suo barbaro assassinio;

il caso di padre Tedeschi suggerisce una più ampia riflessione sull’accertamento della verità per il rispetto che si deve testimoniare alla memoria storica e ai milioni di cittadini italiani emigrati in Argentina, che con il loro lavoro hanno dato un grande contribuito al suo sviluppo; un dovere al quale il Governo italiano e il Parlamento non possono essere insensibili, affinché anche per padre Tedeschi si accertino le responsabilità e si renda giustizia –:

quale condotta stia assumendo il Governo per ottemperare ai doveri di responsabilità verso i connazionali come padre Tedeschi che sono stati vittima della dittatura militare argentina;

quali azioni diplomatiche abbia in corso o intenda promuovere il Governo per fare luce, anche sul piano giudiziario, sull’assassinio del missionario salesiano molisano, padre Giuseppe Tedeschi, nato a Jelsi (Campobasso) il 3 marzo 1934 e ucciso a 42 anni a La Plata (Argentina) il 2 febbraio 1976;

quali azioni intenda adottare il Governo per verificare la possibilità che i responsabili dell’efferato delitto siano giudicati a Roma analogamente, per esempio, con quanto fatto per l’omicidio volontario premeditato – aggravato dalle sevizie e dalla crudeltà – degli italo-argentini Angela Aieta, Giovanni Pegoraro e di sua figlia Susanna, tre dei tanti desaparecidos dell’ultima dittatura argentina.

(2-01641)

«Narducci, Franceschini, Maran, Tempestini, Barbi, Colombo, Corsini, Corsini, Fedi, Arturo Mario Luigi Parisi, Pistelli, Porta, Touadi, Veltroni». (presentata il 4 settembre 2012)

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