A Milano il 25 settembre è stato ricordato Mauro Rostagno. Ma soprattutto è stato segnalato l’isolamento che avvolge il processo in corso a Trapani a carico dei due mafiosi accusati di averlo ucciso – uno straordinario silenzio dei media – ed è stato denunciato il perverso meccanismo dei depistaggi che hanno caratterizzato i 24 anni che ci separano dalla morte di Rostagno. Ma quella di Milano (un’altrta era stata fatta a Roma nel giugno 2011) è stata anche la serata di grande affetto verso un uomo che ha sacrificato la propria vita per il bene comune – la giustizia, la liberazione dalle mafie, l’affrancamento dalla paura e dall’asservimento nei confronti dei poteri oscuri di questa società – e ha offerto un raro esempio di coraggio civile. Un affetto che riguarda oggi i suoi familiari che Maddalena in testa continuano a chiedere al paese che sia fatta giustizia (Chicca Roveri era assente a Milano perché nella staffetta con la figlia per assistere alle udienze del processo toccava a lei stavolta la trasferta da Torino a Trapani per un’udienza, quella del 26 settembre, che si è rivelata di nuovo una mezza beffa). Come testimonia un video postato su you tube da Libera Piemonte (è sulla pagina FacebooK del “Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno” al link http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=AQWUGgscKpU e su questa prima pagina del blog nel video in basso a destra.
La serata ha avuto come scenario la grande sala del Centro congressi della Provincia di Milano, dotata di seicento posti, che in alkcuni momenti durante le quasi quattro ore di evento ha visto anche partecipanti in piedi. Nel corso della serata aperta da un video di sette minuti in cui Moni Ovadia parla dell’eroe civile Mauro sono statio letti anche vari messaggi e articoli (i messaggi di Dacia Maraini, Licia, Claudia e Silvia Pinelli, Erri De Luca, dei sindaci Giuliano Pisapia e Leoluca Orlands trattenuti nelle rispettive sedi di Milano e Palermo da impegni importanti) e sono stati proiettati vari altri video (la sigla della nuova tramissione di Mauro “Avana”, brani dei due documentari su Rostagno che hanno vinto il premio giornalistico di Perugia intitolato a Mauro.
Dopoo Ovadia è intervenuto prima Sergio Martin, uno degli organizzatori della serata, e poi il consigliere provinciale di Un’Altra Provincia, Massimo Gatti che ha ricordato come l’evento riscattasse la stessa sala di una Provincia malamente amministrata dalla destra. E poi è toccato al consigliere regionale nonché attore Giulio Cavcalli aprire la lunga serie di interventi con un testo scritto per la serata, lettura che è stata accompagnata al piano dal jazzista Gaetano LIguori. Quest’ultimo è poi tornato a suonare a tre quarti della manifestazione.
E poi? Poi è toccato a Rino Giacalone, il giornalista che da Trapani contribuisce a redigere per la pagina Facebook “Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno” il resoconto delle udienze. Giacalone ha fatto un lungo intervento con cui ha delineato la complessa realtà trapanese in cui si era ritrovato ad operare Rostagno. Benedetta Tobagi ha poi riassunto i passaggi chiave di un testo scritto con Maddalena Rostagno sui depistraggi che hanno caratterizzato la vicenda fin dal suo inizio (è stato ricordato come un carabiniere a caldo introdusse subito dopo l’esecuzione di Rostagno elementi di falsificazione brutale come l’aver fatto sapere che sull’auto di Rostagno c’erano droga e dollari, un fatto assolutasmente falso…)
Don Luigi Ciotti ha compiuto un appassionato intervento ricordando alcune questioni cruciali che vedono la mafia oggial contrattacco, in pieno reclutamento giovani. Don Luigi ha ricordato poi gli incendi contro Libera a Castevetrano, si è chiesto perché le banche abbiano continuato a dare mutui alle peggiori canaglie mafiose. Insomma la sua è stata un’importante orazione civile, che fatta a braccio sarà visibile tra poco nel video che lo riprende e che sarà “postato” sulla pagina Facebook “Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno”.
C’era in sala Manlio Milani, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage di Brescia, è stato invitato a parlare, cosa che ha fatto con grande preemura ricordandosi di distinguere la verità processuale da quella socuiale e soprattutto rivendicando la tenuta di una società slabbrata e in crisi come la nostra proprio al sacrificio di uomini come Mauro.
Lella Costa ha invece letto un bell’arricolo di Adriano Sofri su Rostagno, un testo del 2003 comparso su Repubblica, che parla delle tante vite di Mauro, dell’amicizia rimasta come bene effettivo dopo lo scioglimento di Lotta Continua, delle frasi di Mauro che più hanno fatto discutere come “Meno male che abbiamo perso” e di tanto altro. Molto applaudito.
Nando Dalla Chiesa si è dichiarato poco soddisfatto per l’insistenza riscontrata su depistaggi ecc, perché secondo lui chi li ha portati avanti sono funzionari irrilevanti e perché figure come quella di Mauro Rostagno si stagliano come quelli di grandi eroi dell’antimafia.
Enrico Deaglio ha invece ripercorso con puntualità alcuni passaggi nefandi delle inchieste chiedendosi perché mai nessun depistatore sia mai stato chiamato a rispondere materialmente dei tradimenti effettuati. REnato Sarti ha poi letto un messaggio di Erri De Luca.
In conclusione Marco Boato si è soffermato soprattutto sull’importanza della serata medesima che insieme ad altri momenti (altri ancora che saranno promossi in futuro, da Torino a Palermo, ndr) tende a ricordare il sacrificio di un grande volontario dell’informazione che ha lasciato una formidabile lezione.
Qui di seguito accludo per chi voglia leggerseli alcuni contributi che intanto vengono pubblicati anche sulla pagina Facebook “Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno”, pagina alla quale è stato chiesto di aderire per rafforzare questa battaglia per la giustizia e la memoria comune.
Giuliano Pisapia, Sindaco di Milano, 25 settembre, Ricordando Rostagno
Cari amici,
questa è una serata di libertà e di verità: due valori che Mauro ha inseguito per tutta la vita, e anche nella morte.
La vita di Mauro è stata una corsa verso la libertà. Una corsa tumultuosa, appassionata. Una corsa pagata con la vita. Mauro è stato un uomo libero che ha inseguito la giustizia, la libertà. Da 24 anni, dal giorno della sua morte, Mauro ci insegna che chi lotta per un’idea è vivo. Sempre. Mauro è vivo stasera, nell’impegno e nella lotta dei suoi amici, di sua figlia Maddalena, e di tutti coloro che credono ad una Italia libera, aperta, nuova.
Un impegno che è vivo anche nella città. Perché se dopo tanti anni di silenzio e di negazione Milano è tornata ad essere una Città antimafia lo deve a quei semi di reazione civile, di coscienza pubblica che uomini come Mauro hanno diffuso nella società italiana.
Milano ha abbattuto il muro del silenzio contro le mafie, ha costituito una Commissione antimafia, ha messo in campo strumenti amministrativi nuovi contro le infiltrazioni, ha ricominciato a collaborare a tutto campo con la magistratura. Oggi Mauro sarebbe felice di una Milano che è tornata ad essere l’avanguardia dell’innovazione sociale e della legalità.
Mauro aveva scelto Milano per la sua attività politica e culturale, con Macondo e non solo. Mauro vedeva in Milano un contesto adatto al cambiamento, una disponibilità di energie capaci di dare un messaggio nuovo al Paese. Oggi Milano attraversa molte difficoltà, ma è tornata a credere nel cambiamento, in una idea nuova di cittadinanza, di partecipazione, di solidarietà.
Il 26 settembre riprende il processo Rostagno contro i due imputati Vincenzo Virga e Vito Mazzara. Il processo va avanti da un anno e otto mesi. Milano chiede con forza la verità su Rostagno. Una verità che la storia e la cronaca hanno già scritto, perché che Mauro sia morto per mano mafiosa è un fatto solare. Bisogna però fare luce: luce sui mandanti, e luce anche sul contesto, per dirla con Sciascia, sulle connivenze, sulle omertà. Mauro è stato un uomo di pace, di pensiero, di creatività. Un uomo che non si accomodava nelle definizioni degli altri, che cercava sempre un orizzonte nuovo. Per questo Milano ne onora oggi non la memoria, ma la vita: la testimonianza, la passione civile.
Manlio Milani, 25.09.12 Milano, Ricordando Mauro Rostagno
Ricordare Mauro Rostagno è ricordare, in primo luogo, che cosa distrugge la violenza e, in secondo luogo, che cosa rappresenta la sua vita per noi oggi.
La violenza distrugge un mondo di affetti, un futuro immaginato, una vicinanza, una reciprocità che vorresti ti fosse compagna anche nel momento finale della tua vita. Sono sentimento che restano impressi nella memoria interiore di chi sopravvive, un bagaglio che ti porti appresso. Ma sono anche parte integrante nel racconto della storia. Da trasmettere come esemplificazione delle conseguenze della violenza: che abbraccia tutti.
In tal senso racconto e ricerca della verità dei fatti reclamano di non restare chiusi solo nelle aule giudiziarie. Lì si svolge solo una parte di questo raccontare e ricercare ma con le sue regole finalizzate, limitate a definire le singole responsabilità, in ragione, giustamente, delle prove acquisite.
Certo, in quelle aule si possono far emergere i contesti ambientali, le interferenze, i depistaggi, necessari a coprire lo svolgimento dei fatti. E’ importante tutto ciò, ma nella misura in cui siamo consapevoli dei limiti in sé della giustizia. Non c’è bisogno di una sentenza per affermare che Rostagno è stato ucciso dalla mafia: essa è già verità storica nella coscienza popolare come ha giustamente sottolineato Nando dalla Chiesa. E tutto ciò non significa rinunciare alla dimensione giudiziaria.
Proprio con e per questa consapevolezza dobbiamo saper guardare fuori da quelle aule, raccontare per dare sempre più coscienza pubblica alle “ragioni” per cui è stato ucciso Mauro, imparare da esse: questo significa memoria pubblica riconosciuta.
Tutto ciò io credo sia alla base del perché, nonostante tutta la violenza che ha subito – dalle stragi al terrorismo, a quella della mafia, il Paese democratico è riuscito complessivamente a reggere alla scontro.
Ebbene, una delle ragioni di questo “resistere” e contemporaneamente, migliorare è perché la vita di persona come quella di Mauro, ha saputo rappresentare quella volontà di cambiamenti sempre presenti nell’agire umano, è possibili realizzarli.
Una volontà che è sinonimo d’impegno, di assunzione di responsabilità dei propri gesti ma sempre partendo dall’idea di saper volgere lo sguardo oltre se stessi, cioè: ricercarci riconoscendo l’altro e le sue esigenze come parte di noi.
Si può essere o non essere d’accordo con le sue scelte, con i suoi travagli. Così come si debbono sottoporre a critica le sue idee. Non abbiamo bisogno né di eroi, né di santini. Ma non dobbiamo dimenticare il suo messaggio reso evidente dal suo comportamento: il bisogno di metterci sempre in gioco e questo senza mai togliere lo sguardo dalla dimensione del bene comune.
Il Paese dovrebbe riconoscere queste persone come parte integrante di un percorso che ci porti a costruire un nuovo Pantheon civile (Giovanni De Luna) da collocare accanto ha chi ci lasciato memoria di sé – come i tanti che ritroviamo nelle Le lettere dei condannati a morte della Resistenza – al fine di riscoprire comuni valori entro i quali possiamo ritrovarci e ritrovare il senso di una vita, di una storia, come quella di Mauro, che ci possa accompagnare nel nostro cammino. Così, io credo, continueremo a dar loro vita.
Don Luigi Ciotti, 25 settembre, Milano, Ricordando Mauro
Non dispongo del suo testo. Ma l’intervento lo potete vedere sul video di you tube postato su “Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno” e sulla pagina di Maddalena Rostagno, nonché sulla mia
Benedetta Tobagi, 25 settembre, Milano, Ricordando Rostagno
L’ombra dei depistaggi sul processo Rostagno
di Benedetta Tobagi
L’odissea delle indagini sull’omicidio Rostagno è stata lunga e perigliosa. Per molti anni non si è parlato di mafia. Certo, pesa il fatto che i collaboratori di giustizia hanno parlato del delitto solo molti anni dopo. Ma non bisogna dimenticare che l’attenzione degli inquirenti è stata allontanata dalla pista mafiosa da omissioni di fatto depistanti che costellano l’inchiesta fin dalle prime battute. Per esempio, basti pensare che adesso, dopo così tanti anni, in aula sono attesi gli esiti di nuove perizie balistiche sull’omicidio, perché solo le ultime indagini hanno evidenziato precise corrispondenze tra delitti per cui è stato condannato Vito Mazzara e l’omicidio Rostagno. Perizie accurate si sarebbero dovute fare subito dopo il delitto. Non fu così. Nell’ultimo processo è emerso inoltre il fatto grave che il reparto operativo dei Carabinieri non riferì all’autorità giudiziaria che Rostagno era stato sentito, poco prima della morte, in relazione alle sue inchieste sulla loggia Scontrino.
La mafia – quella pista così ovvia, così logica, così evidente, così scomoda – scompare, tutta l’attenzione e l’energia degli inquirenti si concentra sulle piste legate all’inchiesta sulla comunità Saman e all’omicidio del commissario Calabresi. Con forzature che, oggi, appaiono evidenti. Al processo di Trapani si compone il quadro del percorso accidentato dell’ennesima, faticosa storia di inchiesta depistata.
Di seguito, ecco alcuni passaggi tratti dalle deposizioni di tre testi, tre uomini dello Stato, incaricati, in tempi diversi, di indagare sull’omicidio Rostagno (selezionati grazie all’indispensabile contributo di Maddalena Rostagno). Per avere un’idea di come sia potuto accadere che la pista mafiosa sia stata condannata per anni all’irrilevanza. Per avere un’idea di quanto sia importante lo spaccato che emerge dal processo in corso a Trapani – a prescindere da quello che sarà il verdetto.
1) E’ stato ascoltato nell’aula di Trapani il generale dei Carabinieri, ora in pensione, Nazzareno Montanti (udienza 15/6/2011). Al tempo dell’omicidio era dirigente del Reparto Operativo dei Carabinieri di Trapani. A poco meno di un anno dal delitto, firmò un rapporto sulle indagini in antitesi con quello della squadra mobile guidato da Calogero Germanà (un poliziotto che scampò a un agguato di Leoluca Bagarella, e poi fu trasferito al Nord). Il rapporto Germanà, focalizzato sulla pista mafiosa, fu accantonato. Le indagini furono indirizzate dal rapporto dei Carabinieri, che privilegia la pista interna alla comunità Saman invece di quella mafiosa.
Il PM domanda a Montanti se nel marzo dell’88 Rostagno fosse stato formalmente sentito come teste dal personale del Reparto Operativo alle sue dipendenze. “Non mi risulta”, dice il generale.
Eppure, agli atti del processo, contesta il PM: “è stata acquisita una nota informativa trasmessa il 2 di marzo del 1988 all’Autorità Giudiziaria da parte dell’allora Brigadiere Cannas, che contiene le dichiarazioni di Mauro Rostagno e tutta un’altra serie di accertamenti concernenti la vicenda della loggia Scontrino… Questo rapporto compendiava degli accertamenti riguardanti un’importante indagine in quel momento in corso pendente innanzi all’Autorità Giudiziaria”.
“Sì”, dice Montanti
“Quindi, questo atto, questo rapporto informativo esce dal suo ufficio, ed è diretto all’Autorità Giudiziaria”.
TESTE MONTANTI: “Certo, certo”.
P.M. DOTT. PACE: “Lei ne è a conoscenza?”
TESTE MONTANTI: “No.”
P.M. DOTT. PACE: “Non veniva neppure informato dai suoi collaboratori?”
TESTE MONTANTI: “Ma probabilmente mi avrà informato, … io non le posso venire incontro … non lo ricordo”.
Non ricordo: la frase più frequente, la più terribile. Pochi mesi prima di morire, dunque, nel marzo 1988: “Rostagno è ascoltato a sommarie informazioni testimoniali e le sue dichiarazioni sono trasmesse con gli accertamenti di riscontro all’Autorità Giudiziaria”.
Domanda ancora il PM: “E con riferimento, quindi, alle indagini sull’omicidio Rostagno, lei è in grado di riferire alla Corte se il suo ufficio, l’ufficio da lei diretto ha riversato all’Autorità Giudiziaria tutti i materiali informativi di cui era a disposizione con riferimento all’attività giornalistica di Mauro Rostagno?
TESTE MONTANTI: “Ritengo di sì.”
P.M. DOTT. PACE: “Dagli atti questa sua risposta è clamorosamente smentita, Generale […] Dagli atti, la sua risposta è clamorosamente smentita perché tutto il materiale che Cannas riferì nel marzo dell’88 all’Autorità Giudiziaria nell’ambito di altro procedimento, alcuni mesi prima della morte di Rostagno, non venne compendiato nel rapporto preliminare, che lei ha spedito all’Autorità Giudiziaria, non ve n’è traccia e non ve ne sarà mai più traccia, se non qualche mese fa, quando è stato acquisito agli atti di questo processo. Quindi c’è qualcosa che non va, Generale.”
TESTE MONTANTI: “Benissimo, allora ci sarà qualcosa che non hanno trasmesso”.
Il PM lo incalza: “Lo spieghi, allora”.
E Montanti: “Guardi, io non so darle una spiegazione, non so darle una spiegazione”. […]
P.M. DOTT. PACE: “Io ritorno alla sua risposta […] “Non prendemmo in considerazione l’ipotesi mafiosa perché non veniva presa in seria considerazione”. Non veniva presa in seria considerazione da un ufficio che non ha riferito all’Autorità Giudiziaria tutti gli elementi di cui disponeva, questo dobbiamo ritenere, Generale”.
Nel corso dell’audizione, Montanti ricorda che disponeva, all’epoca, di pochissimo personale e scarse risorse. Che passava rapporti redatti dai suoi collaboratori. Come provare con certezza cos’è accaduto? Di certo, dal processo di Trapani, però, emerge il fatto che nel fascicolo dell’omicidio Rostagno non entra il fatto che il cronista di RTC era stato sentito dai Carabinieri, proprio in relazione al suo lavoro d’inchiesta sulla mafia trapanese.
Come precisa il PM: “C’è una evidente discrasia, un’incongruenza obiettiva tra quello che era il patrimonio informativo e conoscitivo di cui disponeva il Reparto Operativo e quello che lo stesso ha rappresentato all’Autorità Giudiziaria, come esito preliminare delle indagini su Mauro Rostagno.”
2) Gli anni passano, la pista mafiosa langue, mentre si porta acqua al mulino di altre piste d’indagine sul delitto. Come quella politica, la cosiddetta “pista Calabresi”.
Al processo emergono irregolarità e forzature. E’ molto inquietante, in proposito, la testimonianza del colonnello Elio Dell’Anna (udienza 13/6/2012), un altro carabiniere membro del Reparto Operativo di Trapani. Nel 1992 andò a Milano su delega della Procura di Trapani (in realtà, la delega sarà formalizzata solo successivamente all’incontro), “a cercare di accertare o di sviluppare una ipotesi investigativa che era quella che poteva legare l’omicidio Rostagno all’omicidio del Commissario Calabresi”. Una prassi quantomeno irrituale, ricorrere a un simile contatto informale: il Codice penale prevede il collegamento tra magistrati, non l’intermediazione degli ufficiali di Polizia Giudiziaria, precisa l’accusa.
Agli atti è acquisito un appunto, del 4 novembre 1992, a firma Dell’Anna, che comincia così:
“Sembra necessario segnalare alla Signoria Vostra quanto il Dottor Lombardi ha dichiarato in un colloquio informale avvenuto il 3 corrente mese con lo scrivente […]”.
In questo documento, il colonnello Dell’Anna attribuisce al dott. Lombardi (giudice istruttore nel processo per l’omicidio del commissario Calabresi) affermazioni perentorie, come “il Rostagno era al corrente di tutte le motivazioni, compresi esecutori e mandanti concernenti l’omicidio Calabresi”, “il Rostagno aveva rotto i ponti con i suoi ex compagni di Lotta e forse aveva intenzione di dire la verità” e la convinzione che l’omicidio Rostagno fosse nato nel contesto di Lotta Continua. Ma il dottor
Lombardi ha smentito recisamente, in altro procedimento, di avere mai affermato che il delitto Rostagno era da collegarsi all’omicidio Calabresi.
Non esiste una registrazione di quell’incontro. Il pubblico ministero cerca di capire se effettivamente tutte le informazioni contenute in quella nota vengono da un colloquio con il dottor Lombardi. Incalzato, il colonnello Dell’Anna spiega “di avere acquisito le dichiarazioni di Marino e altre cose, è probabile che in quel momento siano confluite in quel promemoria”. Desta sconcerto sentirlo ammettere: “avrei dovuto, per essere più corretto […], al dottor Messina avrei dovuto scrivere, […] Riporto quello che ho sentito dal Dottor Lombardi, quello che ho sentito da Marino e quello che ho letto e il mio pensiero che mi sono fatto”, anziché attribuire i contenuti del promemoria solo al dottor Lombardi.
Non solo. Dell’Anna non ricorda se parlò direttamente col pentito Leonardo Marino (accusatore al processo per l’omicidio Calabresi), o se si basò su verbali d’interrogatorio resi da Marino al dottor Lombardi. Quei documenti allora erano coperti da segreto istruttorio. Dell’Anna non ricorda bene, “qualcuno me li avrà dati però questi atti”, dice. E continua: “Non credo che me li abbia dati il Dottor Lombardi. Credo che me li abbia dati il reparto dei Carabinieri che aveva indagato sull’omicidio Calabresi e che aveva le dichiarazioni di Marino”.
P.M. DOTT. PACI: “E questa consegna di atti processuali, e allora ancora coperti dal segreto investigativo istruttorio, visto che ancora all’epoca si procedeva con l’istruzione formale, era stata autorizzata dal Giudice Lombardi?”
TESTE DELL’ANNA: “Non ricordo”.
Chiosa il PM Paci: “Ci sono troppe […] zone di poca chiarezza in questa attività svolta in modo così informale”.
3) Il prosieguo delle indagini continua a essere pesantemente segnato dallo “slittamento” iniziale.
Lo illustra con chiarezza la deposizione di Giovanni Pampillonia (udienze 30/3 e 6/4/2011), dirigente della Digos di Trapani nel 1995-’96. Quando assume la direzione, racconta, “era a un punto avanzato un’indagine che riguardava un’associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, che aveva come soggetti responsabili indagati proprio i responsabili della Saman… e il Procuratore della Repubblica di Trapani del tempo, il Procuratore Garofalo ci chiese di valutare se vi erano degli spunti investigativi in ordine all’omicidio Rostagno…che potevano fare riferire a dei soggetti all’interno della stessa Saman.
Pampillonia ribadisce in più passaggi che la Digos non si occupa di mafia.
P.M.: “Non conoscevate, dico, dal punto di vista investigativo, il fenomeno mafioso in quel periodo”.
TESTE PAMPILLONIA: “No, perché noi ci inseriamo in un meccanismo diverso, cioè noi ci inseriamo nella… otto anni dopo l’omicidio, allorché nessun apparato investigativo che si occupava di criminalità organizzata aveva avuto gli spunti investigativi che fossero riferibili a un omicidio di mafia… ripeto, che noi guardiamo questo omicidio partendo dal presupposto che già gli organismi deputati a contrastare le organizzazioni criminali avevano alzato le mani sostenendo che l’omicidio… che non si avevano riferimenti, tant’è vero che nel ’94 vi era una richiesta di archiviazione”.
Eppure, Pampillonia ha ben chiaro chi fosse Rostagno. Dice di lui: “Sì, io credo che Rostagno, molto dolcianamente, facendo riferimento a Danilo Dolci, attaccasse un sistema sociale nel quale vi era un congelamento di… dell’indignazione della gente rispetto ad un sistema bloccato di… politico clientelare mafioso. Quindi sicuramente Rostagno in questo ambito è stato… era una scheggia impazzita di un sistema dove, in realtà, fino a quel momento vi era la massima serenità, serenità in termini organizzativi; però vi erano delle… una cappa, fondamentalmente.” E ancora: “Era molto seguito Rostagno… perché, ripeto, le denunzie rientravano in un momento storico particolare … nel quale, ripeto, la società… quella che poi venne definita la società civile, cercava di riconoscersi in qualche
soggetto che aveva il coraggio di dire le cose per quelle che pensava. … Rostagno sicuramente era un elemento di riferimento di questa società civile, di questa futura società civile, insomma.”
Però la pista mafiosa è insabbiata e incagliata, nessun pentito, all’epoca, ne parla. La Digos, dunque, approfondisce i percorsi di sua competenza, come richiesto dal procuratore generale Garofalo. Spiega Pampillonia: “Il profilo di Rostagno è un profilo estremamente complesso perché, insieme a questa grande denuncia nei confronti di questo sistema politico clientelare mafioso, vi era anche una citazione a giudizio di Rostagno per l’omicidio Calabresi”, perché Rostagno era stato in Lotta Continua. L’avvocato di parte civile Lanfranca trae da un rapporto della Digos di allora il riferimento alle minacce ricevute da Rostagno prima della morte. Ma Pampillonia non ricorda. Non ricorda che accertamenti fecero. Si limita a confermare che tra gli spunti investigativi il tema “mafia” non fu indicato.
Lo ribadisce più volte, nella sua deposizione: “L’ho detto prima, noi interveniamo dopo otto anni dall’omicidio Rostagno, dove si occupano dell’omicidio Rostagno, per il quale in prima battuta si fa riferimento alla mafia, […] le indagini vennero svolte dal reparto operativo dei Carabinieri, da strutture che evidentemente si occupavano di mafia, sia la squadra mobile che i Carabinieri”. […] “Nel ’94 allorché vi era, questo lo so per storia, vi fu la richiesta di archiviazione, credo rigettata dal G.I.P., si pose il problema di vedere se era possibile trovare degli elementi nuovi che consentissero di esplorare delle aeree che fino a quel momento non erano state esplorate… Quindi era “ad escludendum”, non era un problema di… noi non abbiamo, abbiamo escluso noi la pista mafiosa, in quel momento non vi erano atti che potessero essere oggetto di approfondimenti investigativo, almeno ritengo perché il Procuratore me li avrebbe delegati e se li avesse delegati non avrebbe delegato sicuramente noi che eravamo la Digos”.
Dall’indagine della Digos scaturì l’operazione “Codice Rosso”, nell’ambito della quale fu arrestata Chicca Roveri, completamente innocente: una pagina vergognosa.
Benedetta Tobagi
Milano, 25 settembre 2012
Lella Costa, 25 settembre, Milano, Ricordando Rostagno.
Lella ha letto questo scritto di Adriano Sofri su Rostagno
Il mio amico Rostagno ucciso quindici anni fa
di Adriano Sofri
“La Repubblica” 19 settembre 2003
È così bello il settembre, e così pieno di cattivi anniversari. Il 26 settembre di quindici anni fa è morto ammazzato Mauro Rostagno, in un agguato, su un viottolo che lo riportava alla comunità che era la sua casa, nella campagna di Trapani. Era nato il 6 marzo 1942, aveva quarantasei anni, chissà quante vite avrebbe avuto ancora. Di tutti quelli che ho conosciuto, era il più pronto a prendersele tutte, le vite che abbiamo in offerta. In una era stato un leader del ´68, come si dice, ironico, geniale, seducente, spavaldo e musicale. Ora si fanno dei film, non so se sia un buon segno, né se siano brutti o belli. Non so nemmeno se fosse bella o brutta la cosa stessa, quando successe.
Fra gli acquisti senz´altro importanti di quella stagione sta l´amicizia. Ogni tanto succede che le persone diventino amiche dentro larghi e trascinanti cambiamenti del loro mondo, sicché un ideale e un sentimento comune, giorni e notti condivisi, suscitino in loro un´intimità di pensieri speranze e gesti capaci di sopravvivere alla fine della consuetudine, al mutamento dei pensieri e dei gesti, e anche al mutamento di sé. La comunanza politica in tempi normali non basta a questo. Solidarietà o rivalità magari, ma è un´altra cosa. Le amicizie saldate dentro tempi accesi hanno una forza cui non si saprebbe rinunciare. Rischiano anche una meschinità, una vanità o un astio da reduci di qualcosa, e bisogna guardarsene. Ma si è grati del riconoscimento reciproco e generoso, della fiducia che si può riporre in tante altre e tanti altri una volta che le belle bandiere e le brutte maschere ideologiche siano cadute, e abbiano lasciato sole le persone.
Così ero amico di Mauro Rostagno, benché dopo la liquidazione di Lotta Continua si scegliesse vite così differenti dalle mie che potevamo riderne allegramente a ogni incontro. Fu inquilino della Macondo milanese e notturna, arancione di Poona, bianco della Comunità di Saman, pedagogo della “scuola del Sud”, denunciatore intrepido della mafia siciliana, e chissà quante cose ancora che non ho saputo. Nemmeno per quale di quelle esistenze sia stato assassinato, e da chi: gente numerosa, che cammina libera nelle strade di questo mondo. Quando tanti amici venuti da tutte quelle vite seguirono in una Trapani stupefatta il funerale di Mauro io mancavo, perchè ero agli arresti, accusato di aver fatto da mandante di un altro omicidio. Mentre venivo processato come mandante di un omicidio, fu insinuato in un´aula di tribunale che avessi avuto parte di complice anche nell´assassinio di Mauro. Ci sono state enormità che non si devono commentare, in questi nostri anni, se si abbia rispetto di sé. Venne anche il momento in cui la giustizia catturò come correa dell´assassinio di Mauro la donna che era la sua compagna e la madre di sua figlia. Un piccolo sbaglio, commesso nel clamore e corretto alla chetichella. Basta così.
Quindici anni dopo, ho ritrovato quello che scrissi allora, e che gli avvenimenti travolsero. Andai alla tomba di Mauro a novembre. E´ in un camposanto di Valderice, in cima a uno sperone, dirimpetto a Erice. Ci tira vento, e la vista spazia sul mare omerico e le isole. E´ strano come sia difficile comprare dei fiori freschi a Trapani: o sarà perché ce ne sono già dovunque. Vanno forte i fiori artificiali. Ma nonostante il novembre i campi attorno erano pieni di iris selvatici e di calendole arancioni. Andai poi a visitare la sua stanza, a guardare i suoi pochi libri – io avevo, nel frattempo, accumulato migliaia di libri – a guardare le cassette delle sue intrepide denunce televisive contro i mafiosi, ad abbracciare Monica, la sua figlia di quando aveva avuto vent´anni, e Maddalena, che era nata dentro Lotta Continua e ora aveva quindici anni e un cane pastore bianco con la coda dipinta di azzurro. C´era, ospite della comunità, una ragazza autistica di nome Veronica, una specialmente sensibile e intelligente, di cui Mauro si era preso più cura. Veronica comunicava solo attraverso brani di canzoni scelti dentro una sua pila di dischi. Quando seppe della morte di Mauro, Veronica mise su la canzone che dice: “Signore, è stata una svista, abbi un po´ di riguardo per il tuo chitarrista”.
Mauro aveva avuto paura di essere brutto, da bambino. Venuto il momento si era fatto crescere la barba per nascondercisi dietro, e aveva scoperto di essere bello, e somigliante al Che – o piuttosto, mi sembrava, a un moschettiere della regina. Sua sorella raccontava che da bambino era convinto che le cose gli andassero storte. A scuola, al Rosmini, fecero piantare agli scolari dei bulbi in vasetti, per imparare la sintesi clorofilliana. I bulbi crebbero, benché sbiaditi, chiusi dentro l´armadio dei cappotti: tranne quello di Mauro, perché l´aveva piantato alla rovescia, e alla fine germogliò dalla parte di sotto. Era timidissimo, e continuava a pettinarsi. Alle elementari, raccontava lui, “avevo difficoltà a esprimermi, ero balbuziente, ero bravo negli scritti ma non negli orali”. Da grande diventò, a Trento e nelle assemblee di tutta Italia, un leader carismatico e un oratore smagliante. Negli scritti andava meno forte, ma per un´impazienza ai pensieri troppo ordinati e pettinati. Piuttosto, era un magistrale coniatore di slogan – e in qualche angolo scriveva poesie. Era felicemente eclettico, ciò che in tempi dogmatici lo rendeva sospetto ai sistematori politici e a chi si aspettava molto dalle scuole quadri: sospettava lui stesso del proprio eclettismo, e di tanto in tanto si costringeva a qualche pedanteria scolastica.
Suo padre aveva suonato per diletto la chitarra classica, lui alla fine la ereditò e ci cantava sopra, un giorno la regalò a un giovane della comunità perché gli era simpatico. Quando morì Jimi Hendrix Mauro faceva il giornale di Lc e pubblicò una sua foto e la didascalia: “Suonava e cantava da dio. Morto a 24 anni per eccesso di droga. Con lui i padroni hanno vinto”. Del mimetismo, che era il contrassegno della nostra “militanza”, era un vero maestro. L´eclettismo sta alle idee come il mimetismo sta alle persone in carne e ossa. Mauro poteva diventare un operaio (lo era stato), uno studente di sociologia, un docente di sociologia, un proletario occupante di casa di Palermo – restava maschio, naturalmente: questo fu il limite insuperato del nostro mimetismo, nonostante qualche imbarazzante tentativo…
Nel ´69 l´Italia conobbe per l´ultima volta il tentativo degli operai di diventare una classe dirigente generale, l´aspettativa che era stata della rivoluzione comunista di Gramsci e della rivoluzione liberale di Gobetti. Mauro lasciò la troppo periferica Trento per Milano, e si arruolò al marciapiede della Pirelli. “Ogni giorno mi alzavo alle quattro del mattino per andare davanti alla Pirelli. Poi tornavo a casa, dormivo un paio d´ore, ritornavo alla fabbrica verso le undici e ci stavo fino alle tre. Un panino e tornavo alle porte alle cinque per l´uscita del ‘giornaliero´. Dopo la riunione, tra le sette e le otto, andavo a mangiare. Dalle dieci alle undici, di nuovo di fronte alla fabbrica per l´entrata e l´uscita dei turni”. “Ci spiegava le cose che facevamo in un modo così bello che noi non avremmo potuto accorgercene”, avrebbero detto gli antichi operai della Philips in una serata dedicata al suo ricordo. Era un poliglotta politico, parlava con entusiasmo e applicazione il dialetto di un operaio delle valli trentine, o il brianzolo, o il palermitano. In Sicilia, dove si era trasferito a fare il dirigente di Lotta Continua, guidò una clamorosa occupazione popolare, a partire dallo Zen, nella cattedrale di Palermo, conclusa con una specie di adesione dello stesso cardinale arcivescovo.
Mimetico, Mauro era però inimitabile. Le sue idee erano inservibili senza di lui, fantastiche in lui. Le sue idee erano meno importanti di lui: ci sono persone per le quali è vero il contrario, e non hanno da starne allegri. Più delle idee esplicite, c´era nel trascinante mimetismo di Mauro qualcosa che contava di più, e durò sempre: un lancinante desiderio di essere amato. Conquistava gli altri perché voleva essere amato, e intanto era prodigo di sé. Più tardi fu pronto a deplorare il leaderismo e il maschilismo di allora, e a rimpiangere di non essere stato più amato “per sé”.
Era trionfalista, come noi allora: e anche spaventato e allarmato, come noi. A differenza della maggioranza di noi, illusi che la maturità della lotta di classe tenesse l´Italia al riparo dal flagellodella droga, sapeva che cosa sarebbe successo – era già successo. Quando salutammo la rivoluzione che non avevamo fatto, e ci salutammo reciprocamente, se ne andò con una tristezza ma senza risentimenti. (Venne a cercarmi una volta in piena notte, da un´altra città, per dirmi che aveva avuto un pensiero urgente: che io non ero stato un padre in Lc, ma una madre. E ripartì). A Trento, aveva festeggiato i vent´anni del Sessantotto con un discorso pubblico in cui spiegava che eravamo stati sconfitti, e aggiungeva: “Per fortuna”. Infatti, l´abbiamo scampata bella.
Anniversari. Pochi giorni fa Mauro è diventato nonno di un bambino. Maddalena aveva quindici anni, dunque ne ha trenta. Le ho scritto in pubblico, così. “Siccome dormo poco, ho tempo per immaginare cose: certe volte non distinguo più fra le cose che immagino e quelle che sogno. Ho immaginato che una trentina di anni fa Mauro e io fossimo insieme in qualche ristorante balcanico, e una brava zingara ci leggesse la mano, trasalisse come al solito e poi, alle nostre spavalde insistenze, predicesse che saremmo diventati nonni nello stesso anno, il 2003, uno dei due da morto, l´altro da carcerato; e che io e Mauro ci fossimo guardati per un momento seri, poi fossimo scoppiati a ridere, e avessimo offerto da bere alla brava zingara e a noi, brindando a nipotina e nipotino. Poi ho immaginato – forse sognavo già – che Mauro non fosse stato ammazzato e io non fossi in galera, e che ci fossimo dati un appuntamento in qualche osteria balcanica per festeggiare fra noi due coetanei la pressoché contemporanea promozione a nonni, e che bella bevuta avremmo fatto, e che brava zingara avremmo invitato al nostro tavolo per leggerle la mano!”.
Leoluca Orlando, 25 settembre, Milano, Ricordando Ristagno
Voglio ricordare quanto la città di Palermo, dove Mauro Rostagno ha vissuto alcuni anni, è legata a lui. E voglio ricordare poi tre fatti concreti. La sala comunale di Palermo che è stata intitolata a Rostagno. La serata che mercoledì 26 settembre gli viene dedicata al Parco della Favorita dove saranno letti brani dal libro di Maddalena Rostagno. Infine il fatto che il Comune di Palermo sponsorizza il documentario su Rostagno che ha vinto il premio giornalistico di Perugia.
Nando Dalla Chiesa, 25 settembre, Milano, Ricordando Mauro
Dalla Chiesa si è detto in disaccordo con questo insistere sui depistatori ecc. In fin dei cointi si tratterebbe, ha ricordato, solo di piccoli funzionari di poco conto. Nulla in confronto a figure come quella di Mauro Rostagno che non hanno bisogno di essere valutate attraverso questa lente, Rostagno fa parte degli eroi dell’antimafia (il sunto è mio).
Licia, Claudia, Silvia Pinelli, 25 settembre, Milano, Ricordando Rostagno
Ci sono persone che sentiamo vicine, che ci sono state vicino e che non abbiamo mai incontrato.
Persone che, in tempi in cui nulla era scontato, non si accontentarono delle versioni ufficiali e fecero propria la nostra battaglia, chiedendo e pretendendo di sapere cosa accadde quella notte, in cui Pino precipitò da una finestra della questura di Milano e morì.
Persone come Mauro Rostagno, che non abbiamo mai incontrato personalmente, ma che non ha mai esitato a prendere posizione, che non ha mai avuto paura di essere scomodo.
Ci sentiamo vicine a Mauro e alla sua storia e al fianco di chi non si stancherà mai di chiedere e di pretendere che ci sia verità sulla sua morte, che ci sia giustizia per il suo omicidio.
Licia, Claudia, Silvia Pinelli
Erri De Luca – 25 settembre – Milano, Ricordando Mauro
I rivoluzionari sono stati la pasta di lievito del 1900, secolo specializzato in rivoluzioni. Il lievito all’assaggio e’ salato e amaro, ma tra i suoi ingredienti ci dev’essere il miele, come si legge nelle istruzioni per la formazione dell’impasto madre. Di questa composizione chimica era fatto anche Mauro Rostagno.
Quando arrivo’ a Roma, a dare qualifica di appartenenza a Lotta Continua al gruppo che gia’ da un anno diffondeva molte copie del mensile, era preceduto da fama di trascinatore. Nell’anno ’70 facevo parte di un gruppo spontaneo di operai e studenti che organizzava lotte tra le baracche della periferia romana. Contribuivamo a scuotere dalla rassegnazione un popolo di accampati spingendolo alla rivendicazione del diritto alla decente abitazione. Ci piaceva Lotta Continua, che all’epoca cercava di sottrarre all’influenza fascista la rivolta di Reggio Calabria. Venne da noi Mauro Rostagno, non per impartirci una lezione di catechismo rivoluzionario, ma per raccontarci le leggendarie lotte operaie alla Fiat di Torino. Aveva anche lui conosciuto la fabbrica, per un periodo di emigrato in Germania.
All’epoca “operaio” era titolo di nobiltà’. Quando uno di loro prendeva la parola in un’assemblea, si faceva un silenzio assorbente.
A quel tempo pensavo di me che sarei stato rivoluzionario a vita. Non guardavo lontano, l’avvenire era il giorno dopo, la parola comunismo era il necessario da farsi quotidiano, insieme alle migliaia. I capi c’ erano, ma revocabili. L’ultimo arrivato, se proveniva da una esperienza di lotta, aveva la precedenza.
Mauro Rostagno ci racconto’ cos’era quell’impasto di fermenti vari, riassunto sotto il nome di Lotta Continua. Non ci rilascio’ certificati di iscrizione, non esistevano tessere, timbri e abbonamenti a quell’ organizzazione rivoluzionaria Ci accolse, lui forestiero con accento del nord e voce da cantante melodico: lui solo accolse noi, un centinaio ammucchiato in uno stanzone del quartiere San Lorenzo, in via dei Marsi, nostra prima sede politica. Regolarmente visitata da perquisizioni di questura,noi regolarmente avvisati in anticipo dal sistema di allarme popolare del quartiere, regolarmente in grado di mettere al sicuro il ciclostile , nostra sola voce pubblica di allora.
Voglio serbare questa prima memoria di Mauro Rostagno, venuto a conoscere e a offrire accoglienza. Roma divento’ poi strategica per Lotta Continua che trasferì’ da noi il suo centro e la direzione del giornale. Trattengo quel primo giorno di incontro con lui, fermento vivo del lievito al quale ho appartenuto.
Non mi interessa più’ conoscere il nome dei vigliacchi che gli hanno tagliato la strada e la vita. Qualunque sia stato il loro movente, hanno fallito. Essi sono lo scarto che la storia smaltisce in silenzio.
Non scrivo :Mauro e’ vivo. E’ formula svuotata di urto e di contrasto. Scrivo che Mauro e’ stato assassinato da rivoluzionario del 1900.Il suo nome e’ indelebile dal secolo dei lieviti.
Erri De Luca
Dacia Maraini, 25 settembre, Milano, Ricordando Mauro
Non ho mai conosciuto Mauro Rostagno. Il ricordo che ho di lui è il ricordo di molti amici che gli sono stati vicini, sia torinesi che siciliani. UN giovane determinato,mi dicono, coraggioso, anzi intrepido ai limiti della temerarietà. Uno che diceva pane al pane. Uno che aveva scoperto la pace praticando le idee di una guerra di classe. Uno che denunciava le nuove collusioni della mafia da una radio privata che ogni giorno aumentava il numero dei suoi ascoltatori. E questo deve avere affrettato la decisione della sua eliminazione.
Aveva una voce soave, raccontano di lui. Era tenerissimo con la moglie e con la piccola figlia che si portava appresso ovunque con fierezza. Mi raccontano di una persona civile, audace, capace di grandi sentimenti e grandi progetti, una persona che valeva la pena di conoscere. Mi dispiace non averlo mai incontrato, mi sarebbe piaciuto discorrere con lui e sentire la sua voce.
L’immagine del suo corpo riverso dentro una macchina chiara, crivellato di colpi, si sovrappone a quella del suo viso festoso, gli occhi luminosi e il sorriso aperto, come lo si vede nelle fotografie postume.
La cosa orribile, negli assassinii di mafia –ricordiamo Peppino Impastato- sono i depistaggi, la sistematica denigrazione del morto ammazzato: questione di corna, suggeriscono, insinuano, rivalità fra amici, lotta di potere, eccetera. Volgarità e veleno per fuorviare le indagini. Trappole in cui sono cascati pesantemente i carabinieri. Eppure avrebbero dovuto sapere che la mafia usa sempre gli stessi sistemi: prima diffama , poi uccide e poi torna a diffamare. Comincia col suggerire il suicidio, per finire coinvolgendo gli amici, i famigliari, i più teneri affetti dell’uomo che con brutalità ha creduto di distruggere anche nel suo onore. La stessa compagna di Mauro è stata in carcere, accusata di complicità nel delitto. Piste che sono risultate, come era prevedibile, assolutamente prive di fondamento, ma che per anni hanno creato un clima di sospetti, di ambiguità, di calunnie e invenzioni offensive. A cui hanno attinto anche molti giornali, in buona o in cattiva fede.
La distruzione, preparata e condotta a termine con tanta cura, oggi possiamo dirlo con sicurezza: non è riuscita. Ed ecco perché siamo qui a ricordarlo con affetto e ammirazione.
Dacia Maraini
Marco Boato, 25 settembre, Milano, Ricordando Rostagno
Cara Maddalena, che sei qui a Milano, cara Chicca, che sei a Trapani, care amiche e amici, così numerosi questa sera, e cari ‘antichi’ compagni e compagne di Mauro, “L’ultima vittoria di Mauro Rostagno – Giustizia e verità ventidue anni dopo” avevo intitolato nel febbraio 2011 un mio articolo-testimonianza pubblicato su vari giornali, riprendendo il titolo di una bella copertina dedicata a Rostagno da Enrico Deaglio sulla rivista Diario già nel 2008. Non spetta a me questa sera ripercorrere le tappe e le vicende del processo che si sta celebrando a Trapani, a 24 anni dall’omicidio di Mauro da parte della mafia. Lo hanno già fatto molto bene questa sera Rino Giacalone, Benedetta Tobagi, Valeria Gandus e Paolo Brogi.
Che si trattasse di un assassinio di mafia fu evidente fin dall’inizio non solo alla polizia di Rino Germanà, ma anche a mons. Antonino Adragna, che volle subito spezzare il silenzio dell’omertà e della paura, celebrando per Rostagno un solenne funerale religioso nella cattedrale di Trapani, denunciando subito le responsabilità della mafia nella sua forte e drammatica omelia, che giustamente Maddalena ha scelto di riportare integralmente nel suo bellissimo libro “Il suono di una sola mano”, scritto con Andrea Gentile. E fu evidente anche a Claudio Martelli, uno dei pochi politici a livello nazionale (insieme a Gianfranco Spadaccia) a partecipare al funerale di Mauro.
Dopo la celebrazione religiosa, su richiesta di Chicca Roveri, tenni io – di fronte ad una piazza affollata da migliaia di persone commosse e attonite – l’orazione funebre in memoria di Mauro, ripercorrendo la sua vita giovane e straordinaria, che molti a Trapani conoscevano solo nella parte conclusiva. Una vita lunghissima, per la incredibile quantità di eventi e di esperienze che l’avevano segnata, ma anche una vita breve, stroncata nel sangue ad appena 46 anni. Se fosse ancora vivo, oggi Mauro di anni ne avrebbe 70, ma sarebbe stato – ne sono certo – ancora carico di entusiasmo, di prorompente vitalità e di quel suo insopprimibile carisma, che sapeva contagiare tutti quelli che gli stavano attorno e che lo amavano.
Prima della svolta degli ultimi anni, che ha portato finalmente alla celebrazione del processo alla mafia di fronte alla Corte d’Assise di Trapani iniziato il 2 febbraio dell’anno scorso, dalle precedenti inchieste giudiziarie era come se Mauro Rostagno fosse stato ucciso una seconda volta: la prima appunto dalla mafia, la seconda dalla disinformazione (che a volte purtroppo in Sicilia dura tuttora, con una insipienza e un cinismo sconcertanti), dai depistaggi, dalle omertà, dalla calunnia sistematica. Una calunnia che era dapprima arrivata a colpire persino Adriano Sofri (al quale era stato di fatto impedito di partecipare al funerale di Mauro, a cui l’avrebbero voluto condurre in ceppi) e noi antichi compagni di Lotta continua: è già stato ricordata questa sera la vergognosa montatura dell’allora capitano dei carabinieri Elio Dell’Anna e aggiungo l’avvocato Luigi Li Gotti, che l’ha riproposta nel processo Calabresi a Milano. E una calunnia che poi, nel 1996, aveva investito in modo mostruoso la stessa compagna di Mauro, la carissima Chicca, che ha subìto il carcere e una accusa infamante di complicità nell’omicidio, senza che poi nessuno abbia pagato in alcun modo per questa vergogna, a cominciare dal magistrato Gianfranco Garofalo di Trapani, per il quale avevo chiesto in Parlamento all’allora ministro della giustizia Flick di promuovere una doverosa azione disciplinare. Una duplice infamia, dunque: prima l’omicidio mafioso di Mauro e poi la duplice calunnia per depistare le indagini, con la quale si cercò di infangarne indirettamente il ricordo e di cancellarne la straordinaria figura dalla storia italiana e dalla memoria collettiva di intere generazioni.
In realtà Mauro Rostagno è morto davvero come un eroe civile, prima ancora che politico: un eroe dell’antimafia militante e non rituale, un eroe della libera informazione e della coraggiosa controinformazione, un eroe di quella società civile, da cui sorgono nelle terre più difficili, come la Sicilia, figure eccezionali nella loro normalità come Peppino Impastato, Giuseppe Fava e Libero Grassi, che si affiancano a quelle di magistrati e di appartenenti ai corpi di polizia dello Stato, che hanno sacrificato la loro vita per un ideale e un servizio di giustizia e libertà.
L’itinerario politico e civile, che alla fine ha portato Mauro all’appuntamento con la morte per mano di mafia, è stato lungo e straordinariamente ricco. Nella sua giovinezza Rostagno è stato il più originale e creativo leader studentesco del movimento del ’68 italiano e del “biennio rosso” 1968-69: dall’anno del Vietnam e di Che Guevara nel ’67 al ’68 degli studenti fino al ’69 degli operai, esperienze che lui visse da vulcanico protagonista, in prima persona, senza soluzione di continuità.
Mauro in quegli anni – e anche dopo, lungo la prima metà degli anni ’70 – fu un autentico leader antiautoritario, non solo nella critica pratica alle degenerazioni istituzionali, ma anche nel rifiuto del dogmatismo marxista-leninista e della burocratizzazione della politica, anche di quella che si pretendeva rivoluzionaria. Fu un leader imbevuto di marxismo critico, ma anche di controcultura americana e di critica spietata dei totalitarismi del socialismo reale.
Mauro fu un leader carismatico e “movimentista” quasi per natura: dovunque operasse – dalla sua Torino a Trento, da Trento a Milano, da Milano a quella Sicilia (prima a Palermo negli anni ’70 e poi a Trapani negli anni ’80), che divenne infine la sua terra di elezione – egli sapeva suscitare iniziative ed emozioni, conflitti e contraddizioni, esperienze e trasformazioni (provocando, ahimè, anche invidie, meschinità e rivalità persino nei burocrati della politica sedicente “rivoluzionaria”).
E nonostante non abbia mai rinnegato la sua amicizia trentina con Renato Curcio (nata ben prima delle Brigate rosse e continuata dopo la conclusione di quella tragica esperienza), Mauro si ispirava ad un modello di pensiero e di azione totalmente alternativo alla clandestinità, alla lotta armata e al terrorismo militarista, operando sempre alla luce del sole, in mezzo alla gente: amando la vita e cercando di trasmettere questo amore per la vita, insieme alla speranza, alla voglia di giustizia e di libertà, anche a chi temeva di averle perdute per sempre.
È questo straordinario amore per la vita, per la libertà e per la giustizia che segna il percorso di Mauro Rostagno attraverso le molte tappe della sua vita: la critica dell’ideologia, il rifiuto del totalitarismo palingenetico, la trasgressione programmata e libertaria, la lotta per la verità a tutti i costi – appunto l’amore per la vita in tutte le sue forme – fecero di lui sia un autentico “ribelle” nella sua giovinezza, sia anche un autentico operatore sociale e culturale nella fase successiva e infine il protagonista, di un giornalismo libero e spregiudicato, capace di rompere i muri dell’omertà istituzionale, di smascherare le connivenze mafiose, di denunciare le vergogne sociali, di riscattare ad alta voce il silenzio dei poveri, dei diseredati e degli oppressi.
È per questo, per tutto questo che parlo di Mauro Rostagno come di un autentico eroe civile: perché ha creduto fino in fondo in questo suo impegno disinteressato e militante, fino al punto di non rendersi conto che il suo coraggio senza difese di fronte alla mafia gli poteva costare la vita, fino al punto di sacrificare la sua vita stessa sull’altare dell’impegno civile e dell’informazione libera da ogni condizionamento del potere, prima di tutto del potere occulto e di ogni prepotenza mafiosa.
L’ultima volta che incontrai Mauro da vivo fu nel febbraio 1988 a Trento, dove era tornato, accompagnato dall’ancora adolescente Maddalena, nella sua antica facoltà di Sociologia, in occasione del ventennale del movimento del ’68, di cui era stato protagonista in quelle aule e in quella città. Lo accolse, ci accolse uno striscione sulla facciata della Facoltà: “Bentornata utopia”. Con la sua consueta spregiudicatezza intellettuale e politica, e anche con una buona dose di auto-ironia che non gli mancava, dopo aver ricreato in poche ore una piena sintonia emotiva e umana con i compagni e le compagne di un tempo, Mauro aprì un suo travolgente intervento assembleare con questa frase: “Per fortuna che allora non abbiamo vinto…”. Riviveva con tutti noi la gioia dell’incontro, la memoria solidale di quel movimento collettivo, ma non veniva meno neppure in quel momento alla sua capacità di critica e di autocritica, guardando più al futuro che al passato, pur felicemente vissuto e anche rivissuto.
In quell’occasione, nel febbraio 1988 a Trento, Mauro mi parlò ripetutamente e con grande entusiasmo sia della sua ormai lunga esperienza siciliana nella Comunità “Saman” di Lenzi di Valderice, sia soprattutto della più recente esperienza di giornalismo militante nella televisione RTC di Trapani e mi invitò ripetutamente – io allora ero il senatore di Trento – ad andarlo a trovare.
Dopo quell’ultimo, felicissimo incontro trentino non ci rivedemmo purtroppo più. Ci parlammo tuttavia più volte al telefono nell’estate successiva a seguito della comunicazione giudiziaria che entrambi avevamo ricevuto, allibiti, in relazione al caso Calabresi e fu lui a chiedermi di trovargli gli avvocati difensori, che furono Sandro Canestrini, che ora ha compiuto nonvant’anni, di Rovereto e l’allora giovanissimo Giuliano Pisapia, oggi sindaco di Milano. Mauro sentiva l’infamia di quel sospetto e voleva andare al più presto dai magistrati di Milano per protestare la propria innocenza e l’estraneità di Lotta continua. Mai avrebbe potuto immaginare che da parte di qualche appartenente all’arma dei carabinieri e da parte di un avvocato della famiglia Calabresi si sarebbe – dopo il suo omicidio – potuto alludere calunniosamente alla volontà dei suoi amici e compagni di un tempo di impedirgli di testimoniare. Per questo, ho detto e ripeto anche questa sera che è come se Mauro Rostagno fosse stato ucciso una seconda volta: con i depistaggi e le calunnie, che per oltre vent’anni hanno impedito di rendergli giustizia e che qualcuno ha cercato di riciclare anche in epoca recente.
Mi auguro con tutto il cuore che il processo in corso a Trapani, grazie all’impegno di magistrati coraggiosi e nonostante tanti veleni che continuano ad attraversarlo, possa finalmente rendere verità alla memoria di Mauro e possa saziare almeno in parte la sete di giustizia di Chicca, di Maddalena e di tutti coloro che hanno amato e amano Mauro, i più giovani senza neppure averlo potuto conoscere, ma riscoprendo ora la sua straordinaria figura. Sarebbe davvero, ventiquattro anni dopo il suo omicidio per mano di mafia, l’ultima vittoria di Mauro Rostagno.
Marco Boato
la foto è di Andrea Brogi