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La Procura ha chiesto 8 anni per l’ex ministro Francesco Saverio Romano, concorso esterno in associazione mafiosa

Il 17 luglio si conoscerà la sentenza sull’ex ministro dell’agricoltura del governo Berlusconi, Francesco Saverio Romano. La Procura di Palermo ha chiesto oggi 8 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Romano è accusato di far parte della famiglia di Villabate. Qui di seguito il corriere.it di mercoledì 6 luglio e poi un riassunto delle accuse a Romano, per la cui impunità votò compatto il centro destra compresa la Lega.

L’ex ministro delle Politiche agricole

Mafia, chiesti 8 anni per l’ex ministro Romano

È accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, il 17 luglio la sentenza, venerdì prossimo le arringhe della difesa

Otto anni di carcere per l’ex ministro delle Politiche agricole Saverio Romano per concorso esterno in associazione mafiosa. È la richiesta del pubblico ministero Nino Di Matteo e dal procuratore aggiunto Ignazio De Francisci nel processo che si sta svolgendo con rito abbreviato davanti al giudice per l’udienza preliminare di Palermo Fernando Sestito. Il procedimento è stato avviato dopo due richieste di archiviazione e un’imputazione ordinata dal Gip Giuliano Castiglia.

SOSTEGNO ELETTORALE MAFIOSO – In sette ore di requisitoria Di Matteo ha ribadito che l’ex ministro, che non si è mai allontanato dall’aula, avrebbe «stipulato un patto politico-elettorale-mafioso con Cosa nostra», «contribuendo al rafforzamento dell’organizzazione mafiosa», e che avrebbe anche ottenuto «alle Politiche del 2001 il sostegno elettorale mafioso».

«IL CONCORSO ESTERNO È FONDAMENTALE» – «Il concorso esterno in associazione mafiosa non è un reato che non esiste – ha accusato Di Matteo concludendo la sua requisitoria-fiume e rispondendo al pg della Corte di Cassazione Francesco Iacoviello, che nel processo Dell’Utri disse che è un reato in cui nessuno crede – Il concorso esterno è l’applicazione giurisprudenziale di un principio fondamentale del diritto. È un reato che ha portato, in questo e in altri tribunali, alla condanna, anche definitiva, di diversi esponenti delle istituzioni, come gli ex funzionari di polizia Bruno Contrada e Ignazio D’Antone, ma anche gli esponenti politici come Franz Gorgone e Inzerillo, oppure di esponenti delle forze dell’ordine come il maresciallo Giorgio Riolo ed esponenti politici minori che stanno scontando una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa». Di conseguenza, secondo Di Matteo, «abbiamo non solo il diritto ma anche il dovere di continuare a utilizzare questo strumento giuridico» «fino a quando si vorrà effettivamente incidere sul rapporto tra mafia e politica».

IL 17 LA SENTENZA – Il processo è stato rinviato a venerdì 6 luglio per le arringhe difensive, curate da Franco Inzerillo e Raffaele Bonsignore, che proseguiranno anche il 10 luglio, e la sentenza è prevista per il 17 luglio. Senza il rito abbreviato la Procura avrebbe chiesto la condanna a 12 anni di carcere. L’ex ministro è chiamato in causa soprattutto da alcuni collaboratori di giustizia.

Redazione Online

La vicenda Romano

L’accusa di essere un mafioso per Francesco Saverio Romano nasce nel 2003. In quell’anno infatti Romano fu indagato dalla Procura di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione. Nell’ aprile 2005 il gip ha accolto la richiesta di archiviazione della Procura con la seguente motivazione: «Gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio». Successivamente la Procura della Repubblica ha riaperto l’indagine per il sorgere di nuovi elementi, in seguito alle dichiarazioni del pentito Francesco Campanella. Ed è questa la base dell’accusa attuale.

Intanto nel 2009 il figlio di Ciancimino, Massimo, lo ha accusato di avergli pagato tangenti per 100 000 euro per questo è iscritto nel registro degli indagati della Dda di Palermo per concorso in corruzione aggravata dal favoreggiamento di Cosa Nostra assieme ai politici dell’Udc Totò Cuffaro, Salvatore Cintola e del Pdl Carlo Vizzini, L’accusa è fondata su intercettazioni  tra Romano e l’avvocato Gianni Lapis, prestanome della famiglia Ciancimino.

Nelle motivazioni della sentenza con cui, nel febbraio 2011, lsa Cassazione ha  condannato Totò Cuffaro per favoreggiamento aggravato nei confronti di Cosa Nostra, Saverio Romano viene coinvolto in merito ad un incontro tra lo stesso Romano e Cuffaro con il boss Angelo Siino, soprannominato il ministro dei Lavori pubblici di Cosa Nostra, per chiederne il sostegno elettorale in occasione delle regionali del 1991.

Ora al pentito Campanella si è aggiunto anche un altro pentito, Stefano Lo Verso. Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale di Villabate nonché il mafioso che procurò la carta d’identità a Bernardo Provenzano per recarsi a Marsiglia, ha riferito che il boss di Villabate Antonino Mandalà “volle personalmente incontrare Saverio Romano per il tramite dell’avvocato Carmelo Cordaro”. “Mi disse – prosegue Campanella – che avrebbe preso il posto come referente dell’onorevole Gaspare Giudice, ormai inaffidabile”. A Romano è proprio Campanella a portare l’ambasciata di Mandalà che vuole nella lista Biancofore delle regionali 2001 il commercialista Giuseppe Acanto. “Romano – conclude Campanella – mi assicurò il suo inserimento e mi disse di assicurargli Mandalà”.

Ma è Lo Verso che collabora dall’11 febbraio ad alimentare le nuove accuse che il pm Nino Di Matteo sta registrando e che presto potranno essere depositate in vista dell’udienza preliminare. Il racconto più inquietante riguarda senz’altro la prolusione fatta da Romano durante un banchetto in un ristorante di Campo de Fiori nel quale – dicono i pentiti – avrebbe lasciato di stucco tutti i presenti dicendo chiaro e tondo di appartenere alla “famiglia” di Villabate.

Nell’inchiesta che lo riguarda compare anche la figura di Guttadauro, altro contatto di Romano. E’ a casa di Guttadauro – racconta il pentito Angelo Siino – che il boss don Ciccio Messina Denaro, il padre di Matteo, dette ordine di eliminare Mauro Rostagno.

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