Saranno riposizionate mercoledì 9 maggio alle 12 le tre “pietre d’inciampo” di Via Santa Maria in Monticelli che in gennaio erano state divelte dal marciapiede antistante l’immobile da cui furono deportatenel ’44 le tre sorelle Spizzichino morte poi nei lager tedeschi. Recuperate poi dai carabinieri, che hanno denunciato il condomino che le aveva fatte divellere “per motivi estetici”, le tre pietre originarie sono risultate troppo rovinate per essere riposizionate. Così l’artista tedesco Gunter Denmig le ha rifatte ex novo. Alla cerimonia per ricollocare le tre pietre d’inciampo partecipano, oltre ai familiari delle sorelle Spizzichino, rappresentanti del I Municipio, della Comunità ebraica romana e la curatrice artistica Adachiara Zevi. Attenzione per la nuova posa è stata intanto chiesta anche al sistema di sorveglianza dell’adiacente ministero di Grazia e Giustizia.
Le sorelle Spizzichino – Elvira, Graziella e Letizia – furono “prese” per una spiata l’8 maggio del 1944, un gruppo di fascisti in camicia nera andò a bussare a casa loro e si portò via le tre sorelle. La quarta, Rosa, per salvarsi si gettò di sotto dalla finestra. Poi per tutta la vita ha portato con sé la “colpa” di essersi salvata. Sua figlia Emma ha scritto un racconto sulla storia terribile delle sue tre zie, è pubblicato nel libro di Pupa Garribba “Donne ebree”. Emma le ricorda in questo modo:
“Erano sarte, ricamatrici, furono portate a Regina Coeli l’8 maggio, ci sono restate un po’ di giorni prima di essere trasferite al campo di Fossoli, in Emilia. In carcere si preoccupavano dei pezzi di stoffa dei loro clienti, non sapevano come restituirli. Hanno buttato fuori dalle celle alcuni pezzetti di carta, un paio, c’è una lettera del 12 maggio. Poi sappiamo che erano al campo di Fossoli fino al 26 giugno, quando sono partite per Auschwitz, Elvira, che aveva solo 16 anni, è stata uccisa subito all’arrivo nel campo, il 30 giugno. Le sue sorelle sono morte invece a Bergen Belsen. Graziella dopo la morte dell’altra sorella Letizia, si è lasciata morire…”.
Paolo Brogi
Corriere.it 7.5.12